Luigi Mosciano: cinquant'anni da giornalista.

Panoramica di Dortmund

bandiere Italia-Germania
Vedi anche all'indirizzo "Luigi Mosciàno:Poesie":
http://wwwluigi-mosciano.blogspot.com/2007/01/luigi-mosciano-poesie.html
Luigi Mosciàno 
Una bella piazza di Dortmund
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“Ho cercato sempre di porre le dita nelle piaghe, per toccare il nervo del tempo” (Luigi Mosciàno). “Ich habe stets versucht, die Finger in die Wunden zu legen, um den Nerv der Zeit zu treffen” (Luigi Mosciàno).
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Alla memoria del Prof. Angelo De Bartolomeis, direttore de “LA VOCE DELL’EMIGRANTE”. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”) (novembre/dicembre 2009).
IL TUO MESSAGGIO
Dialogo,
testimonianza
e lotta per l’essere
e il non sembrare
dell’Emigrante, con la tua Voce benigna,
oltre i confini del mondo,
anche per Arte e Cultura.
Luigi Mosciàno, novembre 2009.
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ATTUALITA' E SOCIALE DALLA GERMANIA. "Chi consuma molto ha di più dalla vita"
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'Emigrante", ottobre, novembre, dicembre 2012)
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Questa massima seducente, creata dai vari settori dell'industria, sta causando sempre più rompicapi per l'essere umano, sopraffatto, quotidianamente, da una valanga di fogli reclamistici che riempiono le cassette della posta o che fanno da supplemento per giornali e riviste. Benché non si abbia né voglia né tempo per prendere notizia di quanto viene offerto, per date stabilite da grandi magazzini, colpisce per esempio, che, già nella prima decade di ottobre, vengano poste in vendita merce di carattere natalizio.
Ed è normale che la gente protesti, anche se invano.
Perché la macchina della reclame non conosce rossore né possibilità di sosta: ne va dell'introito, del profitto.
E allora, dai oggi dai domani con gli annunci di vendita, finoa "smuovere le coscienze"; fino a stordirle, come in certi regimi dittatoriali. Il consumismo, una dittatura di massa? Già il poeta, scrittore e cineasta P.P. Pasolini avvertiva il grande pericolo del consumismo. La sua spirale è cresciuta, ma la classe media sta scomparendo nel vecchio Continente; aumentano i ricchi, ma anche i poveri. Chi può consumare molto per godersi la vita? Stiamo assistendo allo spettacolo di gente che va a frugare tra i resti di merci, nelle cassette dei supermercati. E non è un fenomeno isolato.
Consumare, consumare e consumare. Chi non lo può fare, cerca ogni artificio per rispondere alla seduzione della reclame.
La barzelletta del "grande guaio".
Un avventore ordina: "Un'acquavite, subito, prima che succeda un grande guaio!"
Il barista lo serve e pensa: "Starà male".
Il cliente tracanna e ordina di nuovo: "Ancora una, prima che succeda un grande guaio!".
Dopo la quinta acquavite chiede il barista innervosito ed impaurito: "Di quale "grande guaio" parla insomma?!?"
"Non posso pagare".....
Ci sono dottori e dottori
Già tre scandali, nel mondo politico, per plagio di brani di tesi di laurea. I vari accademici se la ridono. Si attendono i chiarimenti, ma, nel frattempo, possiamo riferire che esistono altri "dottori", quelli delle riparazioni! Infatti, esistono "dottori" (si fanno chiamare così) "Schirmendoktor" (per la riparazione degli ombrelli), "Handy-doktor" (per la riparazione di cellulari, "Fassadendoktor" (per l'estetica delle facciate delle case), ecc. ecc.
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA. Come ci amano certi tedeschi (In margine al Campionato Europeo di Calcio).
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, luglio, agosto, settembre 2012)
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“Pizzaiuoli”, “Mandolinisti”, “Divoratori di spaghetti”, “Giocatori di tarda età”….E’ sempre la stesa storia che si ripete quando le squadre dell’Italia e della Germania hanno da battersi, come nel 28 giugno scorso a Varsavia.
La grancassa dei mass media e delle folle dei tifosi nelle strade e sulle piazze ha creato l’atmosfera voluta. E poi l’amara sconfitta, visi lunghi e pianto senza fine.
Inoltre, tafferugli e perfino sparatorie tra migliaia di tifosi tedeschi ed italiani in vena di festeggiare ka vittoria. E’ successo a Colonia e Wuppertal.
L’Italia ha giuocato con precisione accoppiata a fantasia e l’infeconda strategia dei Tedeschi ha mancato il bersaglio. L’hanno riconosciuto loro stessi. Divertente l’assicurazione dell’allenatore Löv: per paura di spionaggio avrebbe tenuto molto segreta la formazione in campo, come se l’Italia avesse avuto bisogno di alcuno supporto.
Per comprendere come il calcio fa dimenticare spesso l’integrazione e la tolleranza vicendevoli (la politica che ha il compito di guida della sociatà non dovrebbe occuparsi di un sostanziale sviluppo morale dei cittadini?) basta leggere la seguente traduzione di uno scritto firmato dal sig. Franz Josef Wagner, pubblicato due giorni prima della partita di Varsavia, dalla Bild Zeitung, un quotidiano dalla tiratura di 12 milioni di copie.
Ecco il testo tradotto: “Cari Italiani, voi, di nuovo. Col vostro vino, la vostra grappa, i vostri spaghetti all’arrabbiata, col vostro tiramisù. Ciao belli. Non abbiamo mai vinto contro l’Italia. Credevamo che voi foste romantici, ma voi siete gelidi.
La più amara sconfitta la subii io sulla spiaggia di Rimini, quando ero diciottenne. Un italiano mi portò via la mia ragazza. Gelido e romantico. Non devo raccontare come mi sentii solo sull’asciugamano dell’hotel. L’Italiano è un predatore. L’Italiano ti ruba la tua donna dall’asciugamano e proprio così spara i suoi gol.
L’Italiano si inginocchia davanti alla Vergine Maria, davanti a Dio e, nello stesso tempo, egli è un killer. Quale partita ci aspetta? Io ho paura per i nostri bravi giovani”.
Grazie sig. Wagner per il “killer”. Per fortuna, non tutti gli ottanta milioni e passa dei Tedeschi la pensano come Lei. (www luigi-mosciano.blogspot.com)
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA. Rivalità tra bande di
ROCKER.
(Luigi Mosciàno, da
Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, aprile, maggio, giugno 2012)
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Nordreno-Westfalia e Renania-Palatinato sono regioni che gli
organi di Polizia stanno “pettinando”, oggi più che mai, per mettere fine al
fenomeno di popolose bande di rocker che
si fanno chiamare “Hells Angels” (gli angeli infernali) e “Bandidos” (Banditi).
La stampa sta dedicando molta attenzione al repulisti di vari gruppi che si
contendono il predominio sul mercato della droga, delle armi e della
prostituzione.
Proibita l’esistenza delle bande, sia nella città di Aachen
che in quella di Colonia, dopo perquisizioni, sequestri di armi e di denaro in
tipici locali a luci rosse, nei quali il giro della droga e della prostituzione
era normale, si attende che anche in altre città venga contrastata l’esistenza
di centinaia di rocker che, a cavallo di costosissime moto “Harley”, prendono
di assalto autostrade ed anche centri di città.
“Verbot” (proibizione) è la parola ricorrente tra le
autorità preposte all’ordine civico, dopo spari contro abitazioni, esplosioni
di bombe a mano e lotte su strada.
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Attualità e sociale dalla Germania. Le manie degli zoo in casa. Animali umanizzati. Tragicomico consumismo.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'Emigrante", gennaio, febbraio, marzo 2012)_____________________
Cani, gatti, rettili di ogni specie, pappagalli, scimmie, ragni, tartarughe ed altro di esotico, esposti in vendita su grandi fiere o su Internet. Qui in Germania si apprende dell'esistenza in Berlino, dal 1981, di una panetteria che vende torte e biscotti per i cani; mentre altrove molti cuccioli, importati illegalmente dalla Polonia e dalla Romania, si accucciano dietro la vetrina di un negozietto, in attesa di acquirenti. C'è un grande fervore d'interessi per lo "zoo in casa" e si stima che 40 milioni sono gli animali registrati e non si contano quelli fatti passare le frontiere e venduti sottobanco (i più sono di specie esotica e sotto protezione e quindi maggiormente richiesti).
Si apprende della esistenza persino di un calendario dell'"animale dell'anno", cioè dell'animale che "va di moda" in questo o nel prossimo anno. Tutto dunque viene organizzato con interesse acribico da parte di una grande industria che provvede per mangime, abbigliamento, medicinali, vitamine, perfino per collarini diamandati e prodotti per la cura e la bella presenza soprattutto di cani e gatti. I quali starebbero anche meglio senza parrucchiera, dal momento che vengono chiamati "baby", baciati sul muso umido o lasciati adagiarsi sul sofà o sul letto matrimoniale o lasciati saltellare qua e là con acrobazie divertenti per il/la padrone/a. Una padrona mi ha lasciato augurare "buon giorno" dal suo cagnolino, convintissima che esso parlasse....
L'umanizzazione degli animali, domestici e non, tocca oggi tale apice che essi divengono eredi di grosse somme di denaro o meritano la sepoltura sotto lapidi di lusso. E poi gli altri animali dentro gli acquari, terrari, voliere e steccati, secondo statistiche e sondaggi di opinioni, fruttano milioni e milioni di euro all'equipe interessata a creare il circolo vizioso dell'umanizzazione degli animali e del consumismo. Poi moltissimi di essi finiscono abbandonati sulle strade, sulle scale di abitazioni o nei contenitori.
Proprio mentre scrivo urla una vicina di casa presa dal panico, notando un grosso serpente che striscia davanti alla sua abitazione. E mentre la TV informa che l'ennesimo bambino è stato morso da un cane da lotta, mi chiedo se lo "zoo domestico" ed anche quello ufficiale esistente in ogni città non siano altro che un carcere per animali che vivrebbero a loro agio, nel loro habitat di origine. I mass media ce li mostrano ormai con riprese grandiose che potrebbero bastare.
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Attualità e sociale dalla Germania. La Festa nazionale della Riunificazione: un bilancio. La libertà per essere se stessi: i ricordi. LA CASTA INTOCCABILE. LA VECCHIA SOLFA DEL BENE COMUNE.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'Emigrante", ottobre, novembre, dicembre 2011)
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La Festa nazionale della Riunificazione: un bilancio
La Germania ha celebrato il 21° anniversario della sua Riunificazione, facendo un breve, analitico e critico bilancio; il bilancio dell'identità di due popolazioni che, dopo l'abbattimento del funesto Muro che divideva Berlino, si chiedono: "siamo veramente un solo popolo?".
"Non ancora del tutto un solo popolo", arriva la risposta da parte di certi politici ed anche di gente della strada, dal momento che molti ex cittadini dell'allora DDR (Repubblica Democratica Tedesca) confessano una certa nostalgia per il suo regime socialcomunista mormorando:"si stava meglio quando si stava peggio". Eppure la Repubblica Federale Tedesca si è sinora dimostrata abbastanza solidale verso la ex DDR, a suon di parecchi miliardi che hanno permesso ad essa di cambiare totalmente faccia. Oltre alla nostalgia per l'ex DDR, nostalgia sprovvista di alcuna ragione, è percepibile nell'ex DDR un pullulare di neonazisti. Ci si chiede: "Proprio nell'ex DDR, dove si recitava il rosario moscovita e si combatteva il nazifascismo?". Al picconamento del Muro nel 1989 il popolo dell'ex DDR aveva gridato, nella sua pacifica rivolta, "Noi siamo il popolo!".
La libertà per essere se stessi: i ricordi.
Nel 1961 mi trovavo a Francoforte sul Meno e non immaginavo, mentre veniva eretto il fatale Muro, che un giorno avrei messo piede nella DDR; la prima volta, poi, nel 1977. Mi accorgevo allora di fare un brutto sogno e pensavo che il termometro spirituale di un popolo scende se esso possiede la gioia del vivere e la fiducia nel futuro. Oltrepassata la frontiera, nel mezzo di colline sulle quali troneggiavano le torrette di controllo e filo spinato a destra e a manca, lunghe file di automobili in attesa di raggiungere lo stabile della "VOPOS" (polizia del popolo). Con fucili mitragliatori sul petto, visi gelidi e gesti assai militari, i "VOPOS" attendevano i "visitatori", per incassare un "transit" ed una tassa di soggiorno, dopo avere controllato anche il serbatoio della banzina ed altro.
Si doveva dichiarare dove e per quanto tempo uno voleva recarsi, poi esortati a recarsi al rispettivo comune, ove si veniva registrati ed avvisati di volere ripassare al municipio il giorno della partenza. Ed allora era possibile girare per le strade dissestate, prendere nota delle immagini di Lenin ad ogni crocevia, leggere le scritte esaltanti il "progresso" socialcomunista all'ingresso di ogni fabbrica "Arbeit macht frei" ("il lavoro rende liberi"), osservare le vecchie automobili "Trabant" e "Wartburg" saltyellanti su un asfalto consumato e pieno di pericolose buche, prendere nota delle vetrine di negozietti con l'esposizione di pochi barattoli dalle etichette invecchiate, leggere i giornali dalle cronache spicciole e provinciali, inneggianti alla libertà (!)....Tutto, come in un immediato dopoguerra. La Libertà: intesa dopo il lavaggio quotidiano dei cervelli; la Libertà che avrebbe dovuto concedere alla gente di essere se stessa; di pensare ciò che si vuole e quando si vuole, di recarsi dove e quando si vuole. Un incubo, la ex DDR.
ITALIA. LA VECCHIA SOLFA DEL BENE COMUNE.
Caro Direttore,
le Amministrative ed il Referendum recenti hanno offerto ancora una volta l'occasione di riflettere sulla travagliata vita dei politici, vittime d'una nevrosi del profilarsi per tenersi cara o conquistare una poltrona; per fare carriera, arrivando al potere. Perché quando si ha potere si possono promettere tante cose, anche risposte alle richieste degli elettori che devono avere molta pazienza.
Queste attese dell'elettorato sono sempre molto annose e siccome la pace passa per lo stomaco (stomaco vuoto, rabbia scontata), mi piace ricordare l'esino cui il poeta Modesto Della Porta ha fatto implorare: "Fammele mangiare ora quattro fave e non quando rimango senza denti". Allora il proprietario contadino si diede grande premura per accontentare l'animale; troppa premura, tanto che l'asino morì di contentezza. Succederà la stessa cosa se certi politici, pur avvertendo uno scricchiolio della "impalcatura", vogliono assicurare che tutto è in ordine e presto saranno soddisfatte le attese degli elettori?
A proposito di scricchiolio ricordo che la vetrina di un negozietto di cornici che frequentavo anni addietro mostrava una vistosa scritta: "La travatura scricchiola". Era un avviso di fallimento. Perché tanta ironia, si chiederà qualcuno se tra tanti politici taluno ha successo, vendendo l'azzurro del cielo? Gli elettori, penserà talaltro, hanno anche bisogno di sognare, di partecipare alle "visioni" degli eletti "riformatori", per dimenticare la realtà del quotidiano, magari intascando ritagli di giornale per illudersi di possedere denaro (lo faceva un amico fabbricante spagnolo finito in rovina). Passa un giorno, passa l'altro, tra politici che urlano l'uno sull'altro; che si accapigliano, si calunniano, si adulano, si infangano (per fortuna, non tutti) c'è certamente qualcuno che pensa al "bene comune"; che vuole responsabilizzarsi per la "res publica"; che vuole essere la figura ideale e di buon esempio; che vuole combattere la precarietà dei giovani e dei lavoratori.
Questo qualcuno è però solo e pertanto conta poco. Di qui la ripetuta esortazione del saggio Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a rendersi collettivamente consci delle proprie responsabilità sociali e politiche. Speriamolo, per una rinascita. Cordialità.
LA CASTA INTOCCABILE
Caro Direttore,
fa un pò pena la condizione di certi ricchi che non sono tanto felici quanto lo sono molti poveri. Nell'ansiosa attesa di trascorrere la giornata come jet-set, molti ricchi cercano anche convulsi d'imporsi, di sentirsi ciò che sembrano di essere, ma che non sono. Questa casta di ricchi, che da molti anni riesce a evadere il fisco, è oggetto di attualità tra politici italiani e d'oltralpe, tutti intenti a fare "manovre" e riforme, tagliando qualcosa ai comuni contribuenti ed ai comuni che a loro volta sono costretti a tagliare servizi alla gente della strada. Per riordinare i conti ed i debiti pubblici, si è alla ricerca travagliata di molti miliardi. In Italia come in Francia e in Germania viene nominata la "patrimoniale" ma a mezza bocca, cioè la si cita ma si volta poi la testa, come se si parlasse del diavolo. Perché? Eppure, se la casta dei ricchi venisse cosrtetta a pagare le imposte, come di dovere, se ad essa venisse veramente ostruito il passaggio verso l'evasione fiscale, tanti miliardi verrebbero messi insieme per far fronte alla crisi. Evidentemente le lobby ricche sono tanto forti ed influenti che tanti politici desistono dal proposito di arrecare loro "fastidi". E poi, certi politici non fanno comunella con i grandi gruppi industriali e finanzieri? Altrimenti, come si spiega che solo oggi, crisi a parte, si parla di tassare i ricchi? Tra burocratese e politichese, chiusura degli occhi per non toccare gli interessi di singole persone e lobby finanziariamente altolocate, si è lasciata nascere la casta intoccabile. Fino a quando?
Cordialmente
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Attualità e sociale dalla Germania. Le Missioni Cattoliche italiane dal 1 al 3 ottobre a Berlino per festeggiare il 150° dell'Unità d'Italia e la Riunificazione della Geermania.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'Emigrante", aprile, maggio giugno 2011)
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Due grandi eventi: il 150° dell'Unità d'Italia e la Riunificazione della Germania ricorrente il 3 ottobre verranno festeggiati dal 1 al 3 ottobre a berlino, con la partecipazione di varie Missioni Cattoliche Italiane, su iniziativa di Don Guido Lemma della M.C.I. di Dortmund.
Il 75enne Padre Don Guido Lemma delle Missioni Cattoliche Italiane a Dortmund, durante un momento di festa.
I punti più importanti del programma: visitare la capitale tedesca, una messa celebrata dal nunzio Apostolico della Germania, un raduno presso l'ambasciata d'Italia per commemorare i 150 anni dell'Unità della nostra Nazione. Per info e prenotazioni: M.C.I./Dortmund - tel. 0231.815040 - e.mail: mci.do@t-online.de.
Il Consolato d'Italia a Dortmund annega nel lavoro
Al ministro Franco Frattini viene rivolta la preghiera di volersi cortesemente interessare delle condizioni del Consolato d'Italia a Dortmund, che annega nel lavoro, a causa dell'insufficienza del personale ridotto a 12 impiegati. Tale insufficienza non è nuova ed è stata fatta presente più volte al competente Ministero che ben sa che al Consolato in questione si rivolgono circa sessantamila connazionali per il disbrigo delle loro varie pratiche. E' naturale che il servizio è ridotto ed alcuni impiegati risultano oberati di lavoro e stressati, essendo costretti a svolgere non una ma anche due o tre mansioni, ogni giorno.
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Lettere alla Redazione. Il più vecchio mestiere. Attualità e sociale dalla Germania: sex-gangster e omicidi in libertà. Apprensione e risentimento di genitori.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, gennaio-febbraio-marzo 2011).
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Il più vecchio mestiere
Caro Direttore, “Quelle signore” di cui si sono occupati filosofi dell’erotismo, vendono il piacere anche nei comuni tedeschi rimasti al verde e vengono considerate una fonte di entrata. Dove prima d’ora la prostituzione aveva luogo in una certa strada periferica, come e quando, oggi le autorità comunali hanno pensato di tassare le meretrici, giorno per giorno. Un gettone del valore di sei euro deve essere acquistato presso uno sgabuzzino sito sulla via del sesso e così l’amore venale non è più tabù. Stando così le cose, il “commercio dell’amore” è divenuto un fatto legale, anche all’aperto. Perché quello che si svolge nelle “case del piacere” è stato qui sempre legale e gradito per il fisco. Quando Erodoto si occupò dell’usanza vergognosa “dei Babilonesi e delle donne costrette a recarsi nel tempio di Militta, almeno una volta nella vita, per unirsi con un qualsiasi uomo, egli citò “la moneta di qualsiasi taglio”, che, ritenuta sacra, non poteva essere rifiutata. E poi Strabone e Quinto Curzio: “Popolo corrotto e dedito ai più sfrenati piaceri ed a voluttà…”. Per lucro, la “libera professione”, ieri ed oggi. Victor Block ha scritto:”Senza quelle signore la storia avrebbe seguito un altro corso”. E’ vero? Cordialità.
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Attualità e sociale dalla Germania. Sex-gangster e omicidi in libertà. Apprensione e risentimento dei genitori.
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___________________(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce del
La Corte europea di Giustizia di Stasburgo ha pronunciato la sentenza ed è apprensione, risentimento, negli animi dei genitori sia tedeschi che italiani qui residenti. Scontata la pena, pericolosi delinquenti sessuali o omicidi dovevano sottoporsi ad una supplementare detenzione protettiva. La Giustizia strasburghese ha deciso in modo contrario, volendo rimettere in libertà, nei prossimi mesi, circa cento recidivi soggetti, argomentando che la loro “dignità personale va rispettata”. Naturalmente tutto ciò suona per tanta parte del popolo tedesco come una grave offesa all’onore di molte vittime e come derisione del dolore di familiari e parenti. Tanto che il capo del sindacato della polizia, Reiner Wendt, ha criticato:” La Politica ha fallito. I giudici hanno commesso un grave errore”. E quindi, nell’apprendere anche di un previsto risarcimento per i detenuti prossimamente in libertà (qualcuno di loro è già in giro, scortato giorno e notte da poliziotti), egli ha aggiunto:” Questo significa un vergognoso accrescimento dello scandalo”. Mentre il ministro della Giustizia Bern Busemann protesta e chiede che la Corte Costituzionale federale di Karlsruhe esamini il problema sollevato da Stasburgo, tenendo conto che la stessa Corte, nel 2004, si pronunciò a favore di una supplementare detenzione di recidivi soggetti, ritenendola compatibile con la Costituzione, si apprende che il Langdericht Beyreuth/Baviera (si spera che sia un unico atto in Germania) vuole già optare per la messa in libertà di recidivi criminali.
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L’Angolo della poesia SVENTOLA, TRICOLORE Sventola, Tricolore, bandiera del mio cuore. Ai cento cinquant’anni di lotte e d’affanni per l’Unità raggiunta un grande sole spunta. Festa a primavera per l’Italia che spera in un sommo destino. Io Le sono vicino. Sventola, Tricolore, bandiera del mio cuore. Luigi Mosciàno
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Attualità e sociale dalla Germania. Le vie dell’immigrazione e i problemi dell’integrazione. Mostra del pittore Giuliano Ziveri.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, ottobre – novembre – dicembre 2010). ______________________________
Nella vecchia miniera “Zeche Hannover” della città di Bochum da anni divenuta un museo industriale, è stata allestita nei mesi di agosto e settembre una mostra “Wege der Migration” (“Le vie della migrazione”). Arrivare, partire o rimanere. Da più di 150 anni la zona della Ruhr è stata un land dell’immigrazione. L’industrializzazione vi ha assorbito milioni di forze lavorative non solo volontariamente, ma ain maniera costrittiva, se si pensa ai perseguitati dal nazionalsocialismo. Oggi vivono nella zona della Ruhr appartenenti a 170 diverse nazionalità. Dal 1850, iniziata l’industrializzazione del land che oggi conta 18 milioni di abitanti ed è il più abitato dalla Germania, i primi vi immigrarono dai land limitrofi, seguiti da lavoratori francesi, italiani, belgi e poi polacchi; quest’ultimi a formare il gruppo più grande nel secolo diciannovesimo.
La regione della Ruhr
Durante le due Guerre Mondiali centomila esseri umani vennero costretti a lavori forzati. Negli anni ’50, poi, per la ricostruzione ed il “miracolo economico” ebbe luogo un reclutamento di Italiani, Spagnoli, Greci, Turchi, Marocchini, Portoghesi, Tunisini e Jugoslavi. Lavoratori per le miniere del carbone e dell’industria del ferro e dell’acciaio. Tutti loro contribuirono allo sviluppo della zona della Ruhr, la “locomotiva” economico-finanziaria della Germania. Nel testimoniare tutto ciò, la mostra in questione ha avuto luogo in un momento in cui in questa Nazione si discute accesamente sull’immigrazione e sull’integrazione mancata soprattutto di grandi gruppi musulmani. Thilo Sarrazin, un banchiere che s’è fatto scrittore, ha scritto il libro “Deutschland schaft sich ab” (traduzione a senso: La Germania va a rotoli). Il libro denuncia il razzismo passivo di molti musulmani, comunità vivente appartata, parallelamente a quella tedesca e senza voglia d’integrarsi, ma desiderosa d’intascare sussidi e tra l’altro senza volontà di lavorare. E un accusa anche per la Politica che tollererebbe il tutto, dopo non avere posto un controllo all’immigrazione musulmana. I politici sono andati su tutte le furie. Ma, tanto, non risolve il problema della mancata integrazione, che lamenta il Sarrazin nel suo libro. C’è solo da precisare che tra gl’immigrati turchi ed in generale musulmani esistono persone che si sono affermate nel campo cognitivo, letterale, tecnico, tecnologico, commerciale, politico e scientifico. Queste persone pagano qui miliardi di tasse.
Mostra del Pittore Giuliano Ziveri.
Patrocinata dal Consolato Italiano di Dortmund, dalla città di Hagen e dalla Provincia di Parma, ha avuto luogo, dal 25 ottobre al 21 novembre, una mostra del pittore parmense Giuliano Ziveri, nei locali della Enotria Vino, nella città di Hagen.
Le opere del Pittore Giuliano Ziveri
Allievo del famoso Carlo Mattioli, maestro dell’Arte del XX secolo, lo Ziveri ha esposto in Italia ed all’estero sin dal 1978. L’elenco delle sue esposizioni è abbastanza lungo. Nella mostra in questione, il cui vernissage è stato onorato dalla presenza della console dott.ssa Paola Maria Cristina Russo e da altre Autorità del Comune di Hagen, ha fatto eco la massima dell’Artista: “L’Arte è la forma pura della comunicazione, dell’assoluta comunicazione”. Nella sua ricerca teoretica, la luminosità tagliente mediterranea e la forza irradiante, che il pittore infonde nelle opere, sono il risultato d’una scomposizione digitale, di un annientamento delle opere originali, quasi per compiere il sacrificio di sottomettere all’Arte la tecnologia digitale, ai fini d’un’esaltazione della purezza artistica. E’ un processo tutto suo e sofferto, quello del pittore Ziveri, il quale appartiene alla schiera dei Maestri contemporanei. Una degustazione di vini del Sud Tirolo e del Sud Italia, come pure un assaggio di salumi del Belpaese, sempre nei locali dell’Enotria Vino, ha fatto pensare all’altra Arte: quella del buon gusto e del saper vivere. E’ anche il il motto del Pittore parmense col suo “giuoco dei sensi”. ____________________________
Attualità e sociale dalla Germania. Indescrivibile caos per i Consolati italiani. Il 64° anniversario della Repubblica Italiana. Festa del Consolato a Dortmund. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, luglio- agosto-settembre 2010). _______________________________
Un altro colpo di scena per le sedi consolari italiane: se prima si sapeva di quelle di Saabrüken, Norimberga ed Amburgo, che dopo ansie e tentennamenti non dovevano più chiudere, mentre quella di Mannheim era ancora a rischio, è arrivata la deludente notizia della loro totale chiusura. E’ logico il taglio? La comunità italiana che aveva sperato in un ripensamento della Politica del Belpaese ed in una vittoria del buon senso, si convince sempre più di venire abbandonata al proprio destino; di venire contattata soltanto nei giorni delle elezioni. Indescrivibile il caos per le sedi consolari, la cui chiusura causerà più spese che una loro ulteriore funzione. Che fine faranno le migliaia di atti, le centinaia di costosi computer e mobili? Dove andrà a finire la falange degli impiegati consolari? Dove dovranno dirigersi i Connazionali per il disbrigo delle varie pratiche? Dalle scrivanie della Capitale, un totale silenzio. E si sente solo l’Italiano emigrato che si entusiasma all’Inno risorgimentale di Mameli; che vuole essere sempre più europeo, ma che purtroppo scarnifica, perché si vede emarginato, proprio dalla sua Patria. PS: Riusciranno le sedi consolari rimaste a far fronte alla mole di lavoro che lasceranno quelle che non saranno più in funzione?
Il 64° anniversario della Repubblica Italiana. Festa del Consolato a Dortmund.
250 sono stati gli ospiti (connazionali ed autorità tedesche ed italiane) della Festa della nostra Repubblica che il Consolato Italiano di Dortmund ha celebrato nel Museo della Cultura e dell’Arte (MKK) della città. Ha fatto gli onori di casa la console, dott.ssa Paola Maria Cristina Russo. Riferendosi al coincidente 150° dell’Unità d’Italia, la Console ha auspicato coesione, pace e benessere soprattutto in questi giorni critici. Un cenno all’europeismo ed alla crescente sinergia culturale e commerciale tra Italia e Germania. Il Duo “2Far” ha provveduto alla cornice musicale della serata che si è conclusa con un buon buffet. ___________________
Attualità e sociale dalla Germania. Un’alternativa per lo stato sociale? Salvati tre Consolati italiani. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”) (aprile, maggio, giugno 2010)
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Un’alternativa per lo stato sociale? Alla ricerca di un’alternativa sembrano fumare i cervelli di quanti si stanno occupando del tema “sostegno sociale – stato sociale”. Molti dei 68O mila italiani immigrati porgono orecchio alle varie dichiarazioni da parte di associazioni assistenziali che invocano celeri sovvenzioni per quei comuni che stanno impoverendo, tanto da non poter più garantire sostegni sociali.
Pellizza da Volpedo (dipinto)
Gli afflitti dalla miseria, dunque, sono costretti a struggersi nel loro stato. La Germania vive di prestiti. Recentemente ha dovuto contrarre un altro debito di 80 miliardi di euro che vanno ad aggiungersi al vecchio gravame di 1,5 bilioni di euro. Ciò significa che ogni secondo gli interessi ammontano a circa 300mila euro. “Uguali condizioni di vita e di chance per tutti i cittadini”, reclama un’associazione di assistenza. “Chi è povero”, aggiunge essa, “non deve soffrire maggiormente la vita se la città in cui lui vive è al verde”. I critici del sostegno sociale e dello stato sociale però sostengono che il tutto non può più avere una copertura finanziaria. Dimenticare e seppellire dunque lo stato sociale? “No”, rispondono le associazioni assistenziali. “Dello stato sociale abbiamo bisogno con urgenza, di fronte ai cambiamenti strutturali in atto nel mondo del lavoro”.
Cambiamenti possibili solo tramite uno stabile stato sociale; uno stato dotato di elementi di sicurezza, solidalmente finanziati, sottolinea l’ ”Azione diaconale”, “lo stato sociale è più importante di quanto si pensi”, continua, “dal momento che si registrano 11 milioni di poveri, di cui 3 milioni di bambini”. “Il nostro stato sociale”, evidenzia, “ è una conquista che ci invidiano altre nazioni”. “La Corte Costituzionale Federale”, interviene un’associazione di Assistenza pubblica, “ha esortato ad assicurare un minimo per l’esistenza di quanti si trovano sull’orlo della miseria, come pure ha ricordato che bisogna concedere ai bambini le giuste possibilità di istruirsi”. “Non esiste un’alternativa per lo stato sociale”, afferma un privato, “bisogna rafforzarlo e svilupparlo. Chi sostiene che lo stato sociale non possa essere finanziato”, fa rilevare, “mente. Perché se lo Stato contrae debiti per aiutare banche e gruppi industriali in crisi, esso non può minare la coesione sociale”. Salvati tre Consolati italiani Ha vinto il buon senso. Dopo accese discussioni e lotte, i Consolati di Amburgo, Norimberga e Saarbruecken non verranno chiusi. Resta in sospeso il destino del Consolato italiano di Mannheim, ma speriamo che anche esso resti funzionante. _________________________________ - Attualità e sociale dalla Germania (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “Abruzzo nel mondo”) (marzo-aprile 2010) _________________________
I 60 anni della Costituzione, i 20 anni dell’abbattimento del fatale Muro ed i 70 anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale sono tre ricorrenze storiche per la Germania. Per gli Italiani qui residenti da decenni è stato particolarmente ricco di emozionanti ricordi l’evento della caduta del Muro e della conseguente riunificazione della Germania. Perché? Durante l’esistenza della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), ritenuta un “carcere” dal quale centinaia e centinaia di persone riuscirono ad evadere e quasi duecento di esse perirono mitragliate, la solidarietà di molti coraggiosi Italiani consistette nell’ideare e nel partecipare a fughe rocambolesche lungo tunnel scavati assieme ai Tedeschi. Costoro volevano liberarsi dalle grinfie e dalle vessazioni della polizia popolare (VOPO) come pure della sicurezza di stato (STASI). Sempre solidali gli Italiani nella rivolta pacifica di Lipsia, uniti a 70 mila persone al grido “Il popolo siamo noi”. Gioia ed entusiasmo, poi, nell’ora del picconamento del Muro ed anche alla presenza davanti alla Porta di Brandeburgo, nella notte del 3 ottobre 1990, per festeggiare la Riunificazione. Un popolo fino allora “carcerato” aveva conquistato una libertà di parola, di viaggio, di riunione e di libero voto.Tripudio di massa. Il regime dittatoriale della Germania ruffiana della Russia s’era infranto e la Nazione riunificata iniziava la faticosa ricerca di una identità spirituale e nazionale. Oggi non sono in pochi a rivolere il Muro della crudele divisione: esiste un altro Muro? Incredibile. ____________________________________
- Attualità e sociale dalla Germania. Un’edizione bilingue. Chiusura dei Consolati. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante” (gennaio – febbraio – marzo 2010 e per “Abruzzo nel mondo” , gennaio-febbraio 2010).
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Un’edizione bilingue Ne parlano molto spesso politici e mass media, ma quanti Italiani e Tedeschi conoscono bene la propria Costituzione? Un’edizione bilingue, un lavoro certosino ed assai utile, eseguito dai COM.IT.ES di Monaco di Baviera, Colonia e Dortmund, viene distribuito gratuitamente presso le circoscrizioni consolari delle citate città. L’introduzione del volume “Italia – Germania 60 anni di Costituzione” ricorda che la Costituzione italiana entrò in vigore il 1 gennaio 1948, mentre quella tedesca il 23 maggio 1949. Un duplice 60° anniversario, dunque, onorato con la 2presentazione dei testi delle due Costituzioni nella lingua originale e nella traduzione”. In un messaggio del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, si legge all’inizio del volume: “….La data del 1 gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è viva ed ha un futuro, una tavola di principi, di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme, animando una competizione democratica, senza mettere a repentaglio il bene comune”. Anche il Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Horst Köhler ha voluto scrivere un messaggio in apertura del volume “La nuova Costituzione, con i suoi solidi legami ai principi fondamentali, ha creato la base per la ricostruzione ed il rientro nella comunità dei popoli da parte di una Germania moralmente screditata e che aveva perso ogni fiducia sia all’interno che all’estero” A chiusura del suo messaggio il Presidente Horst Köhler ha sottolineato: “ La legge fondamentale tedesca e la Costituzione italiana, con i valori in esse incarnati, offrono una solida base sulla quale realizzare insieme il nostro futuro europeo”. Un grazie ai responsabili dei COM.IT.ES citati all’inizio per il volume pubblicato: un regalo per Italiani e Tedeschi che hanno interesse di sapere di più dei “diritti e doveri dei cittadini”, come pure dell’Ordinamento delle loro Repubbliche”. Chiusure di Consolati Sono comprensibili l’agitazione ed il risentimento dei Connazionali dopo la notizia della chiusura delle sedi consolari nelle città di Amburgo, Norimberga, Saabrücken e Mannheim. Da una parte l’interesse del Ministero degli Esteri di un riordinamento e di un risparmio di costi; dall’altra la preoccupazione di contrattisti che, con la chiusura delle succitate sedi, diverranno disoccupati. C’è poi il problema di migliaia e migliaia di Italiani che, con la chiusura di detti Consolati, saranno costretti a compiere centinaia di chilometri per il disbrigo delle loro pratiche presso sedi “ausiliari” che verranno rese note. Sono pratiche riguardanti la Scuola, il servizio militare, la pubblicazione di matrimoni, il rilascio o rinnovo di passaporto, la registrazione di atti di maternità e paternità, come anche di sentenze di divorzio e di atti notarili. Dalle scrivanie romane, purtroppo, tutto il problema incombente viene considerato presumibilmente in un’altra prospettiva. Per 50 lunghi anni fu atteso il voto per gli Italiani all’estero. Per l’oscuramento ancora in atto di programmi televisivi si ebbero solo promesse di porre fine alla sconvenienza, e da anni. Forse per quanto riguarda la chiusura di sedi consolari, secondo quanto apprendiamo, potrebbe essere d’aiuto la realizzazione di un’avanzata proposta della creazione di una “ Fondazione” che dovrebbe “sostenere tutte le funzioni degli Uffici consolari e le Agenzie consolari; proteggere e tutelare gli interessi dei cittadini residenti all’estero; provvedere alla tutela dei lavoratori italiani e delle condizioni di vita, di lavoro e di sicurezza sociale, favorire attività educative, assistenziali e sociali; stimolare nei modi più opportuni ogni attività economica e sviluppare e sostenere relazioni culturali”. Torneremo sull’argomento.
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Attualità e sociale dalla Germania. Farsa di periferia. Un bilancio mancato. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”) (settembre/ottobre 2009). ________________________________________
Farsa di periferia Contraddittoria la figura dell’ammiraglio Wilhelm Canaris, prima capo del controspionaggio della “Wermacht” (“Forze armate”, fidatissimo di Hitler, al quale avrebbe consigliato l’imposizione della stella di David per gli ebrei; poi combattente della Resistenza e giustiziato nel 1945 per aver congiurato contro il dittatore. Nato il 1 gennaio 1887 a Dortmund-Aplerbeck (il padre Carl Canaris era direttore di uno stabilimento metallurgico del luogo), Wilhelm Canaris si ritrova oggi al centro di una diatriba che ha luogo nella località suddetta, dove una strada fu a lui dedicata e non si sa più da chi e quando. Gli è che un’associazione ebraica esistente nelle vicinanze (dove si trova anche un cimitero ebraico) non vuole più tollerare l’esistenza della targa stradale “Canaris”. Pro e contro anche da parte degli abitanti della zona, dove la “Iniziative Freie Buerger” (“Iniziativa dei cittadini liberi”) ha preso in mano la bollente patata, facendo rilevare che distruggendo la detta targa stradale significherebbe costringere gli abitanti del luogo a cambiare sia i documenti personali sia i loro indirizzi, come anche la pianta cittadina. La soluzione consigliata dalla “Iniziative”? Resta il nome di Canaris, però preceduto dal Carl (padre dell’ammiraglio).
L'ammiraglio Wilhelm Canaris Mentre la farsa sembra affievolirsi, arriva la notizia di onori postumi per Canaris: un movimento ebreo ultraortodosso afferma che”…l’ammiraglio Wilhelm Canaris salvò la vita di 500 ebrei nel ghetto di Varsavia. Dobbiamo riconoscenza, continua, ad un uomo meritevole di grande rispetto”. Un bilancio mancato Anche gli Italiani residenti all’estero hanno potuto assistere con interesse alla scenografia nella quale ha avuto luogo in luglio il G( in quel di L’Aquila. Essi hanno ammirato la perfetta organizzazione, la ricercata mimica delle personalità convenute da 25 Paesi, lo squarcio delle sedute, le “foto di famiglia” e la loquacità del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che non ha mancato di elencare, in chiusura, la quantità delle “dichiarazioni di buone intenzioni” rilasciate dai riuniti. Gli Italiani emigrati hanno preso conoscenza del tutto, ma hanno sentito la mancanza di un bilancio riguardante i precedenti G8. I buoni propositi espressi sono stati tradotti in realtà? Un breve rendiconto sarebbe stato cosa facile per l’eloquente Presidente Berlusconi. O che le buone intenzioni accumulatesi nei precedenti vertici G8 siano naufragate? Non vogliamo crederlo. _____________________________________Attualità e sociale dalla Germania. Il 63° anniversario della Repubblica italiana. Il Consolato d’Italia di Dortmund ha festeggiato. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2009). ______________________
La Westfaelische Wilhelm Universitaet di Muenster. Il castello. Il Consolato d’Italia di Dortmund ha festeggiato il 2 giugno il 63° anniversario della Repubblica Italiana nell’aula magna della “Westfaelische Wilhelm-Universitaet” della città di Muenster. Nell’Università, che è un imponente castello ricco di storia, l’ospitante cancelliere dott. Stefan Schwartze ha dato inizio alla manifestazione con un caloroso saluto ad un centinaio e passa di convenuti italiani ed anche tedeschi. Egli ha fatto presente una sempre più rilevante sinergia di vicendevole arricchimento culturale tra Tedeschi e Italiani, sottolineando che molti studenti italiani frequentano l’Università citata, dedicando particolare studio alle nuove tecnologie. E’ intervenuta poi la console, dott.ssa Paola Maria Cristina Russo che ha ricordato sia la fondazione della nostra Repubblica sia il Trattato europeo di Roma, evidenziando la crescente intensità dei rapporti tra Italiani e Tedeschi; rapporti non solo socio-politico-economici, ma soprattutto culturali e tesi ad una visione sempre più vasta dell’Europa e dei suoi grandi valori umani e cristiani. A proposito dell’Europa, sarebbe stato gradevole ascoltarne l’inno assieme a quello risorgimentale ed un po’ anacronistico di Mameli. Ha comunque entusiasmato i presenti un concerto per violino, viola e violoncello, eseguito dal Trio Broz di Rovereto, molto applaudito per la sua bravura, nell’esibirsi con una “Sonata da camera” di Antonio Vivaldi e con le “Goldberg Variationen” di Johann Sebastian Bach. La console ha per ultimo conferito riconoscimenti a vari connazionali per la loro attività nei settori del Sociale, dell’Associazionismo e della Cultura. Un ricevimento nel foyer dell’Università-castello ha coronato il festeggiamento.
La storia del gelato italiano in Germania
Una mostra sulla storia del gelato italiano in Germania è stata allestita, dal 14 giugno all’11 ottobre 2009, nell’ex miniera “Zeche Hannover”, nella città di Bocum. I gelatieri italiani nella regione della Ruhr e come cominciò la loro immigrazione. Già nel 1860 i primi maestri del gelato lasciavano le valli di Zoldo e del Cadore per vendere il loro prodotto in Austria e nell’Europa dell’Est. A fine secolo, poi, essi raggiungevano la regione della Ruhr con i loro tipici carrettini. Poi aprivano le prime gelaterie e si espandevano in tutta la Germania. 150 sono i pezzi esposti, per documentare il passato ed il presente dei gelatieri connazionali. Info: www.lwl-industriemuseum.de L’alba, l’aurora, il sole Ricordate? “All’alba quando spunta il sole là nell’Abruzzo tutto d’or”…Leggiamo che l’alba è la prima luce che compare in cielo tra il termine della notte e l’aurora. Mentre l’aurora è il chiarore che precede a oriente, dopo l’alba, il sorgere del sole. Dunque, niente sole all’alba. Auguriamo, comunque, che il sole spunti ognora nella nostra amata Terra! ____________________________________________
Attualità e sociale dalla Germania. Un evento culturale europeo nella Regione della Ruhr (Preparativi per lo spettacolo del 2010). La Ruhr di prima. La Ruhr di oggi. La cultura. Il progetto dell’evento europeo. ( Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, giugno 2009). ____________________________________
La città di Essen aspirava tanto a divenire nel 2010 un capoluogo europeo della Cultura. Dopo essere stata eletta, tutta la regione della Ruhr (das Ruhrgebiet) è presa, da mesi, da una febbrile attività. La Ruhr conta 5,8 milioni di abitanti, tra i quali vivono moltissimi immigrati italiani e di altre nazionalità. Essa rappresenta il più grande agglomerato urbano in questa Nazione. 55 sono i comuni appartenenti alla regione, nella quale sono attive 65 imprese che occupano un milione virgola sette di collaboratori sparsi nel mondo e che fatturano annualmente circa un miliardo di euro.

"Zeche Hannover", miniera di carbon fossile fino al 1973, nella città di Bochum. Oggi è (come altre ex miniere del Nord Reno Vestfalia) un museo dell'industria. Organizza varie manifestazioni culturali, dedicando particolare attenzione alla storia dei minatori immigrati, tra i quali migliaia di italiani. La Ruhr di prima La regione era fino a pochi anni addietro il simbolo industriale della germania: le miniere del carbon fossile, le fabbriche del ferro e dell’acciaio, le grandi produzioni della birra, le fabbriche dei grandi macchinari.
La Ruhr di oggi
La Cultura
L’attività culturale ha luogo non solo nell’area di vecchie fabbriche e miniere, con grandi manifestazioni, anche notturne, ma anche in 10 Teatri di Prosa, in 6 sale di orchestre sinfoniche, in 5 Teatri dell’Opera, in 5 complessi di Balletto, in 2 sale di concerti, come pure in 200 musei. La regione, una volta definita la “locomotiva” dell’economia tedesca, negli anni 60 del miracolo economico (das Wirtschaftswunder), al quale parteciparono con coraggio e tenacia centinaia di migliaia di lavoratori italiani, si è abilmente inventata quale fata della Cultura e dell’Arte.
Il progetto dell’evento europeo
1200 sono le proposte che si trovano sul tavolo del progetto, pervenute da 53 città della regione che si appresta ad affrontare circa 50 milioni di euro di costi per l’evento.
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Attualità e sociale dalla Germania. L’Abruzzo forte e gentile. La parola dell’anno. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, maggio 2009).
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Gli Italiani residenti in questa Nazione ed in altre Nazioni del mondo hanno pianto e piangono, raccapricciati, di fronte alle immagini dell’immane tragedia sismica che ha colpito la città di L’Aquila e dintorni. U lutto per tutto l’Abruzzo e tutta l’Italia. C’inchiniamo davanti alle bare delle vittime. Solidarizziamo con i sopravvissuti costretti a vivere nelle tendopoli chissà ancora per quanto tempo. La terra abruzzese trema ancora mentre scriviamo e la suspense va su di giri. Da una parte ci rassicurano interventi e soccorsi repentini da ogni latitudine del Belpaese e di altre Nazioni; dall’altra, delude profondamente il cinico umorismo di un alto politico del Nord, che esorta migliaia di senzatetto a volere considerare la vita nelle tendopoli come il trascorrere un “week-end”…Testimone la Tv. Ora a questo politico che non poche volte inciampa per le sue “barzellette”, venga ricordato che l’Abruzzo non è una regione di cafoni, ma piuttosto nota al mondo quale culla di Arte, Cultura, Scienza e Politica. Al pianto per la sciagura de L’Aquila e di tutto l’Abruzzo si aggiunge la delusione per un’immeritata offesa ad un popolo che saprà certamente risorgere in ogni senso, essendo forte e gentile.
SOLIDARIETA’ e FEDE. La parola dell’anno Corruzioni, concussioni, falsi bilanci, vendite di prodotti bancari tossici, abbattimento degli azionisti, disoccupazione dilagante in Germania, come pure in Italia, produzioni industriali stagnanti, vendite in ribasso, crisi in crescendo. E’ tutta colpa dell’America, afferma uno amareggiato. La parola dell’anno, aggiunge un altro, dovrebbe essere “controllo”. Il controllo del controllo, ribatte il primo, anche perché si deve avere poca fiducia di un solo controllore. La grande bolla delle speculazioni in borsa è scoppiata. E’ da ricordare l’economista americano Lyndon LaRouche che nel suo libro “La forza della ragione” scrisse negli anni ’90: “Non si tratta di una recessione, ma è il sistema che crolla”. Venne sbattuto in carcere. Poi, nel 2001, in una conferenza tenuta a Berlino, riferendosi al “boom” americano, preannunciò un crollo del sistema economico-finanziario: praticamente lo scoppio della “bolla”. E così è successo. Controllo, parola dell’anno, per la Germania, l’Italia ed il mondo intero. Catarsi e speranza in un futuro migliore dell’oggi. ___________
Attualità e sociale dalla Germania. I 60 anni della Repubblica Federale Tedesca ed i 20 anni dalla Caduta del Muro. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, aprile 2009). _______________________________
Anche tantissimi immigrati si apprestano qui a festeggiare, il 23 maggio p.v., e per tre giorni, il 60° anniversario della Repubblica Federale Tedesca. A tale evento farà seguito, il 9 novembre, la 20.ma ricorrenza della caduta del fatidico Muro berlinese (9 nov.1989), che segnò la riunificazione di questa Nazione. Due grandi avvenimenti che La vedono nel bel mezzo d’una crisi finanziaria globale e di un calo delle esportazioni di cui il Paese vive. Il suo debito attuale ammonta ad 1,5 bilioni di euro ed esso rischia di aumentare. Ciò genera incertezza, sgomento e lascia il popolo invocare una “politica dal basso”, cioè una che possa venire seguita dalla prospettiva della gente della strada. La quale ha a che fare e deve farcela con le conseguenze derivanti dalla “grande politica”. Il popolo tedesco, analitico e critico per natura, ha voluto stigmatizzare, anche durante l’ultimo carnevale, pur festeggiando, danzando e ridendo, aspetti ed atteggiamenti di politici, come pure la crisi dilagante. Dai carri allegorici alle battute dei singoli cittadini. “Il portamonete è per i Tedeschi la “parte” più sensibile del corpo”. “C’è panico alla Borsa. Nessuno ha il coraggio di comprare ed è troppo tardi per vendere”. Ancora: “Qui non capisce più nessuno a che gioco styiamo giocando. Chi deve farne le spese?”. I carnevalisti hanno un po’ esagerato, rappresentando la cancelliera Angela Merkel come una maggiorata fisica (dopo alcune proteste, le è stato coperto il seno). Su un altro carro lei è apparsa come una lupa che allatta fameliche bocche. Carnevale, ogni scherzo vale. “Chi vuol esser lieto sia – del diman non v’è certezza”, sarebbe il caso di ricordare. Per i due grandi eventi, congratulazioni di cuore col Paese che ha capacità e funzioni trainanti per l’Europa.
La statalizzazione delle banche?
Se ne parla con tono basso, dal momento che alcune banche, dopo le speculazioni di ogni genere, si aggrappano alle gambe dello stato, supplicando aiuto, altrimenti, il collasso. Non si sa se lo stato passi ad una statalizzazione di banche, cosa che significherebbe per gli azionisti la perdita del loro denaro ed un pugno negli occhi ad altre banche sane che dovrebbero rinunciare al sistema della concorrenza. In ogni modo, coloro i quali portano denaro alle banche, le rendono ricche; poi le stesse vanno a monte ed implorano aiuto. Se lo stato le aiutasse o le statalizzasse, si servirebbe del denaro dei contribuenti. Quindi, sono sempre loro a recitare la parte di poveri munti. Importanti sono gli esseri umani e non i capitali. Una eventuale statalizzazione di banche ci ricorderebbe la teoria del filosofo Karl Marx ed il suo “Il Capitale”.
Lotta alle alghe
Molti sono gli esperimenti per eliminare la piaga delle alghe. Fallito il tentativo di farle fermentare negli impianti di biogas, si è qui passati in quel di Brandeburgo a causticarle e lasciarle decomporre da batteri. C’è poi il caso di Rúgen, dove viene costruito un reattore capace di distruggere le alghe, ottenendone energia elettrica.
Montagne di carta stampata 354 sono qui i giornali quotidiani, con 1512 edizioni locali e con una tiratura complessiva di 20,4 milioni di esemplari. Poi ci sono 28 settimanali con 2 milioni di esemplari e 6 giornali domenicali con 3,5 milioni di copie. 13 milioni di giornali vanno giornalmente agli abbonati, mentre 1 milione di copie viene venduto ogni giorno nelle edicole e nei supermarket. Infine – secondo le statistiche – circa 1 milione di giornali super-regionali va quotidianamente agli abbonati e 257mila copie vengono vendute nelle edicole.
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Attualità e sociale dalla Germania: il testamento biologico, la cultura democratica, un nuovo museo romano. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, marzo 2009). ______________________________
Il testamento biologico
Qui in Germania, come pure in qualsiasi altra nazione europea, il testamento biologico non è più un tabù, da qualche anno. I settantenni vengono esortati tramite i mass media a scriverlo, affinché vengano evitati accanimenti terapeutici in caso di irreversibile stato di coma. Fa pertanto pena che il Bel Paese, come nel caso della povera Eluana Englaro, sia stato costretto a recitare scene di parapiglia, rissa in Parlamento e discussioni in strada. Il testamento biologico concede appunto la possibilità di regolare casi estremi secondo la volontà espressa in modo olografico. Tanto evita lungaggini burocratiche, imbarazzi e difficoltà per i familiari; e soprattutto vengono evitate agitazioni in senso nazionale. La cultura democratica Nel settembre dello scorso anno ci furono dibattiti sul fascismo e sul nazismo, sia in Italia che in Germania. Dichiarati “mali assoluti” i due fenomeni, e da parte di molti, ci si è trovati di fronte al dilemma di proibire ufficialmente i due movimenti totalitari o di lasciare al loro destino gli “incorreggibili” di ieri. Si è parlato, nell’occasione, di ciò che allora si diceva “supremazia” della razza, di deportazioni, di lavoro coatto e di campi di concentramento e di sterminio di sei milioni di ebrei. E’ stato però dimenticato di rimarcare l’insensatezza della Seconda Guerra Mondiale che ha fatto cinquanta milioni di altre vittime e milioni e milioni di invalidi. Un segno di cultura democratica quel dibattere sul fascismo e sul nazionalsocialismo? L’esistenza di migliaia di “nostalgici” sempre più giovani ed aggressivi, sia in Italia che in Germania, lascia dubitare che capitoli sulle due fatali dittature siano stati contenuti nei libri scolastici.
Un nuovo museo romano I “barbari” che duemila anni addietro abitavano sulle sponde del Basso Reno avevano un mozzafiato al cospetto della imponente “basilica termale” della Colonia Ulpia Traiana.
Statua dell'imperatore Traiano a Colonia Ulpia Traiano, odierna Xanten in Germania.
Parco archeologico di Xanten, antica Colonia Ulpia Traiana in Germania. Mastodontica, ancora oggi ammirata nella cittadina di Xanten, la costruzione rivive la sua vetusta storia, sulle fondamenta di un immenso cortile centrale delle terme, sul quale è stato costruito un museo romano. 2500 sono i reperti esposti, trai i quali dipinti di divinità, elmi di legionari, vasi vitrei, pitture murali come anche i resti d’una nave, spezie e tant’altro, a testimoniare la cultura romana nell’area del fiume Reno; cultura dominante fino al declino della Colonia Ulpia Traiana sotto l’assalto dei popoli della Franconia. ______________________________________________"Caro direttore". (Lettera dall’”Altra Italia". FINO A QUANDO?) (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante, febbraio 2009). ______________________________
Caro Direttore, l’ordinanza varata il 25.07.2008 “che estende lo stato di emergenza – legato all’immigrazione – a tutto il territorio nazionale”, mentre si verifica un raddoppio degli sbarchi, riuscirà da sola a normalizzare la situazione? Fino a quando il territorio nazionale italiano potrà tenerle fronte, anche economicamente? Perché l’Italia affronta da sola il problema dell’immigrazione che parte dalla costa libica? Il Bel Paese, membro della Unione europea, le versa un contributo ed ha diritto a pretendere un aiuto, nel senso che gl’immigrati vengano distribuiti non solo sul suolo italiano, ma anche su quello degli altri Paesi membri dell’Ue. La situazione di un’Africa, saccheggiata per secoli da parte del nostro vecchio Continente, diviene viepiù allarmante L’Italia la sta affrontando con coraggio ed umanità, ma l’Ue non può voltare la testa, perché il problema ha carattere ed impellenza supernazionali. Mentre si legge che l’Unione europea si dà da fare per i cetrioli “curvi” e per il destino delle foche, stabilendo che i frutti lunghi e carnosi, anche se curvi, possono venire venduti sul mercato europeo; e che le foche devono essere cacciate in maniera “umana”, cioè “rapidamente”, evitando che i mammiferi patiscano inutili dolori, si ha l’impressione che l’Unione europea operi in una torre d’avorio. Fino a quando? Cordiali saluti
Luigi Mosciàno
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Caro Direttore, (sulla"Dichiarazione universale dei diritti umani") (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'emigrantre, febbraio 2009).
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il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, festeggiato nel dicembre scorso, è stata l’occasione buona per considerare se e come essi vengano rispettati in un tempo di diffuso relativismo dei valori etici. Viene a mente la tragedia di Caino e Abele, allorché si apprende di trenta pesanti crisi e di un aumento del numero delle guerre in atto nel mondo. Le statistiche delle esportazioni di armamenti indicano in cima i nomi di Russia, America e Germania. Si assiste allibiti alla traiettoria di un pericoloso boomerang, quando massacri di gruppi etnici e religiosi si ripetono sempre più spesso, come anche migrazioni di popoli sofferenti di fame e di sete. Speculatori si rincorrono per una loro sempre più grande sfera di triste influenza.
Il terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson.
Il "Bill of Rights" americano del 1791
Il Monte Rushmore con i volti scolpiti dei presidenti degli Stati Uniti, tra cui Thomas Jefferson, il terzo da destra. E l’uomo della strada ripensa alla libertà ed alla dignità umana, alla sicurezza, alla lotta contro l’oppressione. Molto di tutto ciò è stato raggiunto per l’uomo, ma molto è andato perso nel corso di due secoli, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino dell'Assemblea Costituente francese, del 1789, alla "Bill of Rights" degli USA di Thomas Jefferson del 1791, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10.12.1948. La libertà nelle democrazie totalitarie ha assunto tutto un altro contenuto che nelle democrazie liberali. Anche la Dichiarazione de Diritti umani fatta dalle Nazioni Unite non ha significato un impegno giuridico per i singoli stati, ma solamente un effetto morale. L’umanità ha ancora molto da attendere, fino a che da tesi e princìpi nascano norme giuridiche universalmente valide. La massificazione politica in voga conduce al non pensare più, a non essere più critici, a relativizzare i valori profondi della responsabilità civica, della solidarietà e del rispetto della propria persona e di quella del prossimo. Nel Medioevo veniva calmato il popolo dando ad esso pane e vino. Oggi lo sport commercializzato, il sesso mercificato e il narcotraffico dilagante, alla pari del consumo dell’alcol, sono i mezzi usati da gruppi di potere occulto. I popoli hanno da chinarsi? Cordiali saluti
Luigi Mosciàno ______________________
- Attualità e sociale dalla Germania. “Come gli italiani hanno abbellito la nostra vita. GRAZIE MILLE!”. La 13.ma Conferenza Internazionale Metropolis. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'emigrante", dicembre 2008).
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Leggo con ritardo un libro edito nel 2005 e dedicato agli Italiani: “Wie die Italiener unser Leben verschoenert haben. Grazie mille” (“Come gli Italiani hanno abbellito la nostra vita. Grazie mille!”) dell’autrice Carola Rönneburg, editore Herder, Friburgo.
Riferendosi al 20 dicembre 1955 ed all’accordo tra i governi del Belpaese e della Germania riguardante l’impiego di forza lavorative provenienti dal Sud Italia, dalla Sicilia e dalla Sardegna (forze lavorative a basso costo impiegate dai Tedeschi nelle miniere del carbon fossile, nell’industria automobilistica, nelle fabbriche della chimica, del tessile o anche nelle aziende rurali e nei cantieri edili, in numero di circa due milioni di connazionali), l’autrice fa un passo indietro per ricordare che già nel secolo 19mo ed al principio del 20°, gli Italiani emigrarono verso la Germania, dove nel 1937, col “Patto dell’asse”, molti di loro furono impiegati nelle aziende agricole, dato che i Tedeschi erano impegnati nella produzione di armamenti, in preparazione della Seconda Guerra Mondiale. Il libro, nato per lodare gli Italiani, di cui i Tedeschi, secondo l’Autrice, assimilarono concetti e modi di vivere, contiene articoli di vari autori che si sono occupati principalmente dell’aspetto gastronomico, lodando pizza e pasta, espresso, vino ed ortaggi. E poi anche simpatia ed interesse per la moto Vespa, per la musica e le scarpe eleganti importate dal Belpaese. L’influsso della “dolce vita” dello Stivale, il ritrovarsi nelle prime gelaterie, la possibilità di colloquiare con nature aperte, allegre, ingegnose, solidali, insomma molto umane degli Italiani, lascia l’Autrice affermare che il suo libro non vuole esamine l’immigrazione italiana, né particolari fenomeni italiani: esso vuole soprattutto sottolineare che senza la presenza degl’Italiani i Tedeschi si sarebbero cotti a fuoco lento nel proprio sugo. “Ringrazio per tutto quanto straniero ha arricchito e cambiato la vita della Germania”, chiude così l’Autrice la sua prefazione al suo libro, “tutto ha ampliato il nostro orizzonte”. La 13ma “Conferenza Internazionale Metropolis”.
Il logo di "Metropolis" La 13ma Conferenza Internazionale Metropolis ha avuto luogo a Bonn nell’ultima settimana di ottobre. Vi hanno partecipato 800 esperti dell’emigrazione, per discutere sugli scenari e le strategie politiche. Il ministro dell’integrazione Armin Lascher ha rimarcato in un’intervista che “se tutti gli immigrati abbandonassero da un giorno all’altroil Nordreno-Vestfalia, perderemmo 4,1 milioni di persone, cioè un quarto della popolazione. Alcuni quartieri diventerebbero luoghi fantasma ed in altri resterebbero solo i vecchi”.
Il Ministro tedesco Armin Laschet

La sala della Conferenza Int. Metropolis
Il Ministro tedesco Armin Laschet "L’immigrazione”, ha aggiunto il ministro, “è parte della nostra identità ed il globale movimento migratorio (attualmente migrano 200 milioni di persone) deve venire gestito meglio”. Dopo anni di discussioni sui rischi della migrazione, è stato fatto rilevare ch’è necessario parlare di potenziali che l’immigrazione riserva. Pertanto, sono necessarie accettazione e migliore organizzazione. _____________________________________________
- Avanti con l’energia nucleare? L’Italia pondera e la Germania dibatte. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, novembre 2008). ________________________________
Mentre l’Italia pondera prima di riattivare la produzione di energia nucleare, un suo eventuale continuativo sfruttamento in Germania provoca un largo dibattito tra la politica e l’industria. 400 fino a 500 tonnellate di scorie altamente radioattive, derivanti da 17 reattori, rappresentano un grave pericolo per la “BfS”, l’Ufficio Federale preposto alla protezione contro le radiazioni. Detto Ufficio avverte che le scorie in questione restano radioattive per lungo tempo e specifica che già un milionesimo grammo di plutonio perde metà delle radiazioni non prima di 24mila anni. Il cesio 137, poi, in 30 anni; mentre lo iodio 129 resta nocivo ancora per 15,7 milioni di anni. Qui nasce il problema del luogo adatto, cioè quello in cui le scorie radioattive dovrebbero restare depositate in modo ideale e finale. Perché se la Francia e la Svizzera si servono all’uopo, temporaneamente, di grotte di natura argillosa e la Germania di miniere di salgemma, nessuna nazione – rilevano gli esperti – ha sinora trovato un deposito finale per i rifiuti nucleari.
La centrale nucleare di Krümmel in Germania Ciò significa che i figli dei figli dei figli si troveranno di fronte un gravoso, pericoloso problema. Se le nazioni continueranno a sotterrare temporaneamente le scorie o se esse le scaricheranno da una parte all’altra del globo verso impianti di rigenerazione. Come in tutte le questioni che riguardano i grandi profitti, la consapevolezza di fare il bene o il male del cittadino che paga le tasse, per sostenere i comuni, le province, le regioni e gli stati, non sembra brillare. E allo rada una parte sta chi propone lo sfruttamento di energie alternative e dalla parte opposta appaiono le grinfie delle lobby. Le quali vogliono investire miliardi nell’energia nucleare, asserendo che essa è più conveniente di tutte le energie alternative. Se si considerano i costi del personale addetto ai reattori, i costi di produzione e manutenzione, i costi di trasporto di rifiuti nucleari verso impianti di riciclaggio, i costi di interventi causati da “fughe” di radioattività (se ne sono avute ben 4 recentemente) ed i costi di “riparazioni”, si constata – è opinione non solo di esperti ma anche di semplici cittadini – ch’è più conveniente lo sfruttamento di energie alternative e non pericolose, quali quelle dell’energia solare, dell’energia eolica di terra e di mare, come pure dell’energia geotermica (l’Islanda insegna).
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- Attualità e sociale dalla Germania. Risarcimento negato. La scoperta della fame? Bombe atomiche. Fondamentalismo, uno e due. Relax nel verde. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, agosto 2008).
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Risarcimento negato.
Spezzatosi l'asse Roma-Berlino, molti soldati italiani vennero deportati in Germania e costretti dai nazionalsocialisti al lavoro coatto. Un risarcimento danni richiesto dal Tribunale italiano è stato ancora una volta negato dal Governo federale tedesco, il cui Ministero degli Affari Esteri ha reiterato che secondo la convenzione di Den Haag i soldati internati potevano venir obbligati al lavoro forzato. L'Italia non molla.
La scoperta della fame?
Anche i politici ed esperti italiani e tedeschi hanno partecipato recentemente a Roma ad un convegno “contro la fame” nel mondo. Più di 180 nazioni sono state rappresentate ed è stato evidenziato che 800 milioni di esseri umani patiscono la fame e sono denutriti, in Africa, in Asia e nel Sud America. Una scoperta della fame, solo oggi, mentre si assiste da decenni a migrazioni in massa di popoli in cerca di cibo, di acqua, di medicinali e di abbigliamento? E mentre si riscontrano nel mondo sovrapproduzioni di generi alimentari, frutta ed ortaggi, come pure di sprechi di acqua e distruzioni di generi di prima necessità? Il convegno s’è chiuso con una esortazione di aiuto rivolta alle nazioni più ricche. Potrà tanto colmare lo stomaco degli affamati? E se la pace – come si sa – passa per lo stomaco, quando ci sarà una vera pace sul nostro pianeta?
Fondamentalismo, uno e due.
Nato nel 19 secolo in circoli protestanti americani e poi espansosi nelle regioni islamiche, il fondamentalismo che spesso dà fastidio al mondo occidentale fa pensare ad un altro fondamentalismo: quello dietro il quale si nascondono movimenti politici e religiosi anche in Italia ed in Germania, che stabiliscono, quali assoluti, valori di credo e dogmi. La tolleranza nei confronti del diverso e dei diversi ha ancora molta strada da fare. E’ da incentivare la cultura dell’autocritica.
Relax nel verde.
Il medico e pedagogo Daniel Schreber (1808-1861)
Il Museo del Piccolo Giardino a Lipsia (Schreber Daniel Gottlob Moritz Kleingärtnermuseum)Molti connazionali cercano relax nel verde di giardinetti, un po’ fuori del centro cittadino: si tratta di appezzamenti dati in affitto dai Comuni, coltivati e curati con passione. L’ideatore dei “miniparadisi” fu il medico e pedagogo Daniel Schreber (1808-1861), nativo di Lipsia. Dopo avere constatato la penosa situazione di molte famiglie indigenti, egli fece di tutto per invogliarle ad uscire di casa, a cercare relax nella natura, a fare amare loro il “giardinetto”, per la coltivazione non soltanto di fiori, ma anche di frutta e ortaggi. La “moda” dei giardinetti si espanse in tutta la Germania, alla maniera di campi giuochi per i bambini, proposti anche dal sunnominato Schreber. In ogni periferia tedesca agiscono associazioni di giardinieri. Dilettanti o esperti fanno a gara per coltivare sia le rose, rosse, bianche, gialle, tea o anche una molteplicità fantasmagorica di altri fiori, ordinati e squadrati giardinetti, sia dei connazionali sia dei Tedeschi.
Immensa la cornice di verde con le sue variazioni e salutari la pace e l’ombra, che ognuno cerca nelle singole, adornate casette dei giardinieri. Nell’incantesimo rotto dal canto delle cinciallegre e dei merli, il miracolo della natura di mezza estate non può non destare meraviglia, come quando un insetto s’intrappola in una ragnatela. I suoi fili di seta si tendono e la prigione è sicura. Questi fili, che gli scienziati ritengono cinque volte più resistenti dell’acciaio, e più elastici della gomma, questi fili rappresentano anch’essi un miracolo della natura. Bombe atomiche
Una commissione di esperti americani è venuta in Europa per ispezionare circa 300 bombe atomiche (di cui 10 in Italia e 20 in Germania), lasciate in Continente dalla fine della Guarra Fredda; e le hanno trovate in cattiva condizione, custodite, tra l’altro, da personale non qualificato. L’allarme ha messo in subbuglio “attivisti della pace”. Ma è guerra tra quanti vogliono in Buechel (Land Rheinland-Pfalz) che le 20 bombe restino e quanti lottano per un futuro senz’armi atomiche. 600 persone del posto temono di perdere il lavoro. Inoltre, 1200 soldati stazionati nel paese di Buechel (che conta 1000 abitanti), una volta chiusa la base, non darebbero più guadagno ai commercianti.
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- Attualità e sociale dalla Germania. Discussione sull’esorcismo. Ceto medio in declino. Pioggia di denaro. Politica da vetrina. Campionati di sgarbatezze. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2008). ________________________________________
Discussione sull’esorcismo
L’arcivescovado della città di Paderborn ha reso noto ch’è necessario aumentare di molto il numero degli esorcisti, date numerose richieste di “liberazione dal male”, pervenute da persone che si ritengono indemoniate. La notizia ha inquietato e costretto a discutere sia l’uomo normale, quello digitale che clicca tutti i giorni sia autorevoli personalità appartenenti al movimento riformista “Wir sind Kirche” (Noi siamo la Chiesa). Quest’ultime, in una lettera di protesta, hanno esortato l’arcivescovo Hans Josef Becker a volere impedire l’esorcismo nella Chiesa cattolica. Le pratiche andrebbero contro i diritti umani, hanno scritto i primari del sanatorio di Bodelschwingh e della Casa di ricovero “Evangelisches Johannestift” di Bielefeld. L’appello all’Arcivescovo: di volersi impegnare durante la conferenza episcopale per una soppressione dei riti dell’esorcismo. Un portavoce dell’arcivescovado ha voluto rassicurare che ci si serve normalmente di perizie stilate da psicologi e psichiatri per dare il via alla cosiddetta “liturgia della liberazione” e che l’esorcismo rappresenta da duemila anni un compito della Chiesa. Dall’altra parte, nella posta dei lettori di quotidiani si registra la critica: “E’ un anacronismo. In che tempo viviamo? Non si tratta d’indemoniati, ma di persone malate psichicamente”. Chi ha ragione? Noi pensiamo che il demonio, non quello con le corna ed il tridente, alberga in molti che predicano il bene assoluto della gente e le procura poi del male. E’ quello che si annida nel cuore e nella mente di chi proclama la pace e fa il guerrafondaio, ritenendosi magari incaricato dal Signore.
Ceto medio in declino
Un recente rapporto sulla povertà reso noto dal Parlamento ha evidenziato un declino del ceto medio. Anche i 670 mila Connazionali sono coinvolti. “Un cittadino su otto è povero – la spaccatura sociale diviene vieppiù allarmante”. “Il ceto medio tedesco va in frantumi”. Sono i titoli di giornali. Già nell’anno 2020 il ceto medio – secondo gli esperti . conterebbe 10 milioni di persone in meno. Se nell’anno 2000 il ceto medio contava 49 milioni di cittadini, oggi il loro numero è già sceso a 44 milioni, in una popolazione di 83 milioni di abitanti. Sempre secondo esperti, la crescita economica non basta più a garantire il benessere di cittadini che guadagnano dai 1500-3100 euro lordi. “E’ un peccato”, lamentano gli esperti “perché il ceto medio rappresenta un pilastro della democrazia e dell’economia”. Celeri e massive riforme vengono attese per una maggiore crescita dell’economia, concedendo nel contempo alle imprese la possibilità d’investire in loco e non all’estero. Solo così può essere evitata una scomparsa totale del ceto medio.
Pioggia di denaro

Il sogno della ricchezza per l’uomo comune viene alimentato attualmente anche dai politici. Non si sa quando e dove il denaro debba piovere. Comunque, nella riproduzione accanto, il sogno viene accarezzato.
Politica da vetrina La politica da vetrina consiste nel farsi fotografare in tutte le occasioni ed in tutte le pose possibili ed immaginarie. Con tanto, ci si assicura di non venire dimenticato. Ci pensiamo, nell’apprendere che rappresentanti di più di cento nazioni sono convenuti a Dublino per sottoscrivere una richiesta di proibizione delle cosiddette “bombe a grappolo”. Perché solo di queste bombe?!? Le altre bombe non causano lutto e morte? Nel riarmo attuale e planetario ci auguriamo che avvengano altri convegni, ma non “da vetrina”.
Campionati di sgarbatezze
Una settimana prima del Campionato calcistico europeo si sono (ri) verificate sgarbatezze tedesche nei confronti degl’Italiani. Accusati questa volta di “comprarsi” gli arbitri, essi si sono ricordati di precedenti spiacevoli verificatisi prima e durante il Campionato calcistico mondiale del 2006. Vere e proprie offese, allora, nei confronti degl’Italiani, definiti pizzaioli, gelatieri, donnaioli, deboli, ecc. ecc. Sia la “Bild Zeitung”, quotidiano dalla tiratura giornaliera di 11 milioni di copie sia la rivista “Stern” ed altri fecero coro con le masse di fans. Sarebbe ora che i Tedeschi, in un tempo di totale informazione, si rendessero conto della realtà che moltissimi degl’immigrati italiani ricoprono in Germania posizioni di alto livello nel campo artistico-culturale, nel settore scientifico, nell’industria, nel commercio e nella politica.
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- Attualità e sociale dalla Germania. Il 62° Anniversario della Repubblica Italiana. Il Consolato d’Italia di Dortmund ha festeggiato. Larga testimonianza d’italianità. Una onorificenza. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2008). _________________________________
“Un terzo degli Italiani non sa nulla del 2 giugno e della Festa nazionale e solo per il 45% di loro conta l’identità nazionale”. E’ la deprimente conclusione pubblicata l’1 giugno sul Corriere della Sera da Renato Mannheimer, noto per i suoi sondaggi. Gli italiani che vivono in un’”Altra Italia”, gli emigrati, ritengono inquietante la notizia, dato che loro danno prova di un profondo attaccamento allla Madrepatria, dimostrandolo soprattutto alla celebrazione dell’anniversario della loro Repubblica.
Il Consolato d'Italia a Dortmund Il 2 giugno, invitati dal Consolato d’Italia di Dortmund, si sono ritrovati in più di duecento, tra civili ed autorità – anche tedesche – per trascorrere un paio di ore in armonia ed in un gradevole tepore quasi di mezza estate, rivedendosi nell’Haus Opherdicke”, una magnifica costruzione feudale, sita nella cornice di verde di Holzwickede. Il saluto agli invitati è stato rivolto dalla nuova console, dott.ssa Paola Russo che ha esordito ringraziando per la presenza di tanti connazionali, a testimonianza, appunto, d’un’identità nazionale. Un grazie anche agli amici tedeschi, per il loro interesse e la loro simpatia per la nostra Nazione. Un riferimento al 62.mo anniversario della fondazione della Repubblica italiana ed al 60.mo della sua costituzione, di cui sono stati ricordati i principi della sovranità popolare, dei diritti umani, della dignità dell’uomo, dell’uguaglianza di fronte alla legge, come anche del rifiuto della guerra quale mezzo di risoluzione dei conflitti tra i popoli. E’ stato inoltre evidenziato come grazie al contributo della comunità degl’immigrati, di cui la circoscrizione consolare di Dortmund conta ben 56.000, è stato possibile uno scambio economico, sociale e culturale tra la nostra Nazione e la Germania. E che tutto ciò possa progredire, è stato l’augurio della Console. La quale ha promesso d’impegnarsi per una totale integrazione dei connazionali, sia socialmente sia culturalmente ed economicamente. La Festa nazionale è stata la migliore cornice per onorare la dott.ssa Paola Barbon ch’è stata insignita dell’ordine “Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana”, per il suo importante contributo alla promozione della cultura italiana e della lingua nel mondo. La dott.ssa Barbon è lettrice presso la “Ruhruniversitaet” della città di Bochum. Squisito il buffet a completamento della Festa.
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- Attualità e sociale dalla Germania. I problemi degli scolari italiani nella Scuola tedesca. Non è tutt’oro…La verità. Limiti etici. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, giugno2008) ______________________________
I problemi degli scolari italiani nella Scuola tedesca.
“I figli degl’immigrati italiani, pur essendo ben voluti e ben integrati”, afferma un’educatrice tedesca che impartisce da molti anni lezioni private, “hanno nella scuola più difficoltà che i figli di altri immigrati”. Il perché di questo stato di cose, secondo lei, sarebbe dovuto ad una “migrazione pendolare”; cioè gli scolari italiani trascorrerebbero parte dell’anno in Germania e la restante in Italia.
Ciò comporterebbe una sofferenza per gli alunni. Inoltre, sempre secondo la educatrice i loro genitori non dimostrerebbero molta ambizione per le questioni dell’istruzione, reagendo impotenti di fronte ai problemi dei figli. La precaria volontà di istruirsi, da parte degli alunni italiani, non sarebbe dovuta alla loro estrazione sociale, bensì al mancante appoggio da parte dei genitori. Tanto non si verificherebbe nelle altre comunità di immigrati (viene citata quella turca). Dove sta il problema vero? Sia la educatrice tedesca che persone della scienza, che si occupano del “problema dello scolaro italiano”, sottolineano che il sistema scolastico del Belpaese è più chiaro che quello tedesco. Infatti, dopo otto anni di studio gli alunni vengono indirizzati versi varie forme di studio; mentre in Germania ciò accade già dopo quattro anni. C’è di più: in questa Nazione esistono una scuola con classi differenziali ed un’altra di perfezionamento: scuole non esistenti in Italia. Pertanto, allorché sorgono problemi di perfezionamento, i genitori italiani non sanno di che cosa si tratti. Bilancio della situazione: il 52,4 % degli scolari italiani occupa i banchi della scuola professionale (“Haupt-Schule”), mentre quasi il 9% dei nostri giovani connazionali studia nella scuola di perfezionamento (“Förder-Schule“). E la scuola per handicappati? (la “Sonderschule”?). Al posto di tali scuole, come ritengono studiosi che hanno a cuore il problema del “piccolo paziente italiano”, sarebbero necessarie ed utili scuole a carattere integrativo e di particolare assistenza. Ma c’è il grande ostacolo della lingua: molti genitori italiani non parlano tedesco anche dopo trent’anni di residenza in questa Nazione ed i loro figli hanno di conseguenza problemi nello sviluppo della lingua tedesca. Si aggiunge poi – come già accennato – il disinteresse dei genitori per il tema dell’istruzione, tema che rimettono nella mani della Scuola. L’incompiuto scolaro italiano finisce per passare il suo tempo a tentare la sua fortuna alla “slot-machine” o a fantasticare presso il “juke-box”? Speriamo che non sia così e che il sistema scolastico tedesco cambi. Pare che, politici ed istituzioni si stiano muovendo per un rinnovamento del vigente sistema scolastico. Secondo recenti notizie esiste la proposta dei liberali per una fusione della scuola secondaria inferiore (“Real-Schule”), della scuola professionale (“Haup-Schule”) e della scuola media unificata (“Gesamtschule”). Una scuola media superiore? (la “Mittelschule”?). Auguriamoci che la proposta riforma arrechi bene anche ai figli dei connazionali. Non è tutt’oro…
L’esportazione dei grandi macchinari va a gonfie vele, la ripresa economica – come si sente affermare – va a giovamento di ogni cittadino, la disoccupazione cala ai 3,4 milioni, l’indice di inflazione è del 3,1%, gli scioperi prima dei medici poi dei metalmeccanici poi dei ferrovieri poi ancora dei postini ricordano le situazioni italiane e francesi, il fisco segnala grandi entrate che vanno a coprire il debito statale e dopo dovrebbero scendere i prezzi e calare le tasse. Intanto l’impoverimento di ogni famiglia su quattro (il 26% della popolazione, secondo un rilevamento del Governo federale, “Armuts-und Reichtumsbericht”), diviene preoccupante.
La verità
Non tutti sono nati per mentire. Taluni arrossiscono immediatamente; talaltri mentono come per sport o per necessità. Il cancelliere di buona memoria Konrad Adenauer (morto nel 1967) affermava che certe bugie ufficiose sono perdonabili. Ed è proprio così che nella politica il mentire di oggi prospera palesemente e particolarmente bene. Perché molti politici hanno bisogno d’una maggioranza per affermarsi. Con la sola verità, presumibilmente, essi non raggiungerebbero un traguardo. Si può dunque convenire ch’esiste un’alleanza tra politica e la bugia?
Limiti etici
I ricercatori tedeschi nel campo delle cellule staminali tirano un sospiro di sollievo, dal momento che essi possono – dopo la recente entrata in vigore della nuova “legge sulle staminali” – operare con “fresche” cellule embrionali staminali: quelle disponibili dal primo maggio 2007 e non, come era prima stabilito, risalenti all’anno 2002. La politica ha comunque imposto il rispetto di limiti etici, anche se gli scienziati reiterano la volontà di trovare possibilità di cura per terribili malattie
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TRAGICOMMEDIA IN CRESCENDO. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante” – Lettera al Direttore) (maggio 2008)
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Palazzo Montecitorio - Sede della Canera dei deputati in Italia - Roma
Palazzo Montecitorio, Roma. La zona detta "Il Transatlantico". (Architetto Ernesto Basile).
Caro Direttore, titubanti e con diverse diagnosi stavano i dottori attorno al letto dell’infermo Pinocchio, tragicomico burattino creato da C. Collodi, che ci ha ricordato in questi giorni la situazione tragicomica in crescendo del Bel Paese, tra la scottante questione di Alitalia ed altri problemi, rivoltati, stracciati e senza una prospettata, fattibile soluzione. Politici colpiti da una neurosi del profilarsi ad ogni costo, nell’affamata corsa alle poltrone, hanno meritato critiche a non finire, anche per certe camicie non del tutto candide. E che cosa hanno fatto? Le hanno rivoltate, infilandosele proprio come usava fare il carbonaio di vecchia memoria, criticato dalle donne del quartiere. L’accalorata campagna elettorale ha creato non poca suspense anche tra gli italiani residenti in Germania, i quali, tra l’altro, sono stati destinatari, assai sorpresi di missive inviate loro dai vari partiti in lizza.
Palazzo Montecitorio, Roma. "La sala gialla". Quali iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) i connazionali si sono ritenuti vittime d’una sfacciata violazione della loro privacy. Chi dell’AIRE ha fornito gl’indirizzi degli Italiani all’estero tedesco? Bisognerebbe indagare. Intanto il tenore delle missive in questione, inviate da “Il popolo delle libertà”, “Italia dei valori” e “Partito democratico”, è necessario che sia riportato: “Cara/o amico, ti chiedo un voto con preferenza per portare avanti le istanze e gli interessi degli Italiani all’estero”; oppure: “Un’Italia moderna in un’Europa unita e solidale”. Sono solo frasi retoriche, solo declamazioni di buone intenzioni? Coloro i quali si sono recati alle urne, hanno fatto il loro dovere. Alla coalizione vincente il compito di abbattere la burocrazia, sfoltire tra politici e partiti, semplificare le cose rendendole trasparenti, veritiere e produttive per la società. Alla coalizione ora al governo anche il dovere di combattere l’arroganza del potere economico-finanziario.
Cordiali saluti, Luigi Mosciano
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA. Ancora sull’integrazione. Discusso l’orario estivo. L’apparecchio della morte. La boxe a scuola. Cambio di comando.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, maggio 2008).
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Ancora sull’integrazione. In alcune città hanno luogo conferenze alle quali partecipano numerosi stranieri, per discutere, assieme ai Tedeschi, sulle possibilità di maggiore integrazione e di progetti di dialogo da realizzare, in maniera capillare. Il dialogo, quindi, come presupposto fondamentale. La lingua quale mezzo di comunicazione ed il contatto umano, affinché si possa parlare l’un con (e non verso) l’altro.
Discusso l’orario estivo.
Il parlamentare europeo della CDU, Herbert Reul, lotta da molto tempo contro l’orario estivo, bombardando senza sosta anche la burocrazia europea di Bruxelles con petizioni, affinché tra marzo e ottobre non vengano spostate più le lancette degli orologi. Il 55enne politico cristiano-democratico considera disturbante, inefficiente e pieno di costi l’introduzione dell’orario estivo. Le lunghe serate, allietate dai raggi solari, non farebbero risparmiare energia e l’orario in questione provocherebbe anche danni alla salute. Anche il 60% dei Tedeschi la pensa così. Bruxelles, essendo di altro parere, ha stabilito che l’orario estivo varrà per l’Europa ancora per decenni. L’apparecchio della morte. L’ex senatore amburghese Roger Kusch sta sollevando una discussione molto accesa sull’argomento dell’eutanasia in Europa, presentando al pubblico un apparecchio della morte, da lui costruito. Il congegno funziona secondo il principio della letale iniezione discussa negli USA. Il paziente stesso dovrebbe azionare l’apparecchio, poiché l’eutanasia è proibita in questa Nazione. Premuto un pulsante, un motorino pone in azione una lamella che a sua volta comprime due iniezioni, una per la narcosi e l’altra con cloruro di potassio, letale nel giro di quattro minuti. Chi vuol morire, afferma il Kursch, non deve più recarsi in Svizzera, dove l’organizzazione DIgnitas opererebbe senza complicazioni di natura giuridica. L’Olanda, dal 2002, sottolinea l’ex-senatore, non vieta l’eutanasia. Anche in Belgio sarebbe la stessa cosa. Un aiuto pratico per chi soffre e vuole porre fine alla sua vita; e non discussioni teoretiche, predica l’inventore dell’apparecchio. La boxe a scuola. In una scuola secondaria della città di Dortmund si danno anche lezioni di boxe. Vi partecipano allievi dai 15 ai 17 anni di età. La direzione scolastica è convinta del fatto che disciplina, rispetto, correttezza e controllo delle azioni vengano incentivati dalla boxe. Lo scopo è la formazione del singolo carattere, anche per porre fine a risse brutali che avvengono nell’area delle scuole. Cambio di comando.
Il Consolato d'Italia a Dortmund.
Per la seconda volta è una donna al timone del Consolato d’Italia a Dortmund: la dott.ssa Paola Maria Cristina Russo, di carriera diplomatica, proveniente dall’Ambasciata d’Italia di Dakar (Senegal). La dott.ssa Maria Adelaide Frabotta, precedente console, è rientrata a Roma per motivi familiari.
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA. La Sicilia da Odisseo a Garibaldi. Una mostra dal 25.01 al 25.05.2008 a Bonn. ( Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, marzo 2008).
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L’eccelso poeta Omero la scelse non a caso come scenario grandioso per narrare di Odisseo, Polifemo e dei Ciclopi. L’altro poeta, il tedesco Johann Wolfgang Goethe, la definì “la regina delle isole”. Il mito seduttore della Sicilia e dei suoi quattordicimila anni di cultura, dall’età paleolitica fino ai giorni di Giuseppe Garibaldi che nel 1860 annesse l’isola all’Italia. Tutto ciò in una mostra che da 25.01 al 25.05.2008 ha luogo nella “Austellungshalle der Bundesrepublik Deutschland”, nella città di Bonn.
Essa documenta come la più grande regione italiana, crogiolo d’una molteplicità e varietà di culture – che nel dipanarsi di millenni si sovrapposero pian piano per strati – è orgogliosa di presentare al pubblico, non soltanto tedesco, trecento oggetti d’inestimabile valore. Viene consigliato di visitare la mostra con l’attenzione che avrebbe un archeologo, al fine di poter seguire le cronologiche orme di Egiziani, Arabi, Berberi, Greci, Romani, Ebrei e Normanni che si avvicendarono, scrivendo un periodo aureo del commercio e della cultura. Le testimonianze della autonomia e del riconosciuto stato giuridico sia per il popolo bizantino che per i popoli ebreo e cristiano, avvincono alla maniera della somma erudizione degli Arabi e dei Greci. La potente eredità della Sicilia in mostra: ceramiche dell’età del bronzo, reperti plastici greci, resti di tombe puniche, come pure opere normanne in argento, frammenti architettonici, dipinti, sculture ed innumerevoli preziosi lavori artigianali. Da citare, infine, le testimonianze lasciate dalle signorie degli Hohenstaufen (che diedero re ed imperatori, da ricordare Federico I, detto il Barbarossa, Enrico VI e l’imperatore Federico II), dai d’Aragona, dagli Asburgo e dai Borboni. Rinascimento e Barocco anche presenti con dipinti preziosi. I materiali esposti sono stati messi a disposizione da musei regionali. Anche collezioni ecclesiastiche e private hanno contribuito con opere all’organizzazione della mostra. Viva la Sicilia, in un’ora in cui gran parte del suo popolo sta vivendo una tangibile rinascita. Info: tel. 0228 9171 – 201. E.mail: info: info kah-bonn.de.______________________________________
LETTERA DALL’”ALTRA ITALIA”: DACCAPO-CHE SARA’?
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, marzo 2008).
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Caro Direttore,
il permanente stato di emergenza che ha caratterizzato sinora la politica italiana, soffocata da troppe ideologie, ha costretto il Paese a ricominciare ancora una volta daccapo. Nuove elezioni sono state indette per il 13 aprile. L’assurdità di vari atteggiamenti dell’uno e dell’altro partito ha finito per provocare nausea e sfiducia nell’elettorato. Politichese e burocratese l’hanno poi infastidito al massimo. L’unica lingua che l’elettore comprende bene è solo quella che tratta, in maniera limpida e pratica, i suoi problemi ed interessi quotidiani che sono la riduzione delle tasse , l’aumento dei salari, il lavoro e la sicurezza. Tutto ciò presuppone che in Italia, nella nostra cara Patria, che seguiamo con apprensione dall’estero, vengano incrementate con celerità ricerca e produttività. Daccapo-che sarà? Si torna al voto e l’elettorato rivive un’ansiosa e penosa attesa. Resta la vecchia legge elettorale e restano molti galli sull’aia e non fa mai giorno. Una miriade di partiti e centinaia di superflui parlamentari sono tuttora la palla di piombo alle caviglie dello Stato. Fino a quando? Gli Italiani rimasti in Patria prendano esempio dalla Spagna o dalla Germania. Auguriamoci che la politica italiana riesca a guidare la società (è il suo compito), salvandola economicamente e finanziariamente. Cordiali saluti.
Luigi Mosciano
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2008).
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Addio miniere di carbone. Quanti connazionali hanno lavorato dal 1950 fino ad oggi nelle miniere del carbone fossile? Migliaia e migliaia. Oggi molti di loro sono rientrati in Patria e tanti altri vivono qui, ancora attivi nell’industria mineraria o si godono il pensionamento.
Nel 2018, come deciso da Berlino, l’industria del carbon fossile scriverà la sua ultima pagina di storia. Un prepensionamento stabilito dalla Politica dovrebbe avere inizio per molti minatori già nella metà del 2008. Il carbone fossile cinese è di prezzo conveniente e poi vengono prese in considerazione energie alternative. Corsa al divorzio.
Secondo dati statistici del “Bundesamt” (ufficio Federale), la cora al divorzio diviene sempre più veloce. Nell’anno 2006 vennero sciolti sempre per divorzio 190.000 matrimoni. Ogni secondo o terzo matrimonio fallisce. Nel 55,8 percento dei casi è la donna a chiedere il divorzio; mentre l’uomo lo fa nella misura del 36,2 percento. La metà dei divorziati nel 2006 – tra i quali figurano anche connazionali – ha figli al di sotto dei 18 anni di età.
La vita familiare cambia volto.
La vita familiare va cambiando volto in modo drastico, come riferisce il succitato Ufficio Federale. Il numero delle famiglie con sempre meno figli cresce a dismisura in questa Nazione. Più della metà delle famiglie, infatti, ha non più di un figlio. E’ colpa della “New Age” che predica da tempo la fine della famiglia tradizion
Lo studio sulle centrali nucleari.
Uno studio sulle centrali nucleari e sulla pericolosità di incontrollate esposizioni a radiazioni si è protratto per 24 anni. Il risultato: bambini che vivono nelle vicinanze di centrali nucleari hanno contratto leucemia e cancro. I pericoli sarebbero stati sottovalutati in maniera grossolana. Lo studio ha acceso un grande dibattito. Da una parte l’industria che sostiene la fusione nucleare ed i suoi interessi; dall’altra, genitori, medici e politici che sottolineano le cognizioni acquisite da ricercatori, negli anni passati ed anche oggi, auspicando un’uscita dall’energia nucleare e al più presto.
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ATTUALITA’ E SOCIALE DALLA GERMANIA. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, gennaio 2008).
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Integrazione. L’immigrazione di massa ebbe inizio negli anni ’50. A distanza di più di cinque decenni c’è chi si meraviglia che qui si parli ancora d’integrazione, chiedendosi che cosa essa significhi, come essa possa funzionare, che cosa ci sia da fare, affinché essa diventi cosa concreta. Un riferimento viene fatto anche ai 670 mila immigrati italiani, molti dei quali, ormai alla quarta generazione, non sono padroni della lingua tedesca. Lingua, informazione, formazione e lavoro. Necessità d’una collaborazione tra scuole, associazioni ed autorità per tutte le etnie esistenti in questa Nazione. Si passi dalle parole ai fatti.
La “carta sconto”.
Un’iniziativa del Ministero degli Affari Esteri: la “carta sconto” per gl’italiani all’estero, per offrire loro un “tangibile segno di attenzione”. La “carta” è stata distribuita dagli Uffici consolari a partire dalla prima decade di ottobre 2007. Al progetto del succitato Ministero hanno collaborato Asso Cral Italia, il Ministero dei Beni Culturali, Trenitalia, la Federalberghi, ed altre istituzioni ricettive e di servizi. “Facilitare ed incentivare la frequenza dei viaggi verso l’Italia da parte dei nostri connazionali all’estero” così si legge nella “Guida ai servizi” che accompagna la “Carta”, denominata “IT CARD”; essa permette di usufruire, sia in Italia che all’estero, di una “vasta gamma di benefici”.
I giuochi ‘killer’.
Dei giuochi killer si parla molto in questa Nazione. Mentre nelle altre Nazioni comunitarie si è rivelato difficile l’applicazione d’una legge contro i giuchi9 violenti, la Germania può vantarsi d’una rigida misura di protezione a favore dei giovani. Gli altri Stati della Ue tratterebbero in maniera tollerante il tema dei “giuochi killer”, permettendo ai loro produttori di stabilire a che età i “giuochi” possano venire acquistati. Al fine di un regolamento generale, il commissario dell’Ue, Franco Frattini, ha posto il tema della oscena crudeltà dei giuochi in questione, da discutere con urgenza. Tutto ciò, anche perché il commercio di tali giuochi, in Europa, risulta crescere in maniera più rapida rispetto a tutto il resto del mondo.
Incoraggiare i giovani.
Bambini e giovani posseggono capacità e talento. E’ sbagliato non lasciarli fare, non incoraggiarli ad avere fiducia nelle proprie energie e non permettere loro di sviluppare il proprio potenziale. Incoraggiare i giovani significa per le persone adulte, sia nell’ambito familiare che in quello socio-politico, dare buon esempio, fare da guida. Il tema non è solo tedesco.
Mercificazione della donna.
“Ella si va, sentendosi laudare,/ benignamente d’umiltà vestuta;/ e pare che sia una cosa venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare”… Una figura muliebre che si erge dalle onde della lirica del Dolce Stil Novo, un essere di altri tempi. “L’evoluzione” conquistata dal femminismo ha imposto una sorta di competizione perenne per la donna. La celebrità a tutti i costi e con ogni mezzo viene rincorsa senza sosta via mass media. La pedana della nudità non ci fa più spiare tramite il buco della chiave. Ed è tutto un susseguirsi di immagini libertine, di “veline” che si dichiarano disposte a tutto, pur di “sfondare” nell’apparente, appariscente mondo della popolarità. Non solo narcisismo alla decima potenza, ma anche voglia sfrenata di guadagni. E il profitto di quanti organizzano il “giro” in questa Nazione, in altre parti del Continente e della Terra, è immenso. __________________________
FESTEGGIAMENTO DEI 60 ANNI DELL’UNIONE EUROPEA DI DORTMUND. Motto della cerimonia: “Dove vai Europa?”. Attualità e sociale dalla Germania. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’Emigrante”, dicembre 2007).
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Presenti numerose autorità della politica e della cultura, è stato festeggiato il 14 settembre, nella sala del municipio di Dortmund, il 60° anniversario dell’Unione Europea dortmundese. Il motto della cerimonia: “Dove vai Europa?”. Tra i molteplici movimenti europei che perseguono la visione di un’Europa, quale stato confederato, è da annoverare la suddetta Unione. Il cui presidente, dott. Heinrich Hoffschulte, ha sottolineato il fine raggiunto dalla Ue: quello della sicurezza della pace tra nazioni che si combatterono nella Seconda Guerra Mondiale. Le giovani generazioni vogliano prendere atto. “Dove vai Europa?”. Il trattato della Costituzione europea è rimasto a mezza strada. Resta la Ue una mamma dalle mille mani per 27 Nazioni comunitarie? L’Europa dei bilanci e non dei diritti umani? L’Europa che geograficamente dovrebbe unire non 27 ma 48 stati? Il suddetto motto provoca queste ed altre domande. Il vicecancelliere e ministro del Lavoro e del Sociale, Franz Müntefering, ha elogiato il lavoro dell’Unione europea dortmundese; mentre Michael Breuer, ministro europeo del Land, ha rilevato che il pensiero europeo va acquistando sempre più consistenza sia per i partiti che per le generazioni. Infatti, l’Europa viene ormai vissuta 2dal basso”, come ha affermato il presidente del Kreisverband, “per via di azioni e manifestazioni, quali le lezioni sull’Europa nelle scuole, come anche conferenze tenute nell’istituto “Auslandsgesellschaft”, così il presidente Rainer Frickhofer. Per chiudere, il ministro europeo in pensione Wolfram Kuschke ha ricordato che la trasformazione strutturale di Dortmund, avvenuta tramite la riorganizzazione industriale, è stata resa possibile da un cofinanziamento dell’Ue. Alla cerimonia ha partecipato anche la dott.ssa Maria Adelaide Frabotta, console d’Italia a Dortmund.
Minorenni in miseria.
“Siamo un Paese tra i più ricchi del mondo”, rimarca la Stampa tedesca, “e dobbiamo prendere atto dell’esistenza di 1,9 milioni di minorenni che vivono nella miseria”. Stando alle statistiche, essi rappresentano il 17% degli 11 milioni di figli appartenenti a famiglie non solo tedesche, ma anche a quelle d’immigrati. La Germania, a parte la sua ripresa economica, è tuttora afflitta da debiti per 1,5 bilioni di euro. La Politica sembra spaventata dal numero dei minorenni in miseria nelle famiglie colpite dalla disoccupazione da lungo tempo. E’ in vista un aumento dei sussidi e intanto le 700 mense nazionali, a disposizione giornaliera degli indigenti, stanno accogliendo un numero sempre più alto anche di minorenni. La loro salute, la loro formazione; in breve, il loro futuro. Si spera e si vuole che loro non diventino gli adulti bisognosi di domani.
La chance degli anziani.
Nella zona della Ruhr vive il numero più alto degli anziani che in tutta la Germania. L’indice di natalità è assai basso. Le famiglie giovani cercano altri lidi. Anziani e bisognosi restano. Ricercatori delle Università di Dortmund e Bochum non vedono in tutto ciò la fine del mondo, ma una grande chance per la popolazione dei vecchi. Considerata la regione della Ruhr quale “laboratorio” demografico, essa viene ritenuta come modello di solidarietà generazionale; un modello per altre regioni tedesche. La regione della Ruhr – una volta locomotiva dell’economia nazionale – conta 28 milioni di abitanti. Fino al 2020, secondo i ricercatori dell’Università di Dortmund, si avrà un regresso di popolazione tra il 10 e il 16 %. Ciononostante, presa in esame la parte più sana degli ottantenni, ed il loro potere d’acquisto, i ricercatori vogliono che i loro seniores abbiano una vita quotidiana piacevole. Pertanto si permetta loro di abitare senza ostacoli e nelle vicinanze del medico e dei supermarket. Si costruiscano quartieri adatti agli anziani, si stabilisca un piano di studi sulle “società che invecchiano” e si aprano due scuole, a disposizione di tutti i seniores interessati. E’ un lodevole piano dei ricercatori universitari che possono contare sull’aiuto di noti sponsor.
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SUSPENSE PER IL TERRORISMO ISLAMICO. Attualità e sociale dalla Germania.
( Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 2007).
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L’Unione europea organizza una collaborazione fattiva tra scienziati, industria biochimica, organi della sicurezza pubblica, forze armate , servizi di spionaggio ed organi di misure anticatastrofe. Le 27 nazioni comunitarie dovranno presentare, entro il 1° ottobre di questo anno, le proprie proposte per la lotta contro il terrorismo dei fondamentalisti islamici ed i loro eventuali attacchi di natura biologica e chimica. C’è suspense in Europa che tiene alta la guardia. In Germania uno stato d’animo di ansiosa incertezza s’impossessa sempre più non solo dei Tedeschi, ma anche degli Italiani e di altri immigrati. C’è tuttora molta discordanza tra i politici per quanto possa riguardare le misure di prevenzione proposte dal ministro degl’interni, Wolfgang Scháuble (del partito CDU, Unione democratica cristiana), ritenute troppo drastiche ed in parte non conformi alla vigente legislazione. Ma esiste già un solido coordinamento di misure antiterroristiche? E’ da ricordare che nel covo di fondamentalisti islamici, che si trovava nella città di Amburgo, macchinarono quei figuri responsabili della catastrofe delle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. La recente uscita del libro “Kinder des Dschihad- Eine neue Generation des islamistischen Terrors” (“I figli della Dschihad - Una nuova generazione del terrore islamistico”), scritto da tre autori tedeschi che hanno ricercato sulla base di dati forniti dall’Ufficio Federale Tedesco per la salvaguardia della Costituzione, ha reso possibile apprendere importanti dettagli.
I dettagli
32mila musulmani radicali cospirano all’”interno di cortili”. Sono luoghi preferiti nei quali vengono “educati” i figli del terrore, cioè di “Dschihad”, cioè della “guerra santa”. “Dschihad”, nel significato arabo della parola significa il massimo impegno dell’uomo per tenere fede al credo, alla religione. Per una parte dei tremilioni dei musulmani qui viventi, cioè dalla trecento alle ottocento persone, sempre secondo le informazioni dell’Ufficio Federale succitato, “Dschihad” significa assumere il ruolo di pericolosi militanti, pronti a farsi saltare in aria. Esigui gruppi locali, a loro volta appartenenti ad una grande rete, rappresenterebbero il pericolo maggiore di possibili attentati. Delle duemila moschee qui esistenti, quaranta di esse sarebbero sotto continua osservazione da parte degli organi di sicurezza. Ma l’attenzione maggiore viene rivolta negli ultimi giorni ad università, carceri, caffé, internet, cliniche e ritrovi per la gioventù. Perché anche lì – stando alle più recenti esperienze – possono covare cellule pericolose. “Fratello, preparati per la lotta. Vai in prima fila per inneggiare alla grandiosità dell’assalto coraggioso e della morte. La vita, altrimenti, non è cosa desiderabile. Che cosa rappresenta un’esistenza sotto mortificazione?”. E’ una poesia che verrebbe letta assiduamente nelle case di cultura musulmana. Naturalmente, non tutti i musulmani qui residenti sono fondamentalisti e terroristi. Interessante è apprendere che 4mila tedeschi, tra luglio 2004 e giugno 2005, si sono convertiti all’islamismo e che non pochi di loro sono andati a lottare nell’Iraq. Una vittoria, sottolinea il libro succitato, i fondamentalisti i9slamici l’hanno già riportata: quella di essersi piazzati bene su internet, con circa 100mila pagine contenenti istruzioni per la “guerra santa”. _____________________________________________________________
IL TESTAMENTO BIOLOGICO.
Disputa per il riconoscimento legale. ( Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 2007).
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Interessante la disputa avutasi recentemente nel Parlamento per il riconoscimento legale del testamento biologico.
Di che cosa si tratta? Se un cittadino è ancora nello stato cosciente d’intendere e volere, può fare un testamento biologico, disponendo, in caso di un irreparabile decorso mortale di una malattia, che i terapisti non si accaniscono su di lui. I testamento, dunque, evita che sia da parte dei familiari sia dal canto della Medicina vengano prese decisioni ostinatamente ed erratamente. La maggioranza dei parlamentari è stata unanime nel riconoscere l’impellente necessità d’una legge che riconosca la validità dell’ultima volontà espressa dalla/dal cittadina/o. Certamente l’ultima parola decisiva, accanto ad un letto di morituro, toccherà al medico. Il quale dovrà agire secondo la sua preparazione e coscientemente. Lo Stato ha il dovere di tutelare la sicurezza di chi sta per lasciare la vita terrena, ha argomentato un parlamentare socialdemocratico. La Costituzione, ha sottolineato un altro parlamentare, non sostiene il “dovere di vivere” per chi risulta insanabilmente in fin di vita. Anche i verdi ed i liberali sono stati d’accordo sulla richiesta di riconoscimento legale del testamento biologico. In questo Paese esso viene raccomandato a tutti gli anziani. Legalità ed assicurazione Negli anni Cinquanta la legge Merlin proibì le case chiuse e la prostituzione dilagò e dilaga in Italia non solo nelle periferie delle grandi città. In Germania le case in questione funzionano a pieno ritmo e la prostituzione di strada non è da niente. Qui una legge entrata in vigore nel 2002 stabilisce che il meretricio non è più punibile, come anche non viene penalizzato chi trae profitto dalla prostituzione. Quanti gestiscono le “case del piacere” possono pertanto offrire “posti di lavoro”, legalmente. Da parte loro, le meretrici possono assicurarsi presso le mutue, versando contributi per la previdenza sociale e pagando anche le imposte. Con la legge suddetta si vuole combattere la prostituzione illegale. Stando così le cose, in una città di mezzo milioni e passa di abitanti esistono legalmente 11 bordelli e sono attive 1800 prostitute. Il profitto che traggono dal tutto - città come Monaco di Baviera, Düsseldorf, Amburgo e Berlino – è incommensurabile. E non mancano guerre scatenate da bande turche, albanesi e russe per esercitare un predominio. ____________________________________________
UNA “GUIDA” MINISTERIALE: “COME FARE PER…?” PROVOCA UN’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE. Attualità e sociale dalla Germania. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, agosto 2007).
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E’ stata recentemente pubblicata e distribuita una “Guida per l’utilizzazione dei servizi consolari”: una iniziativa del Ministero degli Affari Esteri, con la firma introduttiva del senatore Franco Danieli, vice ministro degli Affari Esteri e con la presentazione dell’ambasciatore Adriano Benedetti, direttore generale per gli Italiani all’estero e politiche migratorie. “Come fare per…?” è la domanda che nella Guida ricorre dal principio alla fine per i connazionali, i quali, o per ragioni di lavoro o per la enorme distanza dell’Ufficio consolare (per es. quello di Dortmund ha una circoscrizione che conta circa sessantamila connazionali), abitano anche a centinaia di chilometri di lontananza. Quindi la Guida vuole informare connazionale anche a casa propria, facilitando loro un colloquio con le strutture consolari. “Come fare per…?” è la domanda di fronte a “tematiche complesse ed articolate”. Una “Carta del cittadino italiano all’estero” precisa nella Guida: “I cittadini italiani all’estero hanno diritto ad ottenere servizi secondo i principi di eguaglianza, imparzialità, efficienza e trasparenza. L’Ufficio consolare tutela tutti i cittadini italiani nei casi in cui vengano limitati o privati della loro libertà personale, vengano violati i loro diritti fondamentali. L’Ufficio consolare assiste tutti i cittadini italiani nei casi di emergenza e ricerca di familiari, richiesta di informazioni , bisogno di pratiche amministrative”. L’indice delle funzioni e dei servizi erogati dall’Ufficio consolare contiene nella Guida 51 voci. Qualche critica da parte di alcuni connazionali in merito a quanto contenuto nella pagina 15 della Guida, dove si legge: “ L’Ufficio consolare non può intervenire in giudizio per conto di cittadini italiani; pagare le spese legali; sostenere direttamente le spese sanitarie o le spese per rimpatriare le salme dei cittadini italiani deceduti nella circoscrizione, a meno che non si tratti di casi di comprovata indigenza; non può consentire l’utilizzo delle proprie strutture per questioni di natura privata”. Qui la critica fa presente la Convenzione di Vienna, art. 5, lettera i, D.P.R. 18, come anche le disposizioni circolari ministeriali. Un altro punto di critica per il “Rinnovo della patente di guida italiana”: cosa che pare non esista nell’ambito dell’Ufficio consolare. Si tratta forse di una novità? Per finire, interessanti i dati riguardanti i connazionali all’estero: 3.484.821 unità, distribuite geograficamente come segue; il 56,9% in Europa; il 37,9% nelle Americhe; il 3,4% in Asia ed Oceania; l’1,1% in Africa sub-sahariana; lo 0,7 nel Mediterraneo e Medio Oriente. A chiusura di questa nota giunge notizia d’un’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Romagnoli, per “inesattezze” contenute nella Guida suddetta. Elettorato deluso La Corte Costituzionale Federale ha deciso. Non sono valsi i tentativi di evitare la pubblicazione dei “secondi” guadagni di 613 parlamentari. Così il Parlamento, rendendo note le attività extraparlamentari dei propri componenti, ha posto in Internet anche i loro extraguadagni. E non sono pochi i parlamentari che hanno tre o anche quattordici “job”. E allora si chiede l’elettorato come essi possano avere ancora tempo per governare. La Corte Costituzionale ha sottolineato che un politico ha da dedicarsi a tempo pieno al mandato assegnatogli dall’elettorato. Se tanto non avviene, c’è conflitto d’interessi, dal momento che tanti parlamentari, referenti di trust, fanno i loro interessi e non quelli degli elettori. Storia da studiare Sono trascorsi diciotto anni dalla caduta del funesto Muro di Berlino. La popolazione dell’ex Germania orientale (la DDR, Repubblica democratica tedesca) ha avuto abbastanza tempo per elaborare psico-fisicamente un trauma di vessazioni, d’indicibili lutti, frantumazioni di nuclei familiari e di rocambolesche fughe per mezzo di canalizzazioni (che coinvolsero anche un paio di italiani). Quanti non saltarono oltre la divisione muraria rimasero vittime di uno spionaggio e d’una schedatura ad opera della “Stasi” (Servizio di sicurezza dello Stato). Oggi le migliaia di schedature ancora esistenti vengono richieste in visione da quanti pensano di essere stati vulnerati nella propria privacy. Quasi centomila sono state le richieste avanzate nel 2005 e settemila sono quelle che vengono attualmente registrate mensilmente. C’è la nuova generazione tedesca che chiede ai genitori della storia dell’ex Repubblica democratica tedesca. E questo, soprattutto dopo la recente proiezione mondiale del film “Da Leben der Anderen” (“La vita degli altri”) che racconta del “cambiamento” di un ufficiale della succitata temuta e odiata “Stasi”.
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IL CONSOLATO D’ITALIA DI DORTMUND HA FESTEGGIATO L’ANNIVERSARIO. I 61 anni della Repubblica Italiana (2 giugno 1946 . 2 giugno 2007). (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2007).
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Una cornice nuova La console dott.ssa MARIA ADELAIDE FRABOTTA, da due anni al timone del Consolato d’Italia di Dortmund, ama celebrare la Festa nazionale in luoghi di prestigio: lo scorso anno nel castello “Schloß Opherdicke in Holzwickede; quest’anno, nel castello-museo “Schloß Hohenlimburg” risalente al 1240, nella città di Hagen, la quale respira a pieni polmoni l’aria molto salubre del prolungamento occidentale della foresta d’intenso verde di cui si vanta il Sauerland. Al castello-museo si sale percorrendo una stradina tortuosa fiancheggiata da alberi, raggiungendo un’altitudine di un centinaio di metri. La costruzione domina un’immensa vallata accogliente gruppi di case dal tetto a punta; villaggi nella frazione della suddetta città, che, visti dall’alto del castello, paiono appartenere ad una popolazione di gnomi. Nell’atmosfera serale la vegetazione di verde cupo si espande in tutto il paesaggio, s’innalza e si staglia all’ultimo confine dell’orizzonte. Uno scenario idillico, mozzafiato.. Sulla sinistra di un viottolo pietroso in salita, si può ammirare un bel giardino, in cui le famiglie nobili che si avvicendarono, si godettero certamente lo “struscio” quotidiano distensivo. Sorpassata un’arcata del castello, due cannoni sulla destra del pietroso viottolo in salita, i cui lati sono decorati da petali di rosa.
Ragazze in costume medievale, la Console sorridente, con la sua sciarpa tricolore, attorniata dalla squadra di collaboratori del Consolato (che è al servizio quotidiano d’una circoscrizione che conta circa sessantamila connazionali), a porgere il saluto ai primi arrivati di un centinaio d’invitati, italiani e tedeschi. La Console al microfono Non possono mancare naturalmente le note dell’Inno di Mameli, che ricorda ai più anziani connazionali gli anni in cui essi lo cantavano tra i banchi di scuola. La bandiera dell’Europa a fianco della Console. Dopo il risorgimentale Inno, peccato che non segua quello dedicato al Continente: la Nona di Beethoven. Dopo aver salutato gli ospiti, la folla pigiata nel salone dalle pareti ricche di preziosi ritratti di nobili, la Console al microfono, prima in lingua tedesca, poi in italiano: “…Oggi gl’italiani sono europei in Patria ed all’estero, dove essi hanno un’identità ripartita (della Patria, del Paese di accoglienza e della famiglia che hanno costituito. Essi devono attingere ai valori della Repubblica per rinnovarsi nella identità nazionale e per poter dignitosamente competere nel continente europeo: gli italiani in Patria come pure quelli all’estero…Il Consolato deve raccogliere il messaggio, esercitando con la propria autorità la seguente funzione: emancipare i Connazionali socialmente ed economicamente svantaggiati; difendere il diritto dei propri cittadini, come pure informare e fare applicare i necessari doveri; valorizzare il loro lavoro; garantire il diritto allo studio ed al successo scolastico, e garantire anche molteplici opportunità lavorative. …La collaborazione tra Italia e Germania è stata sempre importante. Per la propria capacità di far coincidere l’interesse nazionale e quello europeo: Italiani e Tedeschi possono garantire al progetto europeo tutto il dinamismo necessario”. E’ stata come sempre una bella occasione per una vivace rimpatriata tra i convenuti, durante e dopo un gustoso buffet. ______________________________________________NOTIZIE DALLA GERMANIA
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2007).
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L’Europa del futuro.
I cinquant’anni dell’Europa sono stati qui festeggiati con una grandiosa messa in scena. Poi si è passati a considerare, come ha fatto anche certa Stampa tedesca, che il nostro Continente si trova in una situazione difficile: straziata politicamente da litigi, strutturalmente incapace di agire e paralizzata da egoismi nazionali. Ci sarà una Costituzione europea accettabile per tutti i Paesi comunitari? Quanto tempo costerà una equipollenza delle loro leggi? Ci sarà un’Europa per gli esseri umani e non una dell’economia e della finanza? Perdureranno politichese e burocratese? Cinque proponimenti. Aiutare il ceto medio, trasformare lo stato sociale, abbandonare il tema dell’energia atomica, sviluppare la tecnologia ambientale e combattere la disoccupazione. Qualche partito si propone il tutto e da tempo. Ma poi?
1° maggio-tumulto dei radicali.
La libertà di dimostrare, come diritto fondamentale della democrazia. “Dimostrate, ma in forma pacifica”, avevano esortato gli organi di polizia, alla richiesta di permessi per varie manifestazioni avanzata da parte di radicali di sestra e di sinistra. Il primo maggio, festa del mondo del lavoro, è stato in verità una giornata di tumulto in molte città del Paese: I neonazisti hanno scoperto il tema il tema dei problemi sociali: sperano in più seggi ed in maggiori contributi da parte del governo. Gli avversari della sinistra radicale, non di meno. Tra il gran tumulto causato da migliaia di dimostranti si sono ritrovate molteplici associazioni che ogni volta cercano di far fronte alle due accozzaglie di radicali, rimettendoci molti nervi e non pochi ferimenti. Ma la domanda ch’è da porsi è questa: perché attendere che avvengano dimostrazioni di radicali per metterli alla gogna? Non sarebbe più sensato mobilitare mentalmente la popolazione, quotidianamente? Non voltiamo la testa.
Assuefazione generale.
Esperti affermano che vengono fatte poche ricerche sull’assuefazione all’alcool, al tabacco e alle droghe. Il fenomeno riguarderebbe non solo gruppi marginali, ma tutta la società, la quale, al fine di far fronte alla vita quotidiana, consumerebbe stupefacenti sempre più eccitanti, tra i quali primeggerebbe la cannabis. La società, in altri termini, si troverebbe sotto la pressione di dover rendere sempre di più. Il milionevirgolasei di persone sarebbe alcolizzato, un milionevirgolaquattro sarebbe tossicodipendente, centoquarantamila persone perderebbero la vita a causa del fumo ed altre quarantamila morirebbero alcolizzate. Problematico sarebbe il caso di giovanissimi che devono. Il venti percento dai dodici ai venticinque anni di età alzerebbe abitualmente il gomito. Die milioni di giovani consumerebbero la cannabis; mentre il trentatrepercento della popolazione, a partire dai diciotto anni di età, fumerebbe abitualmente. Sono dati allarmanti, resi noti dall’incaricata governativa, Sabine Bátzing, del partito socialdemocratico.
Campi di (ri)educazione.
Il presidente dei ministri del Nordreno-Westfalia, Júrgen Rúttgers, dell’unione cristianodemocratica, ha proposto un piano di (ri)educazione di minorenni criminali. Si tratta di campi nei quali egli vuole rinchiudere delinquenti recidivi, al fine di far calare l’indice della lor criminalità in ascesa. “Niente più tolleranza”, ha dichiarato il Politico, esortando che i recidivi vengano puniti subito e non dopo mesi; che essi vengano costretti ad un risarcimento di eventuali danni causati ed infine che gli elementi in questione non ricevano più pene condizionali, ma vengano intimiditi con l’arresto. Per i recidivi sarebbero previsti campi suddetti. Adolescenti verrebbero puniti nella stessa misura di adulti. Per i maggiorenni varrebbero gli stessi diritti e doveri previsti per gli adulti. Infine, ritiro o divieto di patente di guida, come punizione. Un corso assai duro. La donazione di organi.
Il consiglio nazionale dell’Etica vuole sollecitare una regolamentazione al fine di aumentare il numero delle donazioni di organi. Il modello proposto dall’organo prevede che in futuro potranno essere prelevati organi da persone decedute, qualora esse, in vita, non abbiano espresso un diniego in forma esplicita o anche se familiari non siano contrari al prelievo. Non pronunciarsi in merito significa assentire. Prima che la regolamentazione entri in vigore, lo Stato dovrà esortare i cittadini a dichiarare la loro disponibilità. In Germania muoiono annualmente mille persone, in mancanza di necessari donatori di organi. Il consiglio citato in apertura è un organo governativo. Esso propone una combinazione – come esempio – di disponibilità e di diniego per il singolo cittadino. Nel caso esso non si pronunci proprio, i medici possono passare – constatata la morte cerebrale – al prelievo di organi.
Trascurata l’integrazione? La cancelliera Angela Merkel ha affermato – durante la discussione recente di un nuovo programma di partito “Integrazione, famiglia ed ambiente”: “Se siamo coscienti, dobbiamo riconoscere che nella nostra nazione abbiamo trascurato per lungo tempo il tema dell’integrazione”. Non è mai troppo tardi.
Contro l’obesità. Tutti i problemi di cui si discute in questa Nazione riguardano ovviamente anche i 670 mila Italiani immigrati; quindi, anche il problema dell’obesità. Via col “Fast Food”, più verdura e frutta nel piano della nutrizione giornaliera. E poi, bandire la comodità e l’indolenza: non sedere lunghe ore davanti al televisore; non acquistare generi alimentari che contengono troppi grassi, non lasciare bambini e adolescenti per intere giornate di fronte a computer e “Game boy”: insomma restare in movimento. Berlino ha in progetto un piano di azione nazionale contro l’obesità. Non si tratta di una concreta azione legale nei confronti di 37 milioni di adulti e di 2 milioni di bambini e giovani obesi. 70 miliardi spende lo Stato per la cura di malattie causate da cattiva nutrizione, annualmente; cioè il 30 % del totale delle spese per la salute pubblica. Il piano di azione nazionale vuole avere il fine di educare, circa la nutrizione ed il movimento, incominciando dai bambini.
CINQUANT'ANNI DA GIORNALISTA. Luigi Mosciàno dall’85 al Corriere d’Italia. (Mauro Montanari, "Corriere d'Italia", 19 ottobre 2002) Abruzzese di Dortmund, ha lavorato per una fila quasi infinita di quotidiani e settimanali (citiamo tra i numerosi altri “Il Tempo”, “Il Corriere della Sera”, "Il Messaggero"). E’ citato nel Westfälisches Autorenlexikon dell’editore Ferdinand Schöning di Paderborn; dal 1985 collabora con il Corriere d’Italia. Scrittore, pittore, poeta, giornalista, è un intellettuale inquieto e fine, curioso e di grande mobilità culturale. Si tratta di Luigi Mosciàno. Lo abbiamo incontrato in una breve intervista alla vigilia della festa del suo cinquantesimo compleanno come giornalista.
Corriere: - Cominciamo coi ricordi brutti e belli di questi ultimi anni al Corriere d’Italia. Mosciàno: - Io di ricordi brutti non ne ho. Ho sempre lavorato volentieri e senza problemi. Quando iniziai mi dissero che dovevo rivolgermi al corrispondente di allora che era Don Sergio Fappani. Poi cominciai a corrispondere autonomamente. Solo ricordi belli al Corriere. Corriere: - Lei ha passato diciassette anni e quattro direttori. Che differenze ha visto? Mosciano: - L’evoluzione c’è stata sempre, e si è andati progressivamente verso un giornale completo, aperto al nuovo, sempre meno conservatore, con una sempre maggiore attenzione all’aspetto culturale. Lo diceva un tempo anche l’ex ambasciatore Ferraris:”fate attenzione alla cultura nel giornale…”. E questa indicazione è stata accolta. Oggi mi sembra che non manchi nulla e forse siamo sulla buona strada per diventare finalmente un vero giornale internazionale. Corriere: - Lei è tra gli autori del volume “Quando venni in Germania”, presentato qualche giorno fa e oggi accolto nel museo dell’emigrazione di Colonia. Cosa pensò allora dell’iniziativa e cosa ne pensa oggi? Mosciano: - Ho avuto questa possibilità di scrivere del nostro passato e ne sono contento. Quello della nostra emigrazione sarebbe stato altrimenti un fenomeno inosservato. Le condizioni nelle quali noi arrivammo in Germania furono condizioni molto dure. Oggi le cose sono diverse, più facili. Ma quel libro è un po’ il libro del sacrificio degli italiani e, in questo senso, l’ho consegnato idealmente a mia figlia, in modo che sia anche sempre orgogliosa della sua origine, come del resto è. Corriere: - Lo è veramente? Mosciano: - Molto. Ha studiato lingue romanze, passa molto tempo sul lago di Garda. Legge sempre quello che scrivo. Corriere: - Lei come vive oggi in Germania? Mosciano: - Vivo sempre tra due sedie. Sono italiano e non mi faccio assimilare, anche se credo che il mio destino si concluderà in Germania.
Luigi Mosciano: Note biografiche. Nato a Chieti il 20 giugno 1936, da Francesco e Ivonne Cornelia Guidone. Attivo per la stampa dal 1954. I primi articoli a 18 anni. Dal 1960 residente a Dortmund/Westfalia. Libero collaboratore di giornali nazionali e stranieri. Pittore, poeta, traduttore ed interprete. Collaborazioni: “Corriere della Sera”, 1954-60; “Il Giornale d’Italia”, 1954-60; “Il Tempo”, 1954-60; “Il Messaggero”, 1954-60; “Il Giornale d’Abruzzo”, 1954-60; Agenzia di stampa “Orbis” di Firenze, 1960-63; Rivista bilingue “Incontri” di Berlino, 1979-88; Settimanale “Corriere d’Italia” di Francoforte sul Meno, 1985-2002; Periodico mensile “La Voce dell’emigrante”, dal 1987 ad oggi; Rivista bilingue “Agorà” di Berlino, dal 1989-91. Pubblicazioni: “La Germania dopo Hitler”. Ediz. Marino Solfanelli, Chieti, 1965. “Gli emigranti”, saggio sull’emigrazione. Ediz. “Il Melatino”, Gino Falzon, Teramo, 1978. Attività radiofonica: “Radio Colonia” (emittente tedesca WDR), 1984-87. “Radio Dortmund” (emittente tedesca WDR), 1984-1994. Premiazioni: Premio Poesia- Rivista italo-tedesca “Incontri”, Berlino, 1980. Premio Internazionale della Cultura e dell’Arte – “La Voce dell’emigrante” – 1987, per il giornalismo. Premio Internazionale della Cultura e dell’Arte – “La Voce dell’emigrante” – 1988, per la saggistica. Premio Internazionale della Cultura e dell’Arte – “La Voce dell’emigrante” – 1988, per il giornalismo. Premio Internazionale della Cultura e dell’Arte – “La Voce dell’emigrante” - 1989, per il giornalismo. Premio Internazionale della Cultura e dell’Arte – “La Voce dell’emigrante” – 1993, per il giornalismo. Premio Poesia – Ufficio della Cultura, città di Dortmund, 1994. Premio Poesia – Biblioteca Regionale di Dortmund, 2002. Citazioni: “Cooperativa Culturale della Ruhr”, 1990; “Enciclopedia della Letteratura del Nordreno-Westfalia”, 1992; “Lista Westfalica degli autori”, 1993. "Wikipedia" Encicl. Internet, dal 2007. Luigi Mosciano: (note biografiche, in tedesco) Geboren am 20. Juni 1936 in Chieti/ Italien. Vermessungsingenieur. Seit 1954 journalistisch tätig. Autodidaktische humanistische Bildung. Seit 1960 Wohnsitz in Dortmund. Freier Publizist für in- und ausländische Zeitungen. Kunstmaler, Dichter, Dolmetscher und Übersetzer. Korrespondent für Carriere d’Italia und La Voce dell’ Emigrante. Auszeichnungen: Gedichtpreis der Zeitschrift Incontri, Berlin (1980) – Silbermedaille der Monatsztg. La Voce dell’ Emigrante für Journalismus aus dem Ausland (1987, 1988, 1994) – Silbermedaille für Belletristik (1989) – Text des Monats des Kulturbüros Dortmund (1994). Selbständige Veröffentlichungen: La Germania dopo Hitler. Deutschland nach Hitler. Essay. Chieti: Solfanelli 1965 – Gli emigranti. Die Auswanderer. Essay. Teramo: Melatino 1978. Unselbständige Veröffentlichungen in: Qattro-meno, Chieti 1954 [Schulztg.] – Corriere della Sera 1954-1960 [Regionalausg.] – Il Giornale d’Italia 1954-1960 [Regionalausg.] – Il Tempo 1954-1960 [Regionalausg.] – Il Giornale d’Abruzzo 1954-1960 [Regionalausg.] – Orbis, Florenz, 1960-1963 – Incontri, Berlin, 1979-1988 – Corriere d’Italia, Frankfurt/M., 1985ff. – Abruzzo nel mondo, Pescara 1986 – La Voce dell’ Emigrante 1987ff. – Agorà, Berlin, 1989-1991. Rundfunk: Radio Colonia, WDR, 1984-1987 – Radio Dortmund, WDR, 1984-1994. Nachschlagewerke: Literatur-Atlas NRW 1992 – Westf. Autorenverzeichnis 1993 – Kultur-Kooperative Ruhr. Dortmund 1990. Literaturkommission für Westfalen (“Enciclopedia degli Autori della Westfalia”, 1750-1950 - IV vol.-“Westfälisches Autorenlexikon”. Edit. Landschaftsverband Westfalen Lippe di Münster). "Wikipedia" Internet dal 2007.********************
In fondo al blog i titoli di quasi tutti i miei articoli di giornale e le testate, dal 1954 al 1960. ********************
La mia prima conferenza, a 22 anni, su "Lineamenti e prospettive per L'Europa", alla Biblioteca Comunale di Chieti, febbraio 1958.
(cliccare sulle immagini per ingrandirle).



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1958 - Incontro con il drammaturgo Gioacchino Forzano.

Chieti (Italia), marzo 1958, nella hall dell'Albergo Abruzzo.
Il drammaturgo e librettista d'opera Giovacchino Forzano, amico di Giacomo Puccini, salutato dalla Stampa teatina.
In basso, da sinistra: il giornalista Mario Zuccarini ("ANSA"), il giornalista Marino Solfanelli ("IL TEMPO"), Luigi Mosciàno ("CORRIERE DELLA SERA") ed il pittore Gennaro Cuocolo.
In alto, da sinistra: il giornalista Giannino Giannini ("PAESE"), il senatore Angelo De Luca, l'avvocato Sanvitale, il drammaturgo Giovacchino Forzano, il sindaco di Chieti, Angelo Mariani, il Prefetto di Chieti, il prof. Angelo D'Amato, l'assessore teatino agli studi, il presidente della Stampa teatina, dott. Carlo Travaglini ("Il Giornale d'Italia"), il presidente dell'Ente Turismo, Giuseppe Rulli ed il prof. Ernesto Giammarco.
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(La tessera contiene un errore di trascrizione; il nome corretto di mia madre è "Ivonne Guidone").




“LUIGI MOSCIANO IN INTERNET”. (“La Voce dell’emigrante”, giugno 2007). __________________
Su un blog telematico in internet all’indirizzo http://wwwluigi-mosciano.blogspot.com è consultabile una raccolta di scritti dell’amico e collaboratore Luigi Mosciàno da Dortmund – Germania – concepita come un mix di poesie, articoli e scritti dell’autore di natura storica, letteraria, politica e sociale, che gettano luci di cultura giornalistica e poetica sulle ombre dell’indifferenza e della non conoscenza di aspetti rilevanti del mondo dell’emigrazione. Pone l’accento sugli aspetti della xenofobia, delle privazioni e dei sacrifici di masse di italiani nelle varie epoche, specie negli anni duri del dopo guerra, senza tralasciare elementi del vivere comune antecedenti, propri del periodo bellico, come quando riporta nella raccolta un articolo pubblicato da questo stesso giornale nell’ottobre 2006, nel quale racconta di eufemismi e battute che i tedeschi riferivano a Hitler nonostante il rischio che questo comportasse. Giornalismo, poesia e pittura sono il triplice amore di Luigi Mosciàno, un amore che coltiva in Abruzzo e all’estero, collezionando riconoscimenti ed attestati di merito e di simpatia. Con questa multiforme raccolta di arte e cultura espresse con concretezza e capacità per il tramite di pubblicazioni su vari organi di stampa, compresa questa testata, Mosciàno ha voluto raccogliere del materiale edito, componendolo in uno schema studiato per generare attenzione del lettore in considerazione della valenza, sotto certi aspetti didattica del testo, che nel suo contesto potrebbe essere preso in considerazione al fine dell’insegnamento sociologico di tematiche connesse a fenomeni di aggregazione e di gruppo, connaturati in determinati periodi storici per gli emigranti italiani. La figura personale di Luigi Mosciàno, letta alla luce delle suo opere è lo specchio della figura dell’emigrante italiano, e nello stesso tempo incarna lo sforzo di emergere e di affermarsi dei nostri connazionali all’estero, fatta di ingegno e volontà e, nel caso specifico dell’amico Mosciàno, di elevata capacità culturale, artistica e poetica. Confidiamo nella continuità della preziosa collaborazione di cui ci onora Luigi Mosciàno e cogliamo l’occasione per esprimere tutta la nostra ammirazione per questo abruzzese, che ha incarnato, sotto taluni aspetti, il sogno di tanti nostri connazionali, grazie ad incontrovertibili doti personali di creatività armonica, espressa nella raccolta in argomento con immaginazione ed equilibrio tra razionalità ed idealità, in un insieme di fattori complessi nella caratura e nello stesso tempo semplici nella loro proposizione culturale, in virtù delle tematiche che affronta, anche oltre il composito mondo dell’emigrazione, spesso calate nell’antropologia e nell’analisi del vivere sociale.
Angelo De Bartolomeis, direttore de "La Voce dell'emigrante"
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“I GENITORI NON HANNO TEMPO PER NOI”. MINORENNI IN UN SONDAGGIO DELL’UNICEF.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, 3 marzo 2007). ____________________
Impensierisce un sondaggio effettuato dall’UNICEF su scala internazionale. Le condizioni di figli minorenni, secondo i recenti risultati, sarebbero preoccupanti in alcune nazioni, tra le quali la Germania (ma anche l’Italia), per il fatto che i minori lamentano che i genitori non hanno tempo per loro. Solo nella Svezia, secondo l’UNICEF, i figli minorenni godrebbero di vicinanza e sostegno sufficienti. Mentre la politica dell’Unione Europea si sta occupando di misure di protezione dall’alcool, dal fumo e dalle droghe, l’appello rivolto dall’UNICEF ai genitori suona così: porgete orecchio, esprimete opinioni fondate e sostenete moralmente i vostri figli. Prendetevi tempo, parlate con loro.
In Germania vivono 670mila Italiani e quindi il problema dei figli minorenni lasciati soli riguarda anche loro. Qui i figli sotto i venti anni rappresentano il 20% degli 83 milioni di abitanti. Secondo le statistiche, 1 milione virgola 1 di beneficiari di assistenza sociale è formato da minorenni e più della metà di essi vive con la madre rimasta sola o presso il solo padre. Un onere pesante per lo Stato che deve investire miliardi di euro per il loro sostentamento. Il problema è più complesso di quanto rimarca l’UNICEF, se si considera che la disoccupazione esistente rasenta tuttora la cifra di 4 milioni di unità. Tenendo presente questa triste realtà, si può ben comprendere come tantissimi genitori, demoralizzati e privi di prospettive per il futuro, non si occupano sempre dell’andamento delle cose dei figli. Si crea così un circolo vizioso e pericoloso, in cui molti figli minorenni lamentano la mancanza di vicinanza e colloquio con i genitori, specialmente in quelle realtà familiari in cui entrambi i genitori sono assenti per lavoro. In questa deriva, ed in mancanza di una seria guida, i giovani cercano forti alternative nelle scuole e fuori casa, attraverso l’uso di sostanze eccitanti da soli e in gruppo, visioni, realizzazioni, scambio e divulgazione di film con immagini violente, pornografie varie, attività sessuali scombinate che diventano il loro “divertimento” quotidiano. Se non vanno a scuola, il tutto avviene per le strade, nei locali in cui i giovani fanno gruppo. Le istituzioni scolastiche inutilmente esortano i genitori a controllare i minori nell’uso di cellulari fotografici ed altre “artificiosità” Pochi gli interventi dello Stato, con la proposta da parte di alcuni politici di un disegno di legge – in Baviera - per vietare la produzione di video-giuochi violenti. Giuochi in cui lo spettatore è lui stesso attore e simulatore di violenza. Ma questo non basta. Occorre ed appare chiaro promuovere un dialogo all’interno della famiglia, tra generazioni, convincere e coinvolgere a discutere il problema maggiori quantità di persone, enti, istituzioni, nella certezza però che la prima sensibilizzazione dei figli e la crescita del loro senso di responsabilità civile possano aver luogo principalmente in seno alla famiglia. ______________________________________________UNA BOMBA ECOLOGICA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE. Il relitto del sottomarino segreto “U-864”.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, 3 marzo 2007).
________________ Una pericolosa bomba ecologica è stata scoperta davanti alla costa norvegese: si tratta del relitto del sottomarino tedesco “U-864”, colpito ed inabissato nel 1944, a circa 150 metri di profondità, con 73 uomini di equipaggio e carico di 61 tonnellate di mercurio e di gas nervino.
Era il sottomarino che, secondo la volontà di Hitler, doveva trasportare anche motori per il “Messerschmitt Me 262”, il primo aereo a reazione nel mondo. Il dittatore tedesco credeva di vincere la Guerra. A bordo del sottomarino si trovavano anche scienziati tedeschi e giapponesi. Era l’operazione denominata “Cásar” e la direzione era l’Asia, col fine di stroncare la super potenza americana nella guerra del Pacifico contro il Giappone. Tutto era assai segreto, fino al momento di un radiomessaggio captato dagli Inglesi. In quel momento avevano inizio inseguimento e caccia, per la durata di alcune ore, negli abissi del Mare del Nord. L’”U-864” venne colpito. Oggi i contenitori del mercurio e del gas nervino sono arrugginiti, e questo allarma il governo norvegese. Escluso il recupero del relitto, lo si vuole ricoprire con uno spesso strato di cemento. ___________________________________
LA RAI E L’OSCURAMENTO DI TRASMISSIONI.
( Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2007). __________________________________________________________________
C’è voluto mezzo secolo di lotte e di attese, affinché si compisse per gli Italiani all’estero il miracolo della concessione del diritto al voto. Fino a quel giorno, ritenuti di seconda classe e trascurati, nonostante essi facessero cospicue rimesse di denaro verso la Madrepatria, i problemi dell’altra Italia restavano quelli che erano. I neo-elettori, sempre in ansia che le loro attese venissero prese in considerazione, si sentivano traditi. Tra le attese può essere citata quella di venire informati dalla RAI che è un’istituzione pubblica e che quindi ha il dovere di non dimenticare l’altra Italia residente in Europa. Lo scenario politico al quale gli Italiani sparsi in questo continente assistono è scoraggiante e si dubita che la RAI ponga fine all’annoso oscuramento di trasmissioni: un problema abbastanza grave, se si considera che l’oscuramento in questione priva gli Italiani emigrati in Europa di un legittimo diritto all’informazione, qualunque siano i problemi interni della RAI e le sue innumerevoli scuse. C’è poi da ricordare che gli utenti connazionali emigrati pagano il loro salato canone : 204,36 euro l’anno alla RAI-TV tedesca. Tra le promesse d’una soluzione del problema, si ricordano quelle del direttore generale della RAI INTERNATIONAL, Magliaro, come pure quelle del viceministro Danieli. Non se n’è fatto un bel nulla. Ora, in un’intervista concessa recentemente al mensile “Corriere d’Italia” di Francoforte, il senatore Claudio Micheloni, membro della commissione parlamentare bicamerale di vigilanza ed indirizzo della RAI, ha promesso solennemente di volersi impegnare, affinché le trasmissioni della RAI INTERNATIONAL vengano estese all’Europa. C’è da sperare che i suoi buoni intenti non siano silurati da altri politici che sinora hanno voluto ignorare l’esistenza e le legittime esigenze dei Connazionali emigrati. Questi ultimi, in verità, guardano con apprensione ad una Madrepatria tormentata da polemiche insulse, da spaccature, lotte personali e di partito, volgarità ed offese tra i politici, presunzioni e dispotismi; e si chiedono: dov’è una fattiva collaborazione tra i partiti? Sono troppi i partiti nati come funghi? Fa giorno dove cantano tanti galli? La critica tra opposizione e parte governante è costruttiva se non offre consistenti alternative? L’altra Italia all’estero ha l’impressione di ascoltare sproloqui a non finire. E certa disaffezione verso la politica non sembra perciò essere casuale. In ogni modo, l’altra Italia non cestina la speranza che la RAI ponga fine al problema dell’oscuramento di trasmissioni.
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ANCORA SULLA CRISI DELLE CHIESE (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2007).
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Come già riferito (“La Voce dell’emigrante”, febbraio 2006), le Chiese in questo Paese si trovano in sempre più gravi difficoltà, sia per il calo del numero dei fedeli sia per la venuta a mancare “tassa per la chiesa” che, pagata dai lavoratori dipendenti, rappresentava un’entrata di milioni di euro, prima dell’esistente disoccupazione che si aggira sui 4 milioni. Ora si ha notizia che alcune chiese evangeliche funzionano mentre altre chiudono i battenti o vengono adibite a locali di ritrovo o perfino demolite. La situazione delle chiese cattoliche è meno grave, pur esistendo il pericolo di restrizioni e licenziamenti di personale. Il fenomeno che si registra tra i giovani tedeschi consiste nel fatto che essi, generalmente, non ritengono (nella misura del 90 % ) la propria religione quella assolutamente vera. Al contrario, il 40 % dei musulmani crede nella propria religione. Il Cristianesimo, secondo lo studio di un gruppo di religiosi pedagoghi della città di Wüzburg, sta perdendo la forza di attrazione. Le Chiese dunque in crisi crescente ed in contrapposizione il fenomeno della crescita di moschee: in Germania di quest’ultime ne esistono 159 e 128 sono in fase di costruzione. Alle moschee si aggiungono 2500 case di preghiera, frequentate da immigrati musulmani.
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BUON ANNO, SUPERSTAR!
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, gennaio 2007).
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Buon anno, superstar! Ci eravamo abituati a convivere con la moltitudine delle star, ma alla vostra apparizione sulla scena del globo, esso ci appare di molto più variopinto. Vi ammiriamo come uccelli del paradiso e la vostra malattia del volervi profilare e di voler divenire assai ricchi, non ci pare un handicap. Anzi, vedendovi molto attivi in arti e mestieri leggeri, vi riteniamo valorosi interpreti di un caotico ribollimento di spirito e di tragedie psicofisiche. Perché quando non riuscite a toccare i panni del Creatore, cioè il cielo della voluta o promessa celebrità, ci addolora la vostra sovente caduta di Icaro e ci spaventa la disfatta cera che fa colline. Peccato che i mass media poi vi lascino soli nel vorticoso avvicendarsi di concorrenti; soli nell’altalena dei vostri sentimenti. Fama e ricchezza vi promettono, e voi vi rincorrete per aggrapparvi a monumenti di idoli privi di personalità, sempre convinti di non scavalcare norme e valori etici ed estetici. E non è colpa vostra se i mass media, in una democrazia aperta che protegge proprietà ed iperconsumismo, vi fanno, vi fanno presente che in nome della vostra personale libertà potete rimbalzare coi vostri nomi da una copertina all’altra di centinaia di riviste o potete partecipare a talk show, dove potete mostrare la vostra riservatezza e la vostra intelligenza. Non è vero che pettegolate e che siete ignoranti. Se tanto fosse, non avremmo la società che abbiamo. Quindi non siate afflitti da complessi di inferiorità, anche quando ascoltate che i veri cervelli sono emigrati e che qualche politico cosciente si preoccupa di farli rientrare in terra natale. Non sentitevi da meno, poi, allorché anche in politica è in atto una frenetica cultura della celebrità e del superguadagno ad ogni costo. Voi superstar restate unici, anche quando raccontate e mostrate le vostre intimità. I vostri spogliarelli non sono senza interesse per la gente del buon senso. Forse pensate che Socrate scherzava quando diceva di sapere che non sapeva.
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IMMIGRATI ITALIANI PREOCCUPATI
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'emigrante", dicembre 2006)
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633.237 sono gli italiani immigrati in questo Paese. Molti di loro si trovano sotto cassa-integrazione. Angosciati, tra l’altro, per la situazione economico-finanziaria che avvilisce la Germania, indebitata fino al collo per 1,5 bilioni di euro ed anche scossa da scioperi (come quello dei medici, che dura da mesi). Le dimostrazioni di protesta contro la politica della grande coalizione nero-rossa (CSU, CDU e SPD9 hanno avuto luogo di recente. Circa 200mila persone sono scese in piazza a Berlino, Dortmund, Stoccarda e Francoforte sul Meno. La neoriforma sanitaria, il pesante regolamento sussidiario per gl’inoccupati (circa 4,3 milioni) e l’aumento dell’IVA (MwSt) dal 16 al 19%, previsto a partire dal gennaio 2007, lasciano paventare che moltissime famiglie attanagliate dal bisogno e perfino dalla miseria, vengano a trovarsi in situazioni ancora più dure, dal momento che un rincaro dei prezzi non è più da escludere.
Secondo la Stampa tedesca, il debito nazionale aumenta ogni giorno di 180 milioni, mentre il carico degl’interessi annuali, che la Germania paga per il suo debito, è di 64 miliardi di euro. L’economia tedesca si sta risollevando pian piano, ma resta il fatto che quasi tutti i Comuni si trovano in deficit. Il caso della città di Berlino rasenta lo scandalo: 60 miliardi di euro in rosso. L’istituto investigativo in materia economico-finanziaria “Creditreform” informa poi che degli 83 milioni di tedeschi 7,2 milioni di persone sono indebitate, 2419 le ditte insolventi. Il Fisco sta registrando incassi d’oro. Da una parte giubila la grande coalizione; dall’altra, manifestazioni di protesta per la sua politica, ritenuta spendacciona per iniziative futili, non produttive.
VERSI D’AMORE
(A mia moglie Brigitte)
Luigi Mosciàno 11.01.2006
Noi due ci dividiamo la paura
di fronte a cani latranti
e ad esseri biforcuti.
Ci dividiamo la meraviglia
al fiorire della natura,
delle speranze e dei sogni.
Ci spaventiamo ascoltando parole
e vedendo gesti che non sanno di pace.
Ci entusiasmiamo alla lezione del Bello.
Pensiamo alla fragilità del tutto
e cerchiamo rifugio nel Credo.
(Versi palpitanti di Luigi Mosciàno per l’amata Brigitte. Abituati a vivere una realtà cadenzata da una cronaca fatta di accadimenti negativi, è con vero piacere che pubblichiamo, su sua esplicita richiesta, la poesia scritta alla propria moglie dal nostro corrispondente in Germania Luigi Mosciano. Con la consueta capacità espressiva, la stessa con la quale da anni incentra la sua collaborazione con il nostro giornale, l’amico Luigi ha voluto rivolgersi alla consorte con parole d’amore espresse in versi palpitanti di partecipazione emozionale.
(Il Direttore de “La Voce dell’emigrante”). _____________________________________________
PAPA BENEDETTO XVI IN BAVIERA (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 2006)_____________
Accolto nella terra natale da centinaia di migliaia di fedeli, ha consegnato alla moltitudine un grande messaggio: l’amore di Cristo per gli esseri umani e quello di essi per il Salvatore, in un momento di materialismo imperante, di mancanza di coscienza e di responsabilità civiche. In una Germania dove in regioni come il Nordreno-Westfalia molte chiese sono chiuse e vengono adibite a locali di divertimento; o dove generalmente le chiese restano sempre più deserte, il messaggio del Vicario di Cristo ha trovato la sua importanza storica, soprattutto per le masse di giovani presenti all’evento. Presenti solo per vedere, sentire e provare l’emozione di un grande raduno? Quanti di loro ed anche quante persone mature pregheranno ed andranno di più in chiesa, dopo questo incontro oceanico a Monaco di Baviera? Sentiranno che la Chiesa ha una missione materna? Speriamolo. Il vorticoso giro di affari con la vendita di migliaia di articoli, tra i più stravaganti e inutili, con l’effige del Papa, ci ha fatto pensare a Gesù Cristo che scacciò i mercanti dal tempio.
UNA LEGGE LACUNOSA (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 2006) ______________ Le direttive dell’Unione europea in materia di parità di diritti, tradotte recentemente in legge in questa Nazione, dovrebbero porre al bando qualsiasi pretesto di discriminazione degl’immigrati. Sesso, razza, provenienza etnica, religione, concezione del mondo e della vita, età, l’essere disabile, come pure l’identità sessuale non dovrebbero più significare elementi negativi. Eppure, le varie associazioni che combattono in loco la discriminazione degl’immigrati ritengono la varata legge in questione lacunosa e controproducente, dal momento in cui, per esempio, viene consentito a locatori privati di stabilire da soli se concedere un’abitazione a stranieri o se sbattere loro la porta in faccia.
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IGNORATO IL CONTRIBUTO ITALIANO (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 2006)
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Il 23 agosto 1946 le autorità inglesi di occupazione permisero la nascita della regione Nordreno-Westfalia (NRW). Alla celebrazione del 60.mo dell’evento i mass media hanno dedicato molto spazio ai ricordi di quel tempo, sottolineando l’importanza socio-economico-politica odierna della Regione che è la più popolosa della Germania e che vanta un potenziale di ben 40 dei più grandi gruppi commerciali ed industriali della Nazione. A Düsseldorf, capoluogo regionale fiero dei progressi del Nordreno-Westfalia, una volta potente fulcro e locomotiva dell’economia nazionale, e del miracolo economico verificatosi negli anni ’60, allorché fumavano le ciminiere delle acciaierie e si scavava nelle viscere della terra per l’estrazione del carbon fossile, o facevano gran rumore i martelli pneumatici sulle strade o nei cantieri edili, non è stato ricordato il contributo lavorativo degl’immigrati italiani. Oggi, la regione, con un grande conglomerato di mass media, ha centri culturali e sportivi, ha centri di ricerca per la microtecnica,per la biologia molecolare, di ottica per le navicelle spaziali, di prodotti di alta precisione e di grandi macchinari industriali. Il Nordreno-Westfalia era ancora un cumulo di macerie e la gente protestava in strada per la fame che soffriva, quando i nostri connazionali nel 1950 immigravano in massa: coraggiosi, volenterosi, stoici, ingegnosi e fattivi. E contribuirono al “Wirtschaftswünder”: il miracolo economico.
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UN LIBRO SU COME SI RIDEVA DI HITLER (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante, ottobre 2006)
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Ha visto la luce recentemente il libro “Heil Hitler, das Schwein ist tot!” (“Heil Hitler, il porco è morto!”) di Rudolph Herzog, ed. Eichborn, col sottotitolo “Ridere di Hitler, comicità ed umore nel Terzo Reich”. E’ un libro che invoglia a scoprire come molti Tedeschi ridevano del dittatore e dei nazisti, nonostante il rischio della pena di morte. Un ebreo in esilio in New York ha in casa un ritratto di Hitler. Un amico chiede turbato.”Sei pazzo?!” – “No, quando vedo il ritratto mi passa la nostalgia”. Un artista del cabaret viene arrestato dalla Gestapo che gli chiede: “E’ in possesso di armi?”. E lui: “Perché, qui ce n’è bisogno?”. Hitler visita un manicomio e tutti i pazienti lo salutano: “Heil Hitler!”. Solo uno resta muto. Il dittatore lo apostrofa: “Perché non saluta?” E lui: “Sono il secondino, io non sono un pazzo”. Tra le molte, l’ultima; il dittatore ed il suo autista sono in viaggio ed investono ed uccidono un porco. L’autista corre dal contadino e torna all’auto, dopo molto tempo, ubriaco e carico di salame e prosciutto. Hitler è innervosito e sbraita: “Che cosa gli hai detto?”. L’autista: “Ho detto – ‘Heil Hitler, il porco è morto’ – e subito mi hanno invitato a pranzo”.
Integrazione e naturalizzazione in Germania. I Tedeschi e gl’immigrati. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'emigrante", giugno 2006) ________ Integrazione e naturalizzazione sono gli argomenti attuali della politica tedesca. I ministri degli interni ritengono che la naturalizzazione degl’immigrati rappresenti una tappa fondamentale per la loro integrazione. Incompiuta risulta essa per 7 milioni e passa di loro; incompiuta, nonostante 186.688 casi di naturalizzazione nel 2000 contro i 127.153 registrati nel 2004. Turchi, Romeni, Italiani, Portoghesi ed altri sono stati sempre in cima alle liste di richiesta di cittadinanza tedesca, l’hanno ottenuta ed hanno gioito. Un pò meno i Turchi che, naturalizzati, hanno dovuto rinunciare - contrariamente agli altri immigrati rinvenuti - alla cittadinanza originaria. Il calo delle richieste di naturalizzazione da parte dei Turchi preoccupa i politici e la stampa, in un momento in cui risultano sempre più numerose le "società parallele" turche, sorte nella periferia di Berlino e di altre grandi città. Si ravvisa una volontà di mettere un pò di ordine nell’assetto cittadino e quindi si pensa alla naturalizzazione ai fini d'un' "integrazione". E per giungere a tanto i po-litici fanno proposte varie, i cui contenuti sono oggetto di larghe discussioni. Naturalizzare si, ma alle condizioni che gl'immigrati conoscano la lingua tedesca; che essi abbiano cognizioni dello Stato tedesco e del suo fondamento giuridico e che essi, infine, giurino di rispettare le leggi del Paese, assicurando fedeltà. Questa "integrazione" che si vuole ottenere così oggi, a 56 anni di distanza dalla richiesta tedesca di forze lavorative (prima italiane, poi spagnole, turche, greche, portoghesi ed altre) che furono di grande aiuto per il miracolo economico tedesco negli anni '60 e '70, sembra volere riparare a quanto i Tedeschi non hanno voluto: proprio la "integrazione". La stessa Stampa locale rimarca tutto ciò. Quindi, non si tratta d'una dimenticanza o d’una svista. Perché fino agli anni 90 gl’immigrati sono stati trattati come stranieri, poi come lavoratori-ospiti, poi come concittadini stranieri ed infine come ospiti. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se mancando un calore umano, una mano tesa ed un approccio, moltissimi immigrati si ritiravano nel corso di decine di anni a vivere in un mondo d’una interiore emigrazione, praticando così un passivo razzismo, seppure involontariamente; senza partecipare alla reale vita della società tedesca, sospesi a mezz’aria, col cuore nel Paese di origine e col resto all’estero. Due Paesi, due lingue e due culture. Le incaricate per gl’immigrati avrebbero voluto esporre i loro problemi; ma i governanti erano in tutt’altre faccende affaccendati. Cosicché si è parlato non con gl’immigrati, ma molto spesso verso di loro. Parlare oggi di un’integrazione intesa come assimilazione e non quale aggregazione, serve come calmante per certe coscienze. Le terze e le quarte generazioni nate da immigrati e qui rimaste a vivere, possono solo augurarsi che spariscano indifferenze, rifiuto, paura di inforestieramento e la paura di assalti da parte neonazista. Il presidente della Repubblica Federale Tedesca, Horst Kóhler - la Stampa locale, lo cita con rilievo - ha esortato di recente: "Dobbiamo convincerci del fatto che gl’immigrati che si trovano qui da molto tempo devono essere benvoluti e che noi dobbiamo fare di tutto, affinché essi si sentano a loro agio". IL CAMPIONATO MONDIALE DEL CALCIO IN GERMANIA. PREPARATIVI E PREOCCUPAZIONI DEI TEDESCHI PER IL 9 GIUGNO 2006. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, maggio 2006). ____________ L’hanno ardentemente desiderato e felicemente ottenuto: il Campionato Mondiale del Calcio, con inizio il 9 giugno mese prossimo.
Mentre l’industria del libro invade il mercato con innumerevoli pubblicazioni rievocanti i Campionati Mondiali del Calcio, che hanno avuto luogo ogni sei anni, a partire dal 1932, i calciatori locali più in vista, reduci da carriere ed anche catastrofi, ripetono: “La verità sta sul campo”, “Gol, sogni e trionfi”, “Il pallone è rotondo”, “E’ importante che ci si concentri profondamente per novanta minuti, pensando alla prossima partita”. Febbrili i preparativi e varie le preoccupazioni degli organizzatori dell’evento; preoccupazioni cui la Stampa dedica ampio spazio: l’eventualità di una esplosione dell’aviaria, la sicurezza pubblica nei dodici stadi delle città (vedasi grafico), nelle quali avranno luogo le partite di eliminatoria, la paura di gruppi estremisti e terroristici, il tema della viabilità, quello della efficienza alberghiera, quello della disponibilità di accoglienza dei turisti da parte di privati e di istituzioni varie, quello delle predisposizioni della gastronomia per un enorme pubblico, straniero, quello delle ore di straordinario che dovranno fare i negozianti ed infine anche il problema evidenziato dalla Stampa di come regolare l’afflusso di meretrici che proverrebbero dall’Europa orientale, dall’Africa e dall’Asia e che andrebbero ad aggiungersi alle molte altre attive sia su strada che in “case chiuse” permesse dalla legge. L’innato senso analitico dei tedeschi ed un certo loro timore di sempre incombente catastrofe, li inducono a filosofare, a soppesare, a spaccare il capello, anche nel caso della prostituzione, che essi, pur detestando pubblicamente, sopportano per ragioni di profitto, dato che le “attive” sono contribuenti. Sempre la Stampa locale riferisce che per loro vengono costruiti casotti, con attigui ristoranti, nelle zone periferiche, affinché l’attività delle donne in questione avvenga senza troppi scandali.
Divertente è il caso di una città della regione Westfalia, che di fronte ad una massiccia protesta da parte della popolazione per l’esistenza decennale di una “casa chiusa” nel bel centro cittadino Nord, ha mobilitato il consiglio comunale ai fini di una adeguata, celere soluzione. Analizzato e ponderato il caso, si voleva chiudere la “casa”, rilevandone alcune altre, più dimensionate, magari nell’estrema periferia cittadina. Il ragionamento era il seguente: un grande mucchio puzza; più mucchietti, magari un po’ sparsi qua e là non inquinano l’ambiente. Ma la “casa” è rimasta lì dove era. Al piacere di goderci da vicino, anche noi 700mila Italiani qui residenti, le quattro settimane del Campionato. Grande e rovente è l’attesa per milioni e milioni di tifosi. Per informazioni: www.wm2006.nrw.de TRAMONTA IL MITO DELL’”ORO NERO” IN GERMANIA. La presenza italiana nell’industria mineraria. La chiusura delle miniere. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per "La Voce dell'emigrante", marzo 2006). __________ “Per me le stelle sono scure, per me le notti sono nere”… Era una canzone in voga cinque decenni fa, allorché i giovani 20 e 35enni connazionali partivano dal sud Italia e dalla Sardegna per lavorare nelle miniere del carbone nella zona della Ruhr. Circa 150mila disoccupati raggiungevano annualmente in treno la Repubblica Federale Tedesca. Per ognuno di loro il governo italiano riceveva 60 marchi da parte del governo tedesco: era praticamente una svendita di forze lavorative. La politica aveva tradito le attese delle popolazioni del Mezzogiorno e dell’isola sarda. E si ritrovavano quei giovani pieni di ansie e di speranze. Molti di loro anche senza un contratto di lavoro – a “vivere” nelle baracche site alla periferia di città quali Bochum, Castrop Rauxel, Gelsenkirchen, Essen, Herne, Dortmund ed Oberhausen; senza conoscenza della lingua, in un mondo grigio e freddo, al principio anche in senso umano. Mi piace ricordare quei giovani connazionali, che io contattai per ragioni di lavoro: coraggiosi, volenterosi, pieni di spirito d’iniziativa, tenaci nel contribuire a quel miracolo economico tedesco degli anni Sessanta. E poi, bisogna che io li ricordi quali portatori del vessillo delle nostre tradizioni e della nostra cultura. Quanti di loro periti nelle miniere tedesche del carbone? Crisi dell’industria del carbone. La recente vittoria dell’Unione Cristiano Democratica (CDU) nelle elezioni per governo regionale (Landtag) della città di Düsseldorf (dove il partito Socialdemocratico SPD aveva la sua roccaforte da circa quattro decenni) ha rappresentato per i minatori sia tedeschi che stranieri un triste evento. Il nuovo partito al governo ha annunciato una drastica riduzione di sovvenzioni per l’industria del carbone fossile, con conseguente licenziamento di migliaia di operai. Il mito dell’”Oro nero” in una regione ritenuta fino a due decenni fa la “locomotiva” dell’economia nazionale sembra tramontare, infondendo tristezza ed angoscia nei minatori. La tradizione dell’industria carbonifera risale al Medioevo. Ma tutto ciò non interessa i politici, i quali tengono d’occhio le fonti energetiche alternative ed i prezzi convenienti offerti dalla concorrenza straniera nel settore del carbone fossile. Allora vengono cancellati 3mila posti di formazione professionale, vengono respinte le richieste di 7mila aspiranti minatori. Nel 1958 si contavano 350mila minatori nella zona della Ruhr. Oggi sono 30mila gli occupanti nelle miniere del carbone del Nordreno Westfalia. Già nel 1987 avevano luogo dimostrazioni di minatori, preoccupati per un’annunciata soppressione di posti di lavoro. La crisi ha preso piede nella zona della Ruhr, costretta da alcuni anni ad “inventarsi” nuova: tecnicamente, tecnologicamente e culturalmente. Oggi vengono venduti per 1 euro i più interessanti stabili dell’industria del carbone. Gli ampi atri nei quali rintronavano i macchinari ospitano qui e là eventi musicali, culturali ed artistici, in scenari fantasmagorici. CRISI DELLE CHIESE TEDESCHE. In calo l’affluenza dei fedeli. Perdita dell’”Imposta per la Chiesa”. Riforme in atto. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2006 ___________
Tra i ca. 700mila italiani residenti in Germania cresce una “preoccupazione per la parrocchia”. Si tratta del fatto che nel “Ruhrgebiet” (zona della Ruhr), che conta un quarto degli 83 milioni di abitanti della Repubblica Federale Tedesca, e che è afflitta da un indice medio di disoccupazione del 12% (la Nazione registra attualmente quasi 5 milioni d’inoccupati), la Chiesa cattolica e quella evangelica accusano da qualche anno una pesante crisi che le costringe ad una necessaria, immediata e vasta riforma. Le due Chiese hanno da sempre beneficiato d’una “imposta per la chiesa”, imposta detratta legalmente dai salari e dagli stipendi ed ammontante a decine di milioni di euro. E’ noto che tantissimi tedeschi e stranieri, al fine di evitare tale imposta, hanno scelto la via della pretura per “uscire” dalla chiesa. Già tanto ha significato una perdita di entrate per le due Chiese. Dilagando poi la disoccupazione negli ultimi tra anni, le entrate sono divenute scarsissime, tanto che le due Chiese hanno dovuto optare per una razionalizzazione, per una riduzione delle spese per il personale, anche licenziandolo in parte. - La Chiesa cattolica –
I vescovadi delle città di Essen e Paderborn hanno manifestato la volontà di ridurre 250 comunità a 35 grandi parrocchie, con la conseguente chiusura di 120 chiese. E’ momentaneamente solo un piano. Alcune delle chiese – come si apprende – potrebbero venire vendute a privati o utilizzate come centri di ritrovo per manifestazioni musicali, sportive e culturali. Il ventaglio delle alternative è abbastanza largo. Per esempio, si vorrebbero accorpare quattro comunità e 20mila fedeli, stabilendo che una sola comunità faccia da centrale, mentre le altre tre, pur restando attive, perdano la propria autonomia. La Chiesa cattolica, per il momento, ci tiene a precisare che essa vuole lasciare le chiese dove esse si trovano , puntando tantissimo sullo spirito di solidarietà del decanati e dei fedeli. - La Chiesa evangelica – Essa è la più forte in Germania per il numero dei fedeli e rende noto che un terzo delle parrocchie attive nella Nazione è assillato da problemi finanziari. Per molte chiese viene pensato ad un “allargamento” del loro uso, nel senso che esse potrebbero venire adibite a “locali per lezioni di cresima, incontri di gruppi femminili ed avvenimenti sociali e culturali. Anche in questo modo – ritiene la Chiesa – si potrebbe riconquistare l’interesse dei fedeli. Essa non esclude però che, aumentando le spine della crisi in corso, si potrebbe giungere ad affittare o anche vendere le chiese. Un altro aspetto della situazione riguarda le istituzioni caritative, formative e gli asili nido sinora sponsorizzati dalle due Chiese. Sono in atto tagli dolorosi che giustificano le preoccupazioni anche dei connazionali.
LA TRAGEDIA DI 600MILA SOLDATI ITALIANI DEPORTATI IN GERMANIA. Particolari a 60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2006). _____________ “Il padrino Mussolini ed il nipote Hitler”, così ostentava un mega manifesto tedesco nei giorni dell’”Asse” Berlino Roma. Correva l’anno 1940 che segnava l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania. Tre anni dopo, a cominciare dallo sbarco degli Americani in Sicilia, la situazione precipitava: la caduta di Mussolini, la nomina del maresciallo Pietro Badoglio a presidente dei ministri, la firma dell’armistizio il 3 settembre 1943… Agli occhi dei tedeschi gli Italiani apparivano traditori. 600mila italiani venivano imprigionati e deportati in Germania. Erano considerati “militari internati”: una trovata giuridica che li escludeva dal beneficio dei diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra, come pure dalle prestazioni della Croce Rossa. Il primo campo di concentramento veniva costruito nella città di Dortmund: lo “Stalag VI D”, assai duro per i Connazionali. Il 1° dicembre 1943 vi si trovavano 21 mila internati, assistiti dal cappellano militare Giuseppe Barbero di Centallo (Cuneo), il quale pubblicava nel 1946 un toccante libro: “La croce tra i reticolati”, libro dedicato alla memoria di 730 soldati italiani sepolti nel cimitero centrale di Dortmund (Informazioni di Elisabeth Tillmann, del Centro dortmundese di documentazione della storia della Chiesa).
L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN GERMANIA DAL 1955. Il cinquantenario di quanti contribuirono al miracolo economico tedesco e furono anche “ambasciatori” di cultura. (Luigi Mosciano, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, 11 novembre 2005). ________
Nel dicembre 1955 venne stipulato un reclutamento di forze lavorative tra la Germania e l’Italia. Da quell’anno fino al 1973, cir5ca due milioni di operai italiani immigrarono; la maggior parte di essi priva d’una qualifica e con contratti di lavoro temporali. Oggi viene ricordato il cinquantenario tramite discussioni e mostre varie. Bisogna però precisare che l’immigrazione italiana in questa Nazione ha tradizioni molto anteriori. - L’immigrazione di prima – I soldati romani, commercianti, artigiani del Nord del Belpaese, lavoratori dell’industria e letterati di varie regioni italiane immigrarono sia nella Renania che nella Westfalia. Fino all’estate del 1943, poi, vi furono operai definiti “ottimi” lavoratori in questa Nazione, finiti, nel settembre dello stesso anno sotto le grinfie del Terzo Reich, come internati ed operai coatti, dato che l’Italia era divenuta un campo di battaglia per l’esercito tedesco. - Il patimento nella Ruhr – L’occupazione dei connazionali reclutati prima a Verona e più tardi anche a Napoli aveva luogo soprattutto nelle miniere del carbone situate nella regione della Ruhr (Ruhrgebiet) e poi anche nelle acciaierie, nei cantieri edili e nelle ferrovie. I lavoratori italiani del braccio erano “stranieri” (Ausländer) per o tedeschi; per divenire più in là “lavoratori ospiti” (Gastarbeiter) ed infine “concittadini stranieri” (Ausländische Mitbürger ). Li aveva esortati a venire in Germania un volantino della società mineraria “Ruhrbergbau” che li invogliava con il testo “Vita nuova nella industria mineraria del carbon fossile”. Ed erano giunti a centinaia di migliaia nella stazione ferroviaria di Monaco di Baviera, chiassosi, occhi incavati per il lungo viaggio in treno, valige e fagotti incordati, smunti, malvestiti, ma sorridenti, come se avessero raggiunto un eldorado. Erano stati sballottati dal Sud d’una Patria di prevalente economia agricola in un mondo industriale in ebollizione. E qui aveva inizio patimento sopportato con apparente serenità e disinteresse. Nel luogo dell’allora miniera “Zeche Hannover” di Bochum (nella quale lavorarono centinaia di italiani, da anni divenuta museo industriale, come pure tante altre miniere) si è discusso il 6 ottobre scorso sul tema che stiamo trattando; mentre la cittadina di Unna si appresta ad allestire una mostra di testimonianze ed oggetti appartenenti agl’immigrati della grande ondata (la mostra avrà luogo dal 20 gennaio al 24 aprile dell’anno prossimo); già fervono preparativi analoghi in altre città limitrofe. Ma perché si dà tanta importanza al cinquantenario d’immigrazione? E’ tanto interessante rinvenire la drammaticità sociale di massa? I giovani immigrati, 30-35enni, si ritrovavano in una regione, la Ruhr, che rappresentava la locomotiva della economia nazionale: la leva propulsiva per quel miracolo economico (Wirtschaftswunder) che esplodeva negli anni ’60. Privi di cognizioni della lingua tedesca e anche di quella dura disciplina tedesca, erano arrivati per rappresentare una Italia coraggiosa, volenterosa, ingegnosa, rinunciataria, sacrificata, nostalgica, piena di Fede e di Speranza: un’Italia portatrice di cultura, soprattutto di quella delle tradizioni. Erano arrivati all’”eldorado” per inviare miliardi di lire ai loro familiari. Si dice che la Germania inviò tonnellate di carbone gratuito all’Italia per “pagare” la manodopera immigrata. I datori di lavoro avevano pagato 60 marchi per il biglietto di venuta per ognuno di loro. Se le loro prestazioni non erano quelle desiderate, i 60 marchi venivano detratti dal salario che non era sempre quello giusto, legale; motivo per cui i connazionali si rivolgevano con successo ai sindacati locali. In baracche costruite nelle tristi periferie di città quali Bochum, Gelsenkirchen, Oberrhausen, Dortmund, ecc., soffocate dallo smog e sotto un cielo perennemente plumbeo, si svolgeva una assai grama esistenza dei connazionali. Dieci undici letti a castello, un forellino, un tavolo con poche sedie, una ruvida parete sulla quale erano fissate fotografie dei familiari dei singoli, una stufa, pentole alla rinfusa. Lì si godevano la spaghettata, la musica di un organetto, la canzone cantata in coro e la partita dello scopone, leggendo e rileggendo le lettere pervenute dai familiari. E c’era nell’atmosfera il peso di un pesante dilemma: attendere la scadenza del contratto di lavoro, lasciar venire qualcuno di famiglia o tornarsene a casa? Un vero dilemma per ognuno di loro, soprattutto considerando la situazione di un Mezzogiorno tradito dalla Politica, come pure una certa freddezza di quanti li ospitavano. Svenduti come merce di fine stagione in Patria; essere piccoli di statura, troppo chiacchierini, sempre a cantare, “divoratori di spaghetti”, come definiti dai tedeschi. Eppure, quei bravi ragazzi cercavano contatto con loro, sentivano il bisogno di calore umano. Ma come era possibile farsi intendere se non possedevano una conoscenza della lingua tedesca? Allora si rassegnavano, si recavano negli atri delle stazioni ferroviarie e lì formavano capannelli soprattutto la domenica, per una chiassosa rimpatriata collettiva. Divoratori di spaghetti (Spaghettifresser), sfottevano i tedeschi, mentre i connazionali se la ridevano nel vederli mangiare gli spaghetti usando forchetta e coltello! Li rispettiamo ma non li amiamo, andavano ripetendo; mentre i tedeschi affermavano il contrario…Molti proprietari di case si rifiutavano di affittare stanze agli Italiani, temendo apertamente mafia ed imbrogli di ogni genere. Ma i nostri immigrati cominciavano a sentire il forte bisogno di uscire dalle baracche, che la stessa Stampa tedesca aveva reputate non degne degl’immigrati. In quel tempo i connazionali s’innamoravano non solo delle donne tedesche (provocando gelosie dei tedeschi e risse), ma anche dell’auto maggiolino della “Volkswagen”; mentre i tedeschi cominciavano ad andare pazzi per la nostra Vespa e per la Fiat 500. - Approccio, colloquio e comprensione – Era anche il tempo in cui gelatieri e pizzaioli nostrani, tra i quali alcuni improvvisati tra gli immigrati minatori, incominciavano ad essere attivi in molti angoli delle città, richiamando l’attenzione dei tedeschi, divenuti poi ottimi clienti. In quei locali aveva inizio un abbordo, un colloquio tra Italiani e Tedeschi. Ma per giungere ad una comprensione c’era bisogno della mediazione, dell’aiuto delle Missioni Cattoliche italiane e di assistenti sociali che si preoccupavano delle sorti degl’immigrati, difendendone gl’interessi anche presso certe ostili autorità. L’espresso lo si gustava anche nei locali delle Missioni, dove venivano programmate anche partite di calcio, oltre a cresime, comunioni, battesimi e matrimoni. E cominciavano a vedere la luce giornali in lingua italiana (La Squilla, Il Messaggero di S. Antonio, Il Corriere d’Italia, il mensile Incontri) che, assieme ad altri Quotidiani giunti dall’Italia, assieme alle trasmissioni in lingua italiana di Radio Colonia, incoraggiavano gl’immigrati, li informavano e proteggevano. L’importanza del ricordare il cinquantenario dell’immigrazione sta nel fatto che i lavoratori connazionali non sono emigrati in se stessi, non si sono esclusi, si sono imposti, hanno investito i risparmi, acquistando una casa ed un orticello, hanno sposato donne tedesche, si sono inseriti nella società tedesca, ma senza lasciarsi assimilare, hanno mandato i figli a scuola, si sono interessati alla politica ed ai problemi del luogo, senza dimenticare la propria identità. I loro figli e nipoti, qui nati, frequentano università o corsi di specializzazione. Tecnica, tecnologia e scienza richiedono qualifiche. L’immigrato del 1955 ha fatto cultura a suo modo, non solo facendo conoscere le spiagge di Rimini e Riccione, ma, anche se indirettamente, suscitando nel popolo tedesco simpatia e voglia per l’arte, la cultura, la moda, la gastronomia, ecc. L’italiano immigrato non è più un “italiota” o uno straniero. Dalle pandette di Giustiniano (sec.VI) al Diritto Civile tedesco. E’ il riferimento più antico alla “nutrizione” reciproca tra la cultura italiana e quella tedesca. Ai 600mila e passa italiani residenti in questa Nazione ed ai “cervelloni” connazionali che hanno la fortuna di lavorare qui nelle direzioni di grandi aziende, nelle banche, nell’imprenditoria, nel giornalismo, nella letteratura, nell’insegnamento, nel Teatro, nel Cinema, nella Giurisprudenza, nella Politica ed in tutte le forme dell’Arte, va detto che moltissimi degl’immigrati in massa del 1955 hanno resistito, seminando bene. L’Italia, la grande patria, non ha un debito verso gl’immigrati della prima generazione, quella delle baracche? Può bastare un monumento per consolarli per i patimenti? Onoriamo la memoria di quanti videro distrutta la propria unità familiare o persero anche la vita in questa Nazione. LA CACCIA ALLE STREGHE NELLA GERMANIA DEL MEDIOEVO. Ogni 1° maggio la festa della Walpurga. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 2005). ____________ Come dovunque in Europa, nella Germania del Medioevo si dava la caccia alle streghe. Nel 1595, secondo credenze popolari, esse si riunivano nella notte del 1° maggio ai piedi del massiccio montuoso “Blocksberg” (monte “Brocken” nella regione dell’Harz), non solo per danzare, ma per fare anche burla e tramare. Era allora anche il tempo in cui si riteneva che gli uomini venissero soggiogati dalle donne (l’antica incisione su legno lo documenta).
- La notte della Walpurga – La notte della Walpurga (“Die Walpurgisnacht”) viene ricordata il 1° del mese mariano di ogni anno, quasi per commemorare il sacrificio di tutte le donne ritenute streghe, catturate, giustiziate, torturate e condannate al rogo. Donne rosse di capelli o con difetti fisici, donne lussuriose o adultere o comunque credute fuori dalla comune vita sociale. Esse finivano tutte nelle grinfie di accusatori, giudici e boia impassibili. Fu la Walpurga una delle cadute in disgrazia? Inizialmente i “giustizieri” appartenevano alla Chiesa evangelica, poi essi venivano affiancati nella loro “opera igienica” sia da rappresentanti della Chiesa cattolica sia da tribunali civili. - La motivazione teologica – Maghe di malignità in possesso di forze oscure e derivanti da iniziazioni diaboliche precristiane: le streghe. La motivazione teologica lasciava incalzare un’inquisizione crudele, durante e dopo i famosi discorsi del riformatore Martin Luther (M. Lutero). Già nel 1487 esisteva il temuto editto “Il martello delle streghe” (“Hexenhammer”), che terrorizzava ogni donna prima di uscire di casa, perché si aveva paura di venire sospettata, accusata e poi bruciata ingiustamente. Si aveva paura di essere ritenuta una che aveva fatto il patto con il diavolo; di avere avuto una relazione sessuale con satana. E tutto ciò durò fin al secolo 18°, causando la morte di decine di migliaia di donne ed anche di uomini, ritenuti loro complici. LA GERMANIA NELLA FEBBRE DELLO SPORT. Due eventi internazionali: i “WORLD GAMES” e il CAMPIONATO MONDIALE DEL CALCIO. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, giugno 2005). ____________ Moltissimi dei ca. 690mila residenti in Germania seguono con entusiasmo il fervore dei preparativi di due eventi sportivi internazionali: i “World Games” ed il Campionato Mondiale del calcio.
- i “World Games” – Essi sono giochi patrocinati da IOC e si differenziano dai tipi di sport notoriamente olimpici. Teatro dell’evento è la zona della Ruhr (fino a pochi anni addietro ritenuta la locomotiva dell’economia e della finanza con le sue produzioni di carbone ed acciaio – oggi fucina di tecnica, tecnologia, arte, cultura e servizi pubblici), nelle città di Duisburg, Bottrop, Mülheim ed Oberhausen, dal 14 al 24 luglio di quest’anno.
Cento nazioni, tra le quali anche l’Italia, partecipano con 3500 atleti. 177 sono le diverse discipline, di cui vengono rinvenute le più conosciute: paracadutismo, karaté, aerobica, sci nautico, arrampicata, biliardo, tiro della fune, bowling, acrobatica, rugby, lotta-sumo e judo. In palio, come sempre, tante medaglie e sono previsti 15 milioni di euro per i costi dell’evento. Hotline: 0208/8200444. - il Campionato Mondiale di Calcio – Dal 9 giugno per la durata di quattro settimane, il pallone trascinerà le folle dei tifosi negli stadi delle seguenti città: Monaco di Baviera, Hannover, Amburgo, Stoccarda, Norimberga, Francoforte sul Meno, Berlino, Dortmund, Gelsenkirchen, Colonia, Lipsia e Kaiserlautern. 64 sono le partite in programma di cui ben 16 avranno luogo nel Nordreno-Westfalia: 5 a Colonia, 5 a Gelsen kirchen e 6 a Dortmund. L’evento, naturalmente, costringe ad una “cosmesi” celere ed accurata di tutte le dodici città, rumoreggianti di vari cantieri, e nelle quali il calcio porterà centinaia di milioni di euro per le casse del commercio, dell’industria alberghiera e della gastronomia. Info: http://www.wm2006.nrw.de/. LA GERMANIA SI PREPARA A COMMEMORARE 50 MILIONI DI VITTIME DEL NAZIONALSOCIALISMO (8 maggio 1945 – 8 maggio 2005. Il 60° anniversario). (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, aprile 2005). ____________ L’8 maggio prossimo ricorre il 60° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Come si prepara la Germania a commemorare 50 milioni di vittime del nazionalsocialismo, mentre si accendono discussioni su una proibizione del neonazismo che politicamente sembra guadagnare terreno nella Sassonia e che ha intenzione – proprio nel giorno della suddetta ricorrenza – di manifestare davanti al monumento berlinese dell’olocausto e sul campo fatale di Auschwitz? - Una rovinosa impressione – Il timore dei tedeschi è quello d’una rovinosa, vergognosa impressione che la Germania possa dare al mondo per colpa del partito nazionale tedesco (NPD). Due anni addietro sii cercò di farlo proibire dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) che si astenne dall’esprimere un proprio giudizio, concedendo così al suddetto partito di vantarsi d’una “vittoria” conseguita nei confronti del Governo federale. Un secondo tentativo dal parte del Governo? Potrebbe una proibizione del partito neonazista succitato condurre ad una “pulizia” dei cervelli di molta gente? E l’Ufficio Federale per la salvaguardia della Costituzione ritirerebbe i suoi “spioni” infiltrati tra le fila dei neonazisti? Soprattutto per questo, la Corte costituzionale federale si mantenne riservata alla prima istanza di proibizione del partito in questione. Pertanto i bruni dalle teste rapate seguitano a sobillare, sentendosi costituzionalmente “protetti”, tanto da sbraitare tra i banchi della dieta regionale della Sassonia. Essi si arrogano il diritto della dimostrazione e della libertà di opinione, incassando – quali nemici della democrazia – il denaro statale, tramite l’usuale finanziamento dei partiti. Cos’ si lamenta la maggior parte del popolo tedesco. - Ricordi di miseria, distruzione e sterminio - I ricordi di miseria, distruzione e sterminio di 50 milioni di preziose vite umane non sono svaniti dalla mente del 60 percento dei tedeschi, formato da ultrasettantenni. I quali non hanno desiderio alcuno di confondere la “causa” con “l’effetto” d’un’immane tragedia. I neonazisti, da parte loro, hanno interesse di interpretare al contrario una “colpa della guerra” che non contò soltanto 50 milioni di morti, ma anche milioni e milioni d’invalidi e sfollati. Lasciare quindi a radicali di destra la libertà di scambiare colpevoli per le vittime, questo pare ai democratici tedeschi un pericolo di assai amaro fallimento. - Il dilemma dei democratici – Dunque proibire la marcia dei neonazisti e del partito NPD o lasciarli andare, o discutere attivamente con loro? Potrebbe una proibizione causare un aumento della loro attività? Molti tedeschi sono dell’opinione che il mezzo per combattere i radicali di destra può essere quello di batterli sul piano politico, dove essi si dimostrano assai deboli. Dimostrazioni, sbraitamenti, danni a persone e cose, poi raccolta esigua di percentuali durante le varie elezioni , ma mancanza di traduzione, sia pure di piccoli successi di voto, in termini politici. Tutto ciò, a partire dal 1968. Quindi, la maggior parte dei tedeschi ritiene che i neonazisti che rinnegano l’olocausto, che falsificano, da incapaci ed ottusi, sono da considerare unicamente quali eredi e testimoni di un terribile, sanguinoso passato. - La svastica – L’Ue, qualche tempo fa, voleva decidere se proibire l’emblema della svastica, terrorizzante ricordo per il mondo intero. Il Consigli di Giustizia si asteneva dal pronunciarsi in merito, anche dopo uno “sbarramento” avutosi da parte di Inghilterra, Danimarca, Ungheria e Italia. - 8 maggio 2005, monito ed auspicio – L’8 maggio 1945: un giorno in cui non si conosceva ancora nulla di preciso sul folle sogno hitleriano infrantosi a Stalingrado, né si sapeva il numero di miliono di vittime del nazismo, sia in Europa che altrove nel mondo. Era comunque un giorno di sole primaverile che rendeva felice l’umanità che sapeva della fine della guerra. L’8 maggio 2005: giovani ed anziani del buon senso s’inchinano di fronte al sacrificio di tutti i morti ed invalidi d’una Guerra che voleva soggiogare tutta la Terra: Non ci sentiamo colpevoli, ma impegnati a mantenere viva la memoria dell’immane sterminio, auspicando che il 60° anniversario riesca a scuotere le coscienze (?) delle lobby dei fabbricanti di armi. I quali, secondo le pagine dei giornali di economia, stanno fusionando nel nostro Continente ed in altri, col fine di sempre maggiori profitti, infischiandosene dell’esistenza dell’umanità. (04.03.05). Auschwitz, mai più (su "La Voce dell'emigrante, aprile 2005) Occhi incavati e spenti, milioni di labbra invocanti aiuto, milioni di mani scarne protese al grido sordo della libertà. E quando essa venne, fu lungo il giorno del racconto.
Orrore e vergogna manifestati al cospetto del lager, promesse di non dimenticare lo sterminio.
Ma il male striscia un’altra volta tra le case e le scuole. Luigi Mosciàno, 1 febbraio 2005. “TUTTO HA IL SUO TEMPO. L’AVVENTO E’ A DICEMBRE”. Monito della Chiesa evangelica in Germania. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, 27 dicembre 2004). ______________ Già nel mese di ottobre si voleva che Babbo Natale venisse ingaggiato nei supermarket ed in altri negozi, ridondanti di decorazioni, dolciumi ed altro di carattere natalizio. Contro la mercificazione del culto dell’Avvento e della grande Festa dell’amore, la Chiesa Evangelica – qui più forte di numero che quella romano cattolica –ha ammonito severamente sul piano nazionale: “Tutto ha il suo tempo – l’Avvento è a dicembre”. La palese mancanza di rispetto per i sentimenti religiosi e le tradizioni del cristianesimo, denunciata per la prima volta con grande eco, ha concesso a moltissimi di riflettere sul sempre più anticipato e sfacciato commercio attorno all’evento natalizio. E’ proprio vero che certi principali valori umani vengono sempre più calpestati? Si va a passeggio e si scoprono megamanifesti raffiguranti una volta un giovane che sgrana gli occhi di gioia, spalanca le braccia sul cofano di una fuoriserie, esclamando: “Ama il prossimo tuo!” (l’auto?); un’altra volta, c’è un’avvenente seminuda giovane che indossa il copricapo di Babbo Natale, reclamizzando una marca di sigarette. Poi c’è la penetrante pubblicità per le varie sagre ed i numerosi lunapark, in nome di Natale. E c’è la reclame sopraregionale per l’albero natalizio più alto del mondo: 42 metri di altezza. Esso si trova a Dortmund. Anche qui la pubblicità vuole toccare il cielo e non sono pochi a dichiararsi infastiditi. La gente tedesca, infatti, per il 79% su scala nazionale, è seccata per via del travolgente reclamistico ciclone prima del tempo. Anche per l’albero natalizio dortmundese (che poi non è il più alto del mondo, poiché in una località del Brasile - è stato dimostrato – l’albero natalizio vanta un’altezza di 82 metri), per il quale il 19 ottobre di ogni anno avviene la posa del primo blocco di cemento che va a formare la grande base per uno scheletro di tubi di acciaio adornato da 1700 abetini e da 13mila luminarie, il popolo avverte una forte intenzione di profitto da parte degli organizzatori. 300 padiglioni vengono situati intorno all’albero. Chincaglieria, oggetti-regalo, frutta fresca e secca, odore di cannella, anice, mandorle, vino brûlé, salsicce arrostite e birra in quantità. Il Comune scrive cifre in rosso, spera di attirare, come ogni anno, decine di autobus carichi di turisti sia tedeschi che olandesi. I quali, attorno all’albero che costa 175 mila euro, hanno poca possibilità di calarsi in se stessi, assaporando il messaggio dell’Avvento e del Natale. Le Chiese non lontane dalla piazza nella quale troneggia il grande albero scampanano come in tutti i giorni dell’anno, ma tantissimi sono abbagliati dal lato materiale della Festa, mentre molti altri sono angosciati, disoccupati e bisognosi. Il Santo Natale arrechi ravvedimento, giustizia, benessere e pace. DEPORTATI ITALIANI IN GERMANIA: LA STORIA ‘RITROVATA’. A stabilirlo è una sentenza della Corte Costituzionale italiana: i giudici italiani potranno giudicare le richieste danni alla Germania. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, aprile 2004). __________ Berlino – E’ caduta l’immunità degli Stati stranieri per i crimini contro l’umanità. A deciderlo è stata la Corte di Cassazione italiana con una sentenza emessa nei giorni scorsi sul caso di Luigi Ferrini, 78 anni, deportato nel lager di Kahla il 4 agosto 1944 e costretto a lavorare nella costruzione di aeroplani e missili per conto del terzo Reich. “Con questa sentenza, la 5044, qualsiasi giudice italiano potrà ordinare al governo della Repubblica Federale Tedesca il risarcimento di tutti quegli italiani deportati e costretti a lavorare in Germania, nell’industria bellica, durante la guerra”, spiega l’avvocato di Ferrini, Joachim Lau, da vent’anni in Italia e patrocinante della causa dal 1998. Finora le richieste di indennizzo erano sempre state respinte in base al principio dell’immunità riconosciuta agli Stati stranieri nell’esercizio della loro sovranità. Questa sentenza è solo l’ultimo atto di un complesso mosaico che coinvolge i più profondi sentimenti umani, la ragione di stato, i rapporti politici fra Italia e Germania e qualcosa come 900 milioni di euro. Tanto infatti potrebbe costare al bilancio tedesco l’ultima decisione della giustizia italiana. La Cassazione ha sostenuto che i fatti posti a fondamento del ricorso non costituivano episodi isolati, ma corrispondevano a una precisa strategia perseguita in quell’epoca dallo Stato tedesco. “La nostra speranza è che, adesso, i governi di Roma e Berlino riescano a trovare una soluzione equa per rimborsare quei 120 mila italiani che hanno chiesto il rimborso per il periodo di lavoro coatto”, afferma Enzo Orlanducci, Presidente dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla guerra di Liberazione (Anrp), ente morale impegnato. LA RISCOPERTA DELLA LEGGENDA DI VARO. La fatale battaglia dell’anno 9 d. C. rievocata in una mostra del MKK di Dortmund, in Germania.
(Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, marzo 2004). ___________ - Tra leggenda e realtà – Fino al 2 maggio 2004 il Museo della Cultura e della Storia dell’Arte (MKK) di Dortmund rievoca con una mostra la fatale battaglia di Varo avutasi nell’anno 9 d.C., in una località tedesca mai definita prima del settembre 1989. Innumerevoli i romanzi, i pezzi teatrali e le opere liriche: il tutto dedicato, tra i secoli 17.mo e 18.mo all’evento disastroso in cui il condottiero romano Varo e le sue legioni 17, 18 e 19, subirono, nel giro di tre ore, una schiacciante sconfitta da parte dei germani. Per ogni autore, comunque, il luogo del combattimento, in cui perirono circa 10mila tra centurioni, legionari ed ausiliari, rimase sempre un luogo diverso, fino a 15 anni fa. Come si è giunti, poi, a stabilire che la leggendaria battaglia ebbe luogo nella zona montuosa, boschiva e paludosa di Kalkriese, a 20 chilometri dalla città di Osnabrück? - Gli “Annali” di Tacito – Parte degli “Annali” dello storico Tacito veniva rinvenuta nel monastero di Corvey, nell’anno 1505. Egli scriveva di un “saltus Teutoburgensis” come luogo del sanguinoso scontro. Gli archeologi, durante secoli, cercarono di scoprire qualcosa tra il “Teutoburger Wald” (la foresta di Teutoburg, non distante dalla succitata località di Kalkriese). L’indicazione di Tacito, comunque, invogliava a perseguire nella ricerca che poi aveva un primo esito positivo nel 1987, allorché, sempre nella zona di Kalkriese, i primi interessanti reperti erano molti denari e tre armi in piombo. Ecco una prova solida del duello tra romani e germani. - Il perché – Le truppe romane avevano occupato, provincializzandole, ampie zone della Germania e marciavano su territori confinanti con i fiumi Lippe e Weser, avanzando verso il Nord. I Germani attiravano i romani in un agguato sanguinoso, ideato dal condottiero cerusico Arminio. Secondo gli esperti, le legioni romane erano più forti e meglio equipaggiate che quelle dei germani. La loro insidia ebbe il sopravvento. - Archeologi dell’opera – Nel settembre del 1989 avevano inizio numerosi scavi, durante i quali venivano alla luce monete, armi, terraglie, resti di uniformi, come anche ossa, sia umane che di animali. Ma il reperto più interessante, indicativo, consisteva in una maschera di ferro patinata in bronzo. E poi, al di sotto del luogo del fatidico agguato, veniva scoperto un vallo lungo 400 metri: il vallo nel quale i germani si nascosero in attesa di prendere i romani alla sprovvista. Varo, battuto, si uccise. - I pezzi in mostra – 100 sono i pezzi esposti nel Museo, dove fanno folla vari gruppi di scolari e centinaia di visitatori. I quali, al cospetto dei reperti (alcuni dei quali presentati in copia, dato che gli originali devono essere mantenuti in condizioni climatiche possibili solo all’interno del Museo sito nel Parco Archeologico che si estende tra Kalkriese ed Osnabrück) compiono un bel viaggio, riscoprono “La leggenda della battaglia di Varo”. Ed ogni denaro esposto, ogni monile, ogni arma, ogni terraglia, ogni arnese agricolo, come pure la citata maschera, da non dimenticare le grandi tavole affisse che raccontano la grande storia romana e le lunghe vicende che si sono avute dall’inizio delle ricerche fino alla scoperta del campo fatale per Varo e le sue legioni: il tutto rivive e commuove. Scienziati di cinque università sostengono l’opera assidua di archeologi, antropologi e zoologi che a Kalkriese vanno avanti con la loro ricerca. Chissà quanti altri importanti “tasselli” potranno venire scoperti. - Arminio = eroe = Hermann – L’ultima delle tavole delucidatici affisse nella mostra ricorda che i tedeschi, ritenendo il nome Arminio non troppo di casa, lo sostituirono con quello di “Hermann”. Arminio=eroe=Hermann. Gli venne eretto un gigantesco monumento sul “Gotenburg”, nel “Teutoburger Wald”, dove si presumeva, erroneamente, avesse avuto luogo la sconfitta di Varo. La statua dedicata ad Hermann nel 1875, dopo 56 anni di lavori, lo rappresenta quale guerriero che rivolge minaccioso la spada verso l’ovest, con riferimento al nemico francese. Perché? Napoleone aveva occupato la Prussica nel 1806. Non a caso, più tardi, i creatori del “Deutsches Reich” stamparono manifesti raffiguranti il monumento in questione, con la croce uncinata sullo sfondo. Sito del Museo: http://www.museendortmund.de/mkk. Indirizzo: Hansastr. 3. Dortmund. MOSTRA SUI CRIMINI DELLE FORZE ARMATE DI HITLER. UN’OCCASIONE PER RICORDARE E RIFLETTERE ANCHE SUGLI ECCIDI IN ITALIA E GRECIA. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, novembre 2003). ___________ - Paura e terrore – La Germania è palesemente presa dalla paura del terrore di destra. Lo affermano i titoli di vari quotidiani, dopo l’arresto a Monaco di Baviera di alcuni neonazisti che avrebbero voluto lasciare esplodere, il 9 novembre p.v., 14 chili di tritolo alla posa della prima pietra per la costruzione di una moschea in quella città. Mentre le autorità inquirenti vi tengono alta la guardia su una “Frazione dell’Armata Bruna” che avrebbe legami con un gruppo estremista inglese “Combat 18”, ramificato in più nazioni, il popolo tedesco sembra essersi svegliato di colpo e la tensione generale è comprensibile. - Una discussa mostra – In tale atmosfera e mentre in Italia ed in Grecia ricorre il 60° anniversario di massacri perpetrati dalle SS, il 19 settembre u.s. è stata inaugurata nel Museo della Cultura e della Storia dell’Arte una itinerante e discussa mostra sui “Verbrechen der Wehrmacht – Dimensionen eines Vernichtungskrieges, 1941-44” (Crimini delle Forze Armate – Dimensioni di una guerra di distruzione, 1941-44). L’esposizione resterà aperta fino al 2 novembre 2003. Essa, sin dalla prima apparizione in Germania, nel marzo del 1995, ha suscitato un putiferio di controversie e di minacce da parte di gruppi neonazisti. Dopo un lungo tiro alla fune tra i partiti dortmundesi, dichiaratosi contrario alla mostra quello della CDU, l’esposizione ha potuto fare ingresso nella zona della Ruhr, facendo conoscere immagini raccapriccianti: quelle di sevizie, fucilazioni ed esperimenti anatomici. Tutta una crudeltà al servizio dell’assurdità d’una guerra. - Il messaggio dell’esposizione – Essa si impernia su sei capitoli: il genocidio degli ebrei, la morte in massa di 3,3 milioni di prigionieri russi, la lotta per il sostentamento dei civili, dei quali poi perirono 30 milioni di anime, la deportazione di lavoratori coatti, la guerra dei partigiani e, infine, rappresaglie e fucilazioni di ostaggi. Sottaciuta ed anche rinnegata, la partecipazione della “Wermacht” al triste capitolo, al fianco delle SS, viene documentata nella mostra tramite varie decine di documenti e di fotografie, ritenuti autentici da parte esperta. Alla vigilia dell’assalto all’Unione Sovietica, la “Wermacht” sottostava ai fini ideologici imposti da Hitler. Il valore pedagogico della mostra: per i neonazisti e soprattutto per le generazioni giovani, alle quali i nonni o i genitori non avranno narrato nulla di un capitolo scuro della storia tedesca. - Duecento nomi di criminali latitanti – L’inaugurazione della mostra, coronata da vari interventi in strada da parte di sindacati, istituzioni religiose, culturali e sociali, non è stata – come si prevedeva – disturbata da annunciate marce di neonazisti. C’è stata invece la soprendente iniziativa da parte del gruppo “VVN” che rappresentava gli interessi dei perseguitati dal regime nazista. Esso ha presentato in giornata, presso la Pretura di Dortmund – e per conto della “Zentralstelle” (sede centrale), che si occupa nel Nordreno-Westfalia della ricerca di criminali nazisti – un elenco di 200 nomi di colpevoli i9nlatitanza, chiedendo che essi vengano processati e condannati per avre partecipato agli eccidi verificatisi in Italia ed in Grecia. Un’occasione, la mostra, per ricordare, riflettere, invocare giustizia, mantenendo sempre alta la guardia. Ideatore dell’esposizione – che vanta un corollario d’interventi e conferenze numerosi che si protraggono fino al 2 novembre 2003 – è l’”Institut für Sozialforschung” (“Istituto per le ricerche sociali”) di Amburgo. Giorni ed orari d’ingresso: martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 10-17; giovedì: 10-20. Info: www.museumdortmund.de/mkk. SENSAZIONALE DECRETO DEL CONSOLATO D’ITALIA A DORTMUND. Riguarda due minori che subiscono le conseguenze di una separazione coniugale. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 29 marzo 2003). __________ ) assai movimentata. Tra la Renania e il bacino della Ruhr la Casa reale affidò incarichi onorari ad alte personalità tedesche. Esaminato il materiale raccolto dal sig. Giovanni Rizzo dell’Ufficio consolare LAS di Dortmund, sintetizziamo come segue la cronaca consolare di mezzo secolo: nel 1858 esisteva a Colonia un “Königlich Sardinisches Konsulat” (Regio consolato sardo) che si occupava sia della circoscrizione renana sia della metà di quella vestfalica. Il console onorario era il nobile Karl Engels che ricopriva la sua carica fino al 1860. Subito dopo veniva inaugurato un “Königlich Italiennisches Konsulat” (Regio Consolato italiano). Il console onorario era un’altra personalità di spicco, Emil Peill. Le circoscrizioni interessate erano quelle della Renania, della Vestfalia e del principato di Waldeck. Al decesso del Peill, la sede consolare veniva dislocata a Dortmund, nell’autunno 1877. La Casa reale affidava l’incarico ad un magnate dell’industria e della finanza: Albert Hoesch, direttore delle “Hoesch-Werke”, industria del ferro e dell’acciaio Non è nuova la storia dei minori che subiscono le amare conseguenze di una separazione dei genitori. In questo caso si tratta di Natalina di quattro anni e del fratello Antonio di otto. Accennammo al loro caso nel Corriere d’Italia del 28.09.02, ma desideriamo tornarci su, anche perché per la prima volta nella storia di un consolato italiano in Germania abbiamo notizia di un decreto da esso emanato in favore dei due bambini. I precedenti: la madre, di origine polacca, aveva rapito i due bambini alcuni mesi addietro, tenendoli nascosti per lungo tempo a Düsseldorf, dove la donna aveva stretto una relazione adulterina. Il genitore, cittadino italiano, aveva invocato interventi da parte del Jugendamt (Uff. Assistenza Minori) e del “Jugendschutzbund” (Federazione Protezione Giovanile); interventi che non consentirono ai minoro di potere tornare – come era loro esplicito desiderio – alla casa paterna, a Dortmund, dove la loro nonna, venuta dall’Italia, poteva accudirli.Restati a malincuore presso la madre, dopo essere stati sottoposti a visita medica a Düsseldorf, i bambini minacciavano apertamente di volersi fare del male, qualora non fosse loro concesso di tornare a vivere nella casa paterna. Inutili si rivelavano i solleciti e i vari interventi compiuti dal signor Giovanni Rizzo dell’Uff. consolare LAS (Lavoro Sociale), come pure gli altri effettuati da un avvocato tedesco. Prima che venga pronunciata una sentenza in un intentato procedimento di divorzio, il console Dott. Antonio Trinchese, al fine di fare valere i diritti dei due minori nei confronti di autorità rimaste sinora un po’ sorde, auspicando che i bambini vengano affidati sia alla madre che al padre e che possano tornare a vivere a Dortmund, ha decretato che: ai suindicati minori, dalla data del presente decreto, viene accordata assistenza consolare e si impone l’obbligo della residenza a Dortmund, Goebenstrasse 14 e, nell’interesse superiore dei minori, al fine di evitare altri danni psicologici viene attivata immediatamente assistenza e perizia psichiatrica. Per qualsiasi visita ai minori è necessario presentare, da chiunque, richiesta scritta al Console d’Italia in Dortmund e, in via urgente e provvisoria, i minori vengano affidati al padre. TRE PASSIONI DI UN ABRUZZESE IN GERMANIA. 50 ANNI DI GIORNALISMO, POESIA E PITTURA TRA CHIETI E L' ESTERO. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2003). ______________ Raccoglitori zeppi di articoli di giornale, di poesie e di fotografie di dipinti – il tutto ordinato cronologicamente – mi ricordano che prossimamente cade il 50° anniversario delle mie tre attività. Le definisco passioni che all’estero mi sono tuttora di conforto. Ciò che mi viene in mente osservando e rileggendo le mie cose sono gl’inizi e gli sviluppi delle tre passioni. - Breve e veloce esordio a Chieti – Frequentavo – per espresso desiderio paterno – l’Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “F. Galiani”, nell’idilliaca cornice della Villa Comunale di Chieti. Collaboravo con giornali redatti da varie classi del sopra citato Istituto. Nel contempo pubblicavo il numero unico e polemico “La fionda”, per il quale il Questore mi richiedeva la firma di un maggiorenne. Firmava Ivonne Guidone, mia madre. Ottenevo così il nulla osta l’8 luglio 1955. Pubblicavo in quell’anno le mie prime poesie in “Quaderni”, editi fuori dell’Abruzzo. M’interessavo all’attualità ed al sociale. Avevo l’istinto di porre sempre il dito sulle piaghe, per toccare il nervo del tempo. Così aveva luogo il primo, casuale avvicinamento alla Stampa ufficiale. Facevo conoscenza di un uomo paffuto, colorito in viso e tarchiato: Ettore Leccese, che gestiva la conosciuta, grande cartoleria situata sul Corso Marrucino della città. Era lì che si potevano acquistare anche tutti i giornali quotidiani ed era lì che s’incontravano ogni mattina i giornalisti chietini per leggersi qualche giornale oppure per prendere in consegna qualche velina lasciata da privati, da istituzioni o autorità. Ettorino Leccese, in altre parole, fungeva da postino ed era il primo ad essere a conoscenza di molti fatti in quello ch’era allora il punto di riferimento della Stampa teatina. Col passare di pochi mesi mi presero in simpatia i corrispondenti Marino Solfanelli (de “Il Tempo”), il dott. Mario Zuccarini (de “Il Messaggero”e della RAI), il dott. Carlo Travaglini, poi il presidente dell’Associazione giornalisti (de ”Il Giornale d’Italia”), il dott. Fausto Oddone Celestini (de “La Stampa”) ed altri. Iniziavo una collaborazione con i quotidiani capitolini, dedicandomi alla recensione di tutte le esposizioni che avevano luogo nella “Bottega d’Arte” diretta da don Pierino Mincani. Quella mia attività si estendeva anche alla “Galleria d'Arte Verrocchio” di Pescara. Ogni giorno attendevo con ansia, anzi febbrilmente, la pubblicazione dei miei scritti che più tardi non toccarono solo l’Arte ma anche problemi sia locali che regionali. Le mostre recensite erano quelle che si sono svolte dal 1954 al 1959. In un articolo pubblicato il 13 marzo 1991 da “Il Teatino” sui “Cinquant’anni di giornalismo chietino”, il giornalista Marino Solfanelli scriveva:”…Ricordo il giovanissimo Luigi Mosciano che andava specializzandosi, e con qualche successo, nella critica d’Arte. Dopo di lui nessun altro ha raggiunto in quel settore giornalistico un qualche risultato apprezzabile”. A tal proposito conservo gelosamente le tessere di collaboratore rilasciatemi nel 1959 da “Il Tempo” e da “Il Messaggero” e quella di corrispondente del “Corriere della Sera” (1955-59); nonché i ritagli dei vari articoli, su vari e scottanti argomenti, apparsi su “Il Tempo”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Messaggero”, “Il Giornale d’Abruzzo” del teramano Gino Falzon. Naturalmente mio padre attendeva che la smettessi con la storia del giornalismo e che conseguissi il diploma di geometra.Cosa che riuscii a fare, continuando però sulla strada intrapresa e con addosso una febbre della e per la notizia. Le mie collaborazioni e corrispondenze mi venivano pagate bene, soprattutto dal “Corriere della Sera” e vedevo con gioia gli assegni che mi giungevano mensilmente. Prima che si chiudesse il mio veloce e breve esordio nella città natale, ho avuto modo di partecipare al “Premio di pittura F.P. Michetti” a Francavilla a Mare. Un mio quadro fu premiato con 25 mila lire, acquistato dalla Associazione dei Commercianti di Chieti. Sono ricordi indelebili di allora, nel 1958 avevo 22 anni, una mia poesia dedicata alla Villa Comunale, in cui avevo trascorso molte ore liete della mia vita, ed una conferenza da me tenuta su iniziativa del “Centro Studi Regionali”, nella “Biblioteca Provinciale A.C. De Meis”. Il tema era:“Propulsori nella cultura europea”.Posseggo ancora il manifesto e le notizie che gli “anziani” colleghi pubblicarono nel febbraio 1958 su vari quotidiani: “Una conferenza del collega Mosciano”. Mi davano del collega ed ero orgoglioso di tanto; orgoglioso e nel contempo tormentato dal desiderio dell’evasione e dell’avventura. Avevo studiato la lingua tedesca nella “Scuola Media Cesare De Lollis”, tra il 1949-51, e pensavo di poter cercare il mio futuro in Germania. Lasciati i cantieri-scuola ed abbandonate le collaborazioni coi giornali, andavo a sfidare l’incognito. Qualche autorità da me attaccata avrà provato certamente sollievo alla mia partenza… - Riconoscimenti e premi nell’emigrazione – Giunto in Germania a 24 anni, nel settembre 1960, mi ritrovai tra una massa brulicante di connazionali in attesa dei loro treni, nella stazione di Monaco di Baviera. L’impatto con la terra straniera fu duro anche per me. Divenivo un sasso sballottato e levigato da rapide. Ho svolto subito lavori non molto qualificati, in attesa di imparare meglio la lingua, poi impiegato nell’ufficio di costruzioni edili della Siemens-Baunnion; quindi disegnatore in una fabbrica di ascensori industriali, manager nel settore dell’importazione dall’Italia e dalla Spagna; infine traduttore ed interprete per la polizia e per le autorità giudiziarie. Solo col giornalismo, la poesia e la pittura non era assolutamente possibile vivere. Tuttavia riprendevo subito contatto con la carta stampata, inviando corrispondenze all’agenzia di stampa “Orbis” di Firenze. Il primo servizio aveva come titolo “Gli eredi di Casanova sono italiani?”. Polemizzavo con il settimanale tedesco “Stern” che ironizzava sulla “love story” di connazionali in cerca di avventura, e che non possedevano tra l’altro un vero carattere-ruolo di marito, cosa che i tedeschi invece “possedevano”. Calunnia raccolta da qualche donna tedesca delusa in amore? Le tante tedesche che avevavo contratto matrimonio con italiani erano tutte sceme? Quale paragone si può fare tra il temperamento da marito di un connazionale e quello di un tedesco? Per far conoscere il tenore di alcune delle molteplici corrispondenze inviate all’”Orbis” cito i titoli: “La gioventù tedesca è molto depressa”, “Noi rispettiamo l’Italia ma gli Italiani ci lascino il Sud-Tirolo, “Al più presto al di sopra del Brennero il ponte più grande d’Europa”, “La zona “rossa” di Berlino ha fame”, “Stanno erigendo un muro a Berlino”. Mi trovavo nel 1961 a Francoforte sul Meno, quando la notizia mi giunse con trafiggimento. Ancora tanti temi trattati fino al 1963; poi, nel 1965, pubblicai un piccolo volume: “La Germania dopo Hitler”, editore Marino Solfanelli di Chieti. In seguito, nel 1978, il saggio “Gli emigranti”, pubblicato dal “Il Melatino” di Teramo, diretto da Gino Falzon. Nel 1979 ho collaborato alla rivista italo-tedesca “Incontri” di Berlino, che ha ospitato tra le altre cose molte mie poesie, di cui una premiata dalla rivista stessa . Mi affascinava il pensiero di lavorare per Radio Colonia e Radio Dortmund (incorporate all’emittente tedesca WDR); e così contattai le emittenti, offrendo alla prima un servizio in diretta dall’interno di un carcere tedesco, nel quale intervistavo un italiano in procinto di riacquistare la libertà sotto Natale. (Per la prima volta nella storia, una Radio italiana, Radio Colonia, accedeva in un carcere tedesco…). Per Radio Dortmund ho partecipato a numerose conferenze-stampa per le prime teatrali, di cui riferivo agli ascoltatori. Molte furono anche le interviste fatte a personalità del teatro e della musica. Periodo di esplosione di idee e di iniziative, mostre personali e collettive. I viaggi nella Germania orientale (l’allora funesta DDR, di cui ho scritto in “Un viaggio nell’altra Germania”, pubblicato su “Alternativa”, diretta da Marino Solfanelli) mi facevano conoscere le ferite e le indigenze di un popolo, cui avevo dedicato già alcune pagine in “La Germania dopo Hitler”, presagendo che la situazione della DDR poteva risolversi con la crescita delle iniziative europeistiche e con l' “apertura” della Germania verso la DDR ed i Paesi dell’Europa orientale; politiche avviate dall’allora cancelliere socialdemocratico Willy Brandt. Che cosa m’interssava maggiormente durante tutta la mia attività giornalistica e pubblicistica in Italia ed in Germania? L’uomo, la sua storia quotidiana: i suoi fatti; ed all’estero l’uomo che mi interessava e m’interessa tuttora è l’immigrato connazionale o straniero che sia. Al centro della mia attenzione e dei miei interventi c’era e c’è lo straniero, ferito continuamente nella sua dignità, oppure l’essere che si auto-emarginava, allora e ora: apatico, epicureo, palla di piombo per le gambe - o per la cassa - delle istituzioni sociali e del lavoro. L’immigrato inattendibile che non si curava e non si cura di mandare la figliolanza nelle scuole bilingue, di farla istruire professionalmente per una società che si evolve freneticamente, selezionando tutto e tutti, senza pietà. L'immigrato che non s’è integrato, che non legge nemmeno un giornale, né italiano né tedesco, vivendo solo nel mondo della tv del paese di origine, è stato ed è il mio “paziente” a cui ho dedicato e dedico molti articoli di giornale. Sfogliando i raccoglitori, scopro tantissimi di questi articoli, pubblicati sin dal 1985, sia dal “Corriere d’Italia”, settimanale fondato nel 1950 in Germania, sia da “La Voce dell’Emigrante”, periodico mensile che esce a Pratola Peligna (AQ) da più di un quarto di secolo. E’ da questo periodico che ho ricevuto quattro medaglie d’argento negli anni 1987, ’88,’89 e 94, per aver partecipato, con articoli di giornale e con un saggio di letteratura amena, agli annuali “Premi Emigrazione” indetti dallo stesso periodico. I premi sono andati ad aggiungersi agli altri conferitimi dai tedeschi per la Poesia (Città di Dortmund/1985 e Biblioteca Regionale della stessa città/2002). - Breve bilancio – Non mi sono lasciato né andare né assimilare. Penso di essere rimasto un ragazzo abruzzese, fiducioso e modesto, nonostante le numerose recensioni e segnalazioni da parte della stampa italiana e tedesca; nonostante le varie registrazioni del mio nome nei cataloghi d’istituzioni culturali tedesche che mi riconoscono quale autore di articoli di giornale, racconti e poesie in lingua tedesca. E’ di questo anno la pubblicazione d’una “Enciclopedia degli Autori della Westfalia”. Un’opera di 2800 pagine contenenti nomi e produzioni di Autori nati tra il 1750-1950. Il mio nome appare nel quarto volume dell’enciclopedia. A 66 anni di età, sposato felicemente, da 40 anni, e padre d’una bella e operosa figlia, sono soddisfatto ed orgoglioso di avere speso bene il mio tempo, come anche della vita e delle esperienze vissute. E devo essere grato alle mie tre passioni che tuttora m’incoraggiano. - Corrispondenze. C’era una volta un “Regio consolato italiano”. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 25 gennaio 2003). _________________________________ I primi consoli nel NRW (Nordreno Vestfalia) erano personalità tedesche. La storia di quella che doveva divenire una stabile rappresentanza consolare nel Nordreno-Vestfalia fu per un cinquantennio (1858-1908, in eredità familiare. Egli era ritenuto il più ricco della Prussia e la Casa Reale era senz’altro tanto orgogliosa di averlo quale console, da conferirgli la Croce degli Ufficiali dell’Ordine di S. Maurizio e Lazzaro.
Riproduzione di una foto del console onorario Albert Hoesch La “Dortmunder Zeitung” del tempo riportava a grandi titoli la notizia. Morto l’Hoesch, avveniva una sorta di sbandamento e la sede consolare veniva riaperta a Colonia nel 1894. Era il barone Emil von Oppenheim a rappresentarvi l’Italia reale.. Frattanto, la Stampa dortmundese (citiamo ancora la “Dortmunder Zeitung”) batteva energicamente sui tasti, al fine di riavere il consolato, adducendo le ragioni che Dortmund lo possedeva con lusto fino al 1894 e che in città vivevano circa mille Italiani, senza contare le altre migliaia residenti nei centri limitrofi. In verità, non esisteva un censimento ed i dortmundesi facevano la conta ad occhio e croce, vedendosiu attorniati da una vera massa d’Italiani, “Saisonarbeiter” (Lavoratori stagionali) che – secondo le cronache di allora – fluttuavano secondo l’offerta di lavoro e molte volte avevano bisogno di documenti per prendere da qui la via dell’espatrio verso l’America. Mentre a Dortmund nell’anno 1907 ci si batteva per il riotteni mento del consolato, in quella città ritenuta capoluogo del “Ruhrgebeit” (Bacino della Ruhr), definito già allora la “locomotiva” dell’economia nazionale, il connazionale immigrato era uno del pesante lavoro del braccio nelle acciaierie, nelle miniere del carbone, nei cantieri edili, o era anche un muratore o uno scalpellino in proprio. Ritornava il Consolato Italiano, s’incominciava a sentire l’odore della Prima Guerra Mondiale. Vista la malaparata, molti Italiani se la davano a gambe levate; tant’altri restavano, divenendo vittime di un disastro socio-conomico. E dopo, nel 1923, ci mancava pure l’occupazione francese. I connazionali rimasti venivano occupati, ma sfruttati. Nel 1929 esistevano in tutto il bacino della Ruhr ancora soltanto tremilacentoventitre minatori italiani, pari al 9,1% di trentaquattromilacentoventuno stranieri presenti. Ma questa cifra calava inbreve tempo a circa quindicimila operai: i tempi d’oro sfumavano, così scriveva il “Bochumer Anzeiger” (Il giornale di annunci di Bochum). ANCORA SU LEONARDO DA VINCI. L’enigma del luogo e della data di nascita del Genio universale chiarito nel 1928 dal teologo e storico dell’Arte Emil Möller di Dortmund-Hörde. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 27 aprile 2002). ____________
Fino all’anno 1928 non erano noti in Italia il luogo e la data di nascita di Leonardo da Vinci. Da quell’anno e fino al 1934 fu il dott. Emil Möller, teorico e storico dell’Arte, nativo di Dortmund-Hörde, a condurre assidue ricerche, riuscendo a chiarire l’enigma del Genio universale, di cui si celebrano i 550 anni della nascita. La vita e le opere di Leonardo furono oggetto di studio e di ricerca a Firenze. Il comune di Vinci conferì il riconoscimento di “cittadino onorario”, con la seguente motivazione: “Per i suoi meriti di ricerca su Leonardo e per avere chiarito di lui il luogo e la data di nascita”. 
Il dortmundese lo fece consultando protocolli e testamenti stilati tra il 1400-1500. Dopo tre anni di ricerca, egli scoprì tra le pagine di un libretto un certificato di battesimo rilasciato dal comune di Vinci contenente la data 15.04.1452 ed i nomi di Leonardo, dei genitori e del padrino. Una scoperta sensazionale per il mondo intero, diffusa con gran titoli dalla Stampa dell’anno 1950. Lo studioso Emil Möller non si fermò alla rivelazione del secolo, interessandosi a tuta la produzione di Leonardo e soprattutto ai , quali “L’ultima cena” e “La Gioconda”. Egli ricercò ulteriormente, sempre con metodo ed analisi, pubblicando articoli su riviste scientifiche. Lo storico dell’Arte Emil Möller, morì nel 1955, a 86 anni, nell’Oberbayern. La Stampa tedesca, per le attuali celebrazioni per il Genio vinciano, ha rievocato la figura dello Studioso dortmundese. BREVI DA DORTMUND. Società. (Luigi Mosciano, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 27 aprile 2002). ___________ Nel 2003 la mostra nell’MKK su “I crimini della Wehrmacht”. L’assai discussa mostra su “I crimini della Wermacht” (le Forze Armate) – Le dimensioni della guerra di distruzione tra il 1941-45”, già presentata in 33 città tedesche ed austriache dal 1995 al 1999, avrà luogo tra settembre ed ottobre del 2003 nell’MKK (Museo dell’Arte e della Storia della Cultura). Secondo l’”Hamburger Institut für Sozialforschung” (l’Istituto amburghese per la ricerca sociale), l’esposizione, dopo avere provocato risentimenti e proteste violenti, non sarebbe stata ritoccata o corretta, bensì riconcepita nel contenuto. In altre parole, la mostra – secondo il sudetto Istituto – resterebbe imperniata sulla seguente tesi: la “Wermacht”, quale istituzione durante la 2^ Guerra Mondiale, avrebbe partecipato in senso lato alla programmazione ed all’attuazione di un’inaudita guerra di razza e di distruzione. Il partito della Cdu protesta già. La festa del 1° maggio nel “Westfalenpark”. Circa 100mila persone attirava Willy Brandt quando teneva il suo discorso del 1° maggio nel “Westfalenpark”, negli anni 1972-80. Il DGB sembra essersene ricordato e vuole riallacciarsi alla tradizione, stabilendo che la festa venga celebrata questo anno di nuovo nel suddetto parco. Il “Landesarbeits-minister” Haral Schartau vi terrà il discorso ufficiale alle ore 12.15. Dalle ore 13.00 in poi si avrà una festa della Cultura e della Famiglia. Non mancheranno musica e mostra di specialità culinarie internazionali. Si fa presente che il corteo dei partecipanti si muoverà alle ore 11.00 dal “Platz der Alten Synagoge”, davanti all”Opernhaus”. Al centro del “Dialog 2002” il progetto del “Metrorapid”. Nel contesto del “Dialog 2002” viene discusso accesamente il progetto del “Metrorapid” che dovrebbe congiungere, in 34 minuti, le stazioni ferroviarie di Dortmund, Bochum, Essen, Mühlhein, Duisburg, l’aeroporto di Düsseldorf e la città omonima. 80 sono i chilometri dell’intero, veloce percorso. Viene prospettata anche una possibilità di raccordo con la stazione di Colonia, cosicché si avrebbe un “triangolo aeroportuale Dortmund-Düsseldorf-Colonia. 3,5 miliardi di euro verrebbero investiti per questo supertreno che potrebbe sia snellire l’intasata circolazione stradale nella zona della Ruhr sia significare una crescita accelerata dello sviluppo tecnologico. FUTURISMO ITALIANO IN GERMANIA. Al Museo dell’Arte e della Storia della Cultura di Dortmund, per la prima volta in Germania, una mostra sulla 2° fase del Futurismo italiano. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 20 aprile 2002) ___________
“…auch wir Maschine, auch wir mechanisiert…” (“…anche noi siamo macchine, anche noi siamo meccanizzati…”. Questo il motto della mostra che si tiene al MKK di Dortmund dal 24 marzo al 16 giugno. Nel visitare l’esposizione, sovvengono infatti l’uomo cibernetico, il superuomo e l’uomo-macchina annunciati decenni addietro da scienziati d’oltreoceano. E ci si ricorda anche d’una caricatura di Eric Godal (del 1954), nella quale un roboter scandisce ad un disoccupato di non avere lavoro per lui. Organizzata dal “Museum am Ostwall” ed ospitata dall’MKK la mostra sulla seconda fase del Futurismo italiano (1915-45) ha l’importanza d’una prima nazionale. Fino a metà giugno i visitatori possono accostarsi a ca. 300 pezzi (dipinti, disegni, opere grafiche, sculture, fotografie, manifesti, mobili ed altro), messi a disposizione da musei e collezionisti privati, italiani e francesi. Di fronte alle opere di Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Gerardo Dottori, Fillia, Diulgheroff, Korompay e tanti altri, ci si può convincere del fatto che il movimento futurista, dopo la Prima Guerra Mondiale ha prodotto del sostanzioso. L’esposizione si conferma sui rapporti tra Arte-Politica e Potere, evidenziando un coinvolgimento nelle correnti europee del tempo. Centrale il famoso manifesto del fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Mariinetti, risalente al 1909, nel quale egli annunciò la grande innovazione. Artisti dell’Arte figurativa, scrittori e musicisti vennero invogliati a credere nelle nuove tecnologie industriali, ribellandosi contro quanto esisteva di tradizionale. Il Futurismo corteggiò il fascismo, esortando le masse popolari ad osannare al nazionalismo. Era un momento in cui il mondo si trovava sull’orlo della guerra, ritenuta peraltro “l’unica igiene mondiale”. La seconda fase del Futurismo, ispirata da massime altisonanti contenute nel manifesto marinettiano, perseguì il disegno della creazione di una nuova era: quella meccanizzata, traducendo però angolazioni visionarie nella vita socio-politico-economica. L’obiettivo previsto era quello di equilibrare la differenza esistente tra Arte e vita, tra estetica e mondo industriale, in una totale “nuova costruzione dell’universo”. E quindi appaiono comprensibili gli istinti della seconda generazione futurista con la sua “Arte meccanica”, con la sua “Pittura del volo” ed il suo “Idealismo cosmico”: tutte cose che essa seppe sviluppare, anche contro certe restrizioni imposte dal Fascismo ed imponendosi sul piano artistico europeo. Dobbiamo citare anche le opere esposte di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini e Luigi Russolo, appartenenti alla “fase eroica” del Futurismo. Infine, manifesti degli anni ’30 documentano ai visitatori che la formula marinettiana, secondo la quale l’”ismo” in questione era un’espressione artistica del Fascismo, non è rispondente a verità. Novantatre anni fa l’uomo meccanizzato fu per la prima volta oggetto dei discorsi quotidiani. Oggi lo incontriamo ad ogni piè sospinto.Giorni ed orari d’ingresso: mart., merc., ven. e dom. 10.00-17.00; giov. 10.00-20.00; sab. 12.00-17.00. Info-tel.: 0231 – 5023247- 8; Fax: 0231- 5025244. L’ABRUZZESE CHE 50 ANNI FA FECE CONOSCERE LA PIZZA IN GERMANIA. Elogi della Stampa tedesca per l’ormai 81enne “Nick”, Nicola Di Camillo, nativo di Villamagna (Chieti). (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, maggio 2002). ___________________________________________________________________ Un “Sai chi sono?” al telefono e subito mi assalgono i ricordi di un piacevole incontro, avvenuto 42 anni addietro nella ridente cittadina di Würzburg, nella bassa Franconia: parlo della conoscenza di un Conterraneo, poi purtroppo perso di vista nel vortice delle rispettive occupazioni quotidiane. Egli mi comunica di essere divenuto “famoso”! Una testimonianza Ero partito da Chieti spinto dal desiderio dell’evasione, dell’avventura e con una cognizione scolastica della lingua tedesca. Mi avevano raccontato di un certo “Nick” residente da anni in Germania e proprietario di un ristorante. Di tanto in tanto egli era stato visto a Chieti, al volante di un’auto Mercedes…Dopo un lungo viaggio in treno, che a 24 anni non mi seppe di strapazzo, eccomi davanti al ristorante “Capri”, sull’”Elefantenweg”; su una parete scalcinata del fabbricato ad un piano leggo: “Restaurant Capri, specialità italiane. Nick Di Camillo”. Entro. Brulicante a mezzogiorno di avventori in gran parte anglo-americani, soldati appartenenti alle truppe di occupazione di stanza nella vicina città di Norimberga. Il locale è decorato alla “pescatora”: reti ed arnesi alla volta ed alle pareti. Un sottofondo musicale. Dietro la cassa noto una signora di bella presenza. E’ la moglie di Nick (prima appartenente al corpo di balletto della Casa dell’Opera di Norimberga). E poi mi viene incontro il Conterraneo d’imponente statura, uscito dalla cucina per accogliermi gioviale e gentile, come se mi conoscesse da sempre. La sua attività e la fama Egli vive da 55 anni in questo Paese. Ha fama di avere portato una parte della cultura culinaria italiana (e soprattutto abruzzese) al di qua delle Alpi. Secondo la Stampa tedesca, che non gli risparmia gli elogi, il Conterraneo viene ritenuto il “veterano” della pizza italiana” presentata da lui ufficialmente nel 1952, anno di apertura del “Capri”. Un passato avventuroso Nato a Villamagna di Chieti, in Abruzzo, il 25.11.1921, da giovanissimo era commesso in un negozio di abbigliamento. Diciottenne, partiva soldato. Divenuto sottufficiale, si ritrovava a combattere in Russia. Nel 1946 era a Pescara, al seguito di truppe inglesi che se lo portavano a Norimberga (1947-48), dove lavorava come cuoco ed autista alle dipendenze dell’italo-americano Mr. Coletti, dirigente dello “Special Service”. Era questi che suggeriva a Nick l’idea del ristorante e della pizza. Con l’aiuto della moglie Janine e di qualche parente egli apriva il “Capri”, facendosi la prima clientela proprio tra i soldati anglo-amricani. Poi, data la grande affluenza anche del pubblico tedesco, nel 1972 il locale veniva ampliato nel suo scantinato, con l’inaugurazione di una “Grotta blu”. Dal 1972 al 1981 Nick Di Camillo era proprietario anche del ristorante “Bologna”. 60enne, insignito della Croce di Cavaliere del Lavoro, si ritirava dall’esercizio, dedicandosi al gioco del golf e godendosi le ferie, assieme alla moglie Janine, nella casa del Lago di Garda.
Confidenze Egli abita però sempre a Würzburg, dove ha avuto la sua vita movimentata; dove ha “celebrato” molteplici bicchierate con numerosie personalità e dove non manca, settimanalmente, di recarsi al suo “Capri”, per rivivere il gioioso vocio della clientela o per posare come cameriere per la Stampa tedesca… Calcolatore, calmo, semplice, affabile e compagnone, confida: “Il mio bilancio è positivo. Sono soddisfatto di tutto quello che ho fatto e della vita vissuta finora”. “Hai nostalgia dell’Abruzzo?”. “Si, certo, ma che ci torno a fare se tanti dei miei amici non vivono più? Poi succede che incontro qualche conoscente che mi racconta sempre le stesse cose…Non voglio offendere nessuno, ma io, avendo girato mezzo mondo, ho punti di vista diversi da quelli che ha uno che è rimasto nella terra nativa. Il mio mondo ormai è qui”. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle)
“Quali sono stati i tuoi “cavalli di battaglia tra tutti i piatti da te serviti?”. “Tra le pizze, la “De lux” (la sillaba “De” è anche la sigla internazionale della Germania), mentre gli “spaghetti con le polpette”, tipico piatto abruzzese, conosciutissimo anche in America, è stato sempre il più richiesto. “E come la cuocevi la pizza ‘De lux’? ”. “La facevo così: impasto di buona farina, salame, funghi, pomodoro e formaggio. Il tutto, naturalmente, condito con ottimo olio d’oliva”. “Quale ricetta del successo puoi raccomandare a tutti i giovani connazionali, qui attivi nella gastronomia?”. “La mia ricetta si chiama 4P”. “4P?”. “Si, le 4P stanno per pizza, pasta, pulizia e prezzo”. “Hai figli?”. “No, vivo con mia moglie cui devo molto per avermi aiutato moralmente e materialmente nei decenni di duro lavoro”. “UNA VITA CONTRO LE OMBRE” (“EIN LEGEN GEGEN SCHATTEN”). Testimonianze di Martin Bormann, figlio del segretario di Hitler. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 11 maggio 2002). __________________________________________________________________ Suo padre era segretario di Hitler ed egli era figlioccio del Führer. Martin Bormann, ex prete e missionario nel Congo, poi insegnante di religione. Ad Hagen fino al 1992 e ora – quale pensionato – appartenente al gruppo “Taterkinder, Opferkinder” (“Figli di colpevoli, figli-vittime”). Nel suo libro “Ein leben gegen Schatten” (“Una vita contro le ombre”), edito nel 2001 dal “Bonifatius Verlag”, si susseguono testimonianze degli anni di scuola nella “Reichsschule” del partito NSDAP, in cui il genitore agiva in qualità di “Reichsleiter” (“Dirigente del Reich”). Egli vedeva suo padre molto di rado, in quanto risiedeva usualmente nel Führerhauptquartier – Il quartiere generale di Hitler, ed allora gli pareva un genitore molto affettuoso.
Fino alla fine della guerra, il figlio di questo “personaggio”, non sapeva nulla dei crimini di cui il padre era stato correo, controfirmando gli ordini del dittatore. Tra questi ordini, quello che impose a 300mila soldati di non ritirarsi da Stalingrado, nel gennaio 1943, allorché il “sogno” di Hitler vi si era già ben infranto. Così finirono la loro vita quei soldati. Anche alla persecuzione e distruzione degli ebrei partecipò “l’ affettuoso” padre, denuncia, oggi, il vegliardo figlio. Alla fine della guerra, lui adolescente, sotto falsa identità, trovava rifugio presso una famiglia austriaca a Salisburgo. Martin Bormann lotta contro la crescente boria, la violenza nazifascista: combatte le “ombre”, intese quali spettri di un altro possibile oscuramento dell’umanità. E lo fa non solo col suo libro, ma anche tenendo conferenze nelle quali ci invita a riflettere, come nell’ultimo recente ed applaudito intervento in una parrocchia di Dortmund-Rahm, per scongiurare il ripetersi di un “altro danno”. RETROSPETTIVA DELL’ARTISTA AGENORE FABBRI al “Museum am Ostwall” di Dortmund dal 20 gennaio al 31 marzo. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 23 febbraio 2002). 
____________ Una retrospettiva dello scomparso artista Agenore Fabbri ha richiamato l’attenzione di un folto pubblico nel “Museum am Ostwall”, conosciuto per la sua dedizione all’informale. Il direttore dott. Ingo Bartsch che da tempo intraprende una proficua azione di scambio culturale con l’Italia ha annunciato la creazione di un istituto europeo per lo studio delle tendenze artistiche del dopoguerra, a cominciare dall’informale. Nessuna meraviglia, quindi, se egli si sente orgoglioso di potere far conoscere opera del Fabbri, alcune delle quali non sono state mai esposte in Germania. Lo psicodramma dell’Artista è percepibile nelle sue opere astratte che rivelano tormenti fisici e psichici. Le tele appaiono aggredite, bucate, lacerate e squarciate. In altri momenti, però, il Fabbri pittore si rilassò incantato dalla briosità luminosa della natura nei grandi quadri dedicati ai “Giardini pubblici”. I quali gli ispirarono miriadi di pentolini e segmenti policromi e vibranti. La natura lo inebriò e lo pacò per un lasso di tempo. Ma egli si accendeva all’ispirazione di rilievi e sculture lignee o in terracotta, bronzo ed acciaio.
Anche in queste opere si scopre un rodimento dello scultore (pistoiese, nato il 1911 e milanese di adozione), vivente in un “tempo spaventoso, tra i poli estremi dell’Inferno e del Paradiso”, come ha scritto il direttore dott. Bartsch, “per concretizzare, sempre in maniera informale, la propria umanistica concezione del mondo. L’artista dichiarò di essere contro la guerra, la violenza e l’ingiustizia, sia nei confronti dell’essere umano che dell’animale. Molti i gatti, i cavalli ed i cani da lui immortalati in sofferenti pose. Fabbri era in contatto spirituale con artisti quali Ricasso, Fontana, Matta, Baj, Carrà, Tullio d’Albisola ed Asger Jorn. Morì nel 1999 a Milano, dove era legato da grande amicizia al berlinese (anche lui milanese di adozione) artista Volker Feierabend. Quest’ultimo, altri collezionisti e vari musei hanno messo a disposizione opere per l’attuale mostra, che può essere visitata fino al 31 marzo. I giorni e gli orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica 10.00 – 17.00, giovedì 10.00 – 20.00 e sabato 12.00 – 17.00.
DORTMUND CAMBIA VOLTO. Il 28 aprile scorso uno storico “funerale” dell’ultimo altoforno – Dopo 160 anni di “fase calda” che ha impegnato centinaia di lavoratori italiani e di altre nazionalità. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 5 maggio 2001). ________________ Il 28 aprile scorso è stato spento l’ultimo altoforno della fonderia “Westfalenhütte” che, assieme all’acciaieria “Phönix” di Dortmund-Hörde (anch’essa ormai chiusa), aveva occupato centinaia di lavoratori italiani e di altre nazionalità. Si è così conclusa una “fase calda” che durava da 160 anni: una “fase” che si faceva notare con fumate che arrossavano il cielo, ogni qualvolta avevano luogo colate di ferro a 1200 gradi, tra esalazioni terribili ed accecanti bagliori. La memoria del lavoro degli immigrati. Non bastava la tuta d’amianto, poiché il lavoro rendeva storpi, nel corpo e nella mente. La maggior parte degli immigrati proveniva dalla Polonia. Ma c’erano anche italiani – i più coraggiosi – dato che (come ci ha raccontato un vecchio ex assistente sociale) molti connazionali in cerca di occupazione, accompagnati nell’atrio della fonderia o dell’acciaieria, apparivano atterriti e gridavano all’inferno.
Intere generazioni sopportarono inumani sacrifici, contribuendo al “Wohlstand” di Dortmund e del “Ruhrgebiet” considerati la forza trainante dell’economia della Nazione. La città ha acquisito un nuovo volto. Sistemi di microelettronica, tecnologia dell’informazione e della comunicazione, logistica e svariate prestazioni di servizio (banche, assicurazioni, ecc.) rappresentano ormai da anni una città che ha dovuto darsi un nuovo volto, in un’era che è virtuale. La pesante crisi che nel 1987 attanagliò l’industria del carbone e poi pian piano anche quella della produzione della birra (di cui Dortmund deteneva un primato nazionale di produzione e di consumo), fu da una parte un male, dall’altra un bene per la salute dell’ambiente e dell’essere umano. Ruggine e polvere di carbone, infatti, non annerirono più le facciate delle case ed i colletti delle camicie. La città si guadagnò “polmoni” di verde, la limpidezza del cielo ed una nuova linea architettonica. Istituti superiori, università ed un centro tecnologico di rango, come pure le succitate prestazioni di servizi, unitamente ad un fervore di manifestazioni artistico-culturali (che hanno luogo proprio nell’area di vecchie miniere del carbone) e sportive rappresentano una prospettiva di sviluppo ulteriore per la città che conta 600mila abitanti e vanta un complesso d’infrastrutture di collegamento aereo, ferroviario, portuale e stradale. Non si deve però dimenticare il contributo di tutti gli immigrati anche se un pezzo della storia industriale di questa città è ormai “seppellito”, come rimpiangono molti tedeschi: 880 operai sono stati licenziati.
ZUFI si chiude a Dortmund Grande convegno per la chiusura del progetto “Zufi”. Creare nuove prospettive per giovani disoccupati. Un Talk show con la moderazione di Enzo Piergianni. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 2 dicembre 2000).
Una bella manifestazione con centinaia d’invitati, tra i quali Roberto Mazzarella, delegato del palermitano sindaco Leoluca Orlando. Motivo del convegno, organizzato dal Fachbereich Schule della Città: la conclusione del progetto “Zufi” (di cui riferimmo ampiamente nel Corriere d’Italia del 17.10.2000), diretto da Daniela Pierella presso l’Entwicklungscenter di Dortmund-Eving. Scopo del progetto, quello di creare nuove prospettive per giovani connazionali disoccupati. La manifestazione ha toccato, come da programma, la “prospettiva dell’interculturalità”, ed ha voluto dare “nuovi impulsi alla comunità italiana, affinché l’esistenza in Germania sia vista in un’ottica di continua integrazione socio-politica. I convenuti al Kommunikationsforum del Westfalencenter dortmundese sono stati salutati da Daniela Pierella e da Gaetana Ferruggio del Consolato italiano del luogo, le quali hanno voluto evidenziare l’importanza del progetto. E’ intervenuto l’ispettore scolastico Hermann Diekneite che ha ricordato la celerità in cui il mondo va globalizzandosi, richiedendo esperienze come quella del progetto “Zufi”. Per un (necessario a nostro avviso) proseguimento del progetto, comunque, c’è stata solo una vaga promessa. Roberto Mozzarella ha toccato a sua volta il tema della cittadinanza, ricordando che ca. 130 milioni di persone in Europa sono migranti. Il motto stampato sul frontespizio del programma era: “Aufbruch: E’ ora”. E il pubblico si è impegnato da subito in un talk show sul tema “Il futuro nasce dalla memoria”. Enrico Defrancesco, insegnante con trent’anni di esperienza, è stato molto severo nei confronti delle autorità della scuola e del lavoro. Esse, – dice Defrancesco – trincerandosi dietro il burocratese dei loro discorsi e delle loro vecchissime promesse, parlerebbero tuttora sui e non con i giovani. Stando così le cose, i problemi di oggi sarebbero quelli di ieri: un vero fardello gravante nell’area scolastica. Strutture anacronistiche causerebbero peraltro un’inevitabile scivolata verso la Sonderschule. Ecco perché Defrancesco ha finito per invocare una “immersione” nella realtà. Come un “triangolo” ha definito poi la linguista Elke Burkhardt Montanari di Francoforte l’area virtuale cognitivo-linguistica nella quale si muoverebbero gli italiani in questo Paese. Un triangolo i cui vertici sarebbero la lingua italiana, un tedesco appreso anche dalla tv ed un dialetto quale mezzo comunicativo nell’ambito familiare: queste tre lingue s’integrano, si completano a vicenda. Sulla “natura drammatica dello stato emigratorio” si è voluta pronunciare la scrittrice Marisa Fenoglio di Marburg, ricordando una ben nota frase: “Abbiamo chiamato braccia per il lavoro e sono arrivati esseri umani”…Il riferimento al grande, iniziale flusso immigratorio ha toccato tutti. L’emigrazione, come “storia di gente che l’ha vissuta sulla propria pelle” – diceva la Fenoglio – non consiste solo in un’accozzaglia di dati statistici. “Pur non avendo conosciuto i problemi fondamentali dell’emigrazione, - concludeva la scrittrice – la mia emigrazione non è stata facile. Non esiste un’emigrazione facile. Si sono avute varie testimonianze anche da parte del pubblico. Da citare quella della signora Elisabeth Vella, la quale, dopo anni di lavoro pesante nelle fabbriche, è tornata in Sicilia. Non avendovi trovato lavoro, ha ripreso la strada della Germania. Qui, di fronte ad altre difficoltà sopravvenute, ha frequentato il liceo, diplomandosi. Oggi, 44enne si dice orgogliosa di essere riuscita, munita di diploma, ad ottenere infine un posto di lavoro. “Giovani, Fatevi sentire, non portatevi i problemi a casa!” – ha esortato Franco Marincola, CGIL Bildungswerk e Kreistagsabgeordneter di Offenbach. Vincenzo Califano dell’Ausländerbeirat di Wuppertal ha espresso malumore per le strutture e per il sistema di questa Nazione, che non tengono conto della problematica degli immigrati. Marincola ha controbattuto che anche gli immigrati debbono impostare strategie in comune, associandosi. Alla fine di una giornata di dichiarazioni di buone intenzioni, ma anche di critiche, ha avuto quindi luogo una rappresentazione teatrale: “La forca”, con qualche riferimento all’esistenza di vario aspetto degli immigrati. Conclusioni? Le autorità competenti finanzino altri progetti di formazione come quello appena terminato. Le giovani ed i giovani, qui nati o arrivati (o anche in arrivo) dal Bel Paese non attendano miracoli, ma si responsabilizzino. MOSTRA “ITALIANI IN GERMANIA. LINGUA E STORIA DELLA CULTURA”. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, marzo 2000). ___________ Programmata sotto l’egida della “Deutsh-Italienische Gesellschaft NRW, Ausländsgesellschaft e V. di Dortmund, e diretta dal prof. Mario De matteis, docente al Seminario di Filologia Romanza presso l’Università di Bochum, la mostra è unica per il suo alto valore pedagogico. Esiste un progetto di seminario “Italiani in Germania” da cui è scaturito il concetto dell’esposizione. Gli studenti di Filologia Romanza infatti, coi loro lavori sociolinguistici e storico-culturali, hanno permesso di documentare scientificamente la loro analisi di componenti linguistiche pertinenti la comunità italiana, la quale viene focalizzata – come appare dalla mostra – nella sua esistenza di tre generazioni, vissute negli ultimi cento anni soprattutto nella zona della Ruhr, definita tradizionalmente la “locomotiva” dell’industria nazionale. I tentativi di adattamento ed il processo d’integrazione, il grado d’istruzione e sua comparazione tra le tre generazioni d’immigrati in chiave socio-linguistica, come e quando influiscono programmi culturali ministeriali sugli Italiani: sono i punti del megatema dell’esposizione. Dati statistici, resoconti di Stampa, videofilm e copioso materiale fotografico rievocano i “momenti di vita” (famiglia, lavoro, tempo libero e tentativi d’integrazione).
Infine, viene documentato un esame della vita di associazioni e della esistenza associativa di gruppi regionali, col fine di conoscere se questi fenomeni conducano verso un’integrazione o piuttosto verso un’emarginazione. La mostra è allestita nell’ampio spazio della chiesa di S. Gertrudis nella Grisarstr., dove Don Guido Lemma, della Missione Cattolica Italiana dortmundese, dà il suo prezioso aiuto organizzativo. - La memoria dell’immigrazione - E’ ovvio che la tirannia dello spazio non permette di soffermarsi a descrivere i molteplici e disparati pezzi dell’esposizione. Quel che preme è però osservare la folla dei visitatori soprattutto italiani che - da “tartassati” dalla propria storia sulla breccia dell’estero – si rivedono quali “doveristi” cresciuti nella lotta per la sopravvivenza. Ma non tutti sono sopravvissuti. Ed il filo della matassa della vicenda di ogni singolo pare dipanarsi lentamente ed ombre sembrano muoversi qua e là nella chiesa: sono i primi gelatai dal carrettino adornato dal tricolore, sono i minatori della prima ora, i muratori, i meccanici, i carpentieri, i lavoratori della Volkswagen, i camerieri, i pizzaioli, i gastronomi, i commercianti di ortofrutticolo. Sembra ascoltare le loro voci ed il rumore delle loro attività. Poi, movimenti e vociare anche di gente della Chiesa, della Cultura e dell’Arte, della Politica e della Finanza, dell’Economia e dei Servizi Pubblici…
Sono anche questi immigrati connazionali, venuti a guadagnarsi la pagnotta: a cambiare – volens nolens – usanze e costumi, per immedesimarsi, ma fino ad un certo limite, nel popolo di accoglienza. Dimenticati e trattati dalla Patria quali Italiani di seconda classe – e non solo per la questione del diritto di voto, negato, promesso e ripromesso nel giro di cinque decenni -, ma in linea generale. Con rinunce e sacrifici inenarrabili, umiliati, anche emarginati in loco, poi presi in simpatia ma mai amati veramente dai Tedeschi: “italioti”, “lavoratori stagionali”, “lavoratori ospiti” e, infine, anche se appartenenti all’Unione europea, tuttora ed in gran numero essi sono considerati soltanto “concittadini stranieri”… L’Italia e la Germania si sono da sempre allattate: Gli immigrati sono divenuti mezzo Tedeschi e, questi, mezzo Italiani. La vita bilingue e le svariate associazioni culturali italo-tedesche lo testimoniano. Ma c’è anche il modus vivendi tedesco che si orienta sempre più verso la Penisola…
- Un messaggio della mostra. In un secolo d’immigrazione è cresciuta qui un’”altra Italia” ed il suo popolo ha mostrato coraggio, volontà, fantasia ed ingegnosità. Questo popolo si è fatto da solo. Alla Stampa ufficiale italiana, che quando arriva in Germania chiede al tassista di turno dell’esistenza e dell’operato degli Italiani, vada detto quanto segue: l’Italia ha notoriamente un debito storico nei confronti degli emigranti. Essi glie lo rimettono, secondo lo spirito della preghiera del Paternostro. Perché l’Italia, divenuta oggi una terra d’immigrazione, sta vivendo da vicino una tragicommedia: la stessa di ieri e di oggi anche per i cittadini italiani costretti ad emigrare. “Corriere d’Italia”. Corrispondenze. A tu per tu con il console di Dortmund. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia, 18 novembre 2000). IL FUTURO DEGLI ITALIANI A DORTMUND. Sono oltre sessantamila gli italiani residenti nella circoscrizione del Consolato d’Italia a Dortmund. Il console Enrico De Agostini, in carica dal 12 aprile 1999, ci racconta in un’intervista dei progetti in corso e di quelli previsti per il futuro.
CORRIERE. Sappiamo che il consolato ultimamente ha preso contatti con l’Arbeitsamt. Si sta forse impostando una strategia comune contro la disoccupazione? DE AGOSTINI. Il prezzo che i nostri connazionali hanno pagato in termini occupazionali per la riconversione delle industrie del bacino della Ruhr, è veramente troppo alto ed è riconducibile, nella maggior parte dei casi, alla necessità di una riqualificazione professionale. Ecco il motivo dei miei recenti contatti con l’Arbeitsamt di Dortmund: bisogna trovare il modo di indirizzare le informazioni sui corsi di formazione professionale, in modo che esse raggiungano i soggetti giusti, cioè quelli che, essendo disoccupati, ne hanno più evidente bisogno. In questa ottica, uno scambio di informazioni tra noi e le autorità tedesche è cruciale. Naturalmente, la nostra azione non si può esaurire qui. Su impulso della stessa Ambasciata a Berlino, si sta lavorando con l’ente “Pro Qualifizierung” di Colonia, per definire un programma organico di consulenza ed informazione a favore dei connazionali. Per quanto riguarda specificatamente la disoccupazione giovanile, ricordo il successo del progetto “ZUFI”, col quale si è riusciti ad indirizzare oltre 300 giovani verso l’apprendistato. Le istituzioni coinvolte in questo progetto sono ora impegnate a costruire una struttura di coordinamento, affinché tale positiva esperienza si traduca in iniziative di carattere continuativo. CORRIERE. Negli anni ’80 si registrò un ritorno in massa dei connazionali verso l’Italia. Attualmente sono moltissimi i giovani figli di quegli italiani che in Patria non hanno trovato un’occupazione né le sperate condizioni di vita. Quali sono le ripercussioni del fenomeno per il Consolato? DE AGOSTINI. Molteplici e di non semplice soluzione. Si tratta di un fenomeno per alcuni versi preoccupante, non solo perché mette a nudo la difficile situazione occupazionale che l’Italia sta attraversando, ma anche perché chi arriva per la prima volta in un Paese straniero ha bisogno di un’attenzione diversa da quella di chi vi si trova da anni. La richiesta di servizi è ovviamente maggiore e quindi l’impegno è anche più consistente. Da parte mia, non perdo occasione per esortare i connazionali appena arrivati ad imparare in fretta e correttamente il tedesco, a mandare subito i figli a scuola, a registrarsi all’anagrafe consolare se vorranno usufruire in modo pieno dei servizi consolari ed esercitare qui il loro diritto al voto. CORRIERE. La “strettoia” verificatasi negli ultimi mesi, per mancanza di personale, lasciava temere che questo Consolato chiudesse i battenti in un prossimo futuro. Qual è oggi la situazione nella Sua sede? DE AGOSTINI. Lei mette il dito sulla piaga. Le risorse finanziarie, ma soprattutto quelle umane, sono state il vero punto debole di questo Consolato negli ultimi mesi. E’ capitato nell’estate scorsa che molti connazionali chiedessero all’addetto alla cassa se il Consolato stesse per chiudere, senza sapere che quell’addetto era il sottoscritto…Rispondo a Lei come risposi a loro. I problemi di personale li abbiamo avuti e spero che siano ormai in via di superamento. Il Ministero, opportunamente sensibilizzato al problema, direttamente da parte dell’Ambasciatore Merlot, ha predisposto misure tali da scongiurare future carenze di personale. Quanto alle voci circolate su una possibile chiusura del Consolato di Dortmund, posso smentirle nel modo più categorico. CORRIERE. Negli ultimi mesi si è parlato di una ristrutturazione generale degli uffici consolari. Come vede Lei il consolato del futuro? DE AGOSTINI. Nella prospettiva di una sempre maggiore integrazione dei connazionali in Germania e di una più fattiva collaborazione tra amministrazioni italiane e tedesche, la domanda dei tradizionali servizi consolari dovrebbe gradualmente e fisiologicamente ridimensionarsi, liberando risorse all’interno dei consolati. Queste risorse potrebbero allora venire utilmente destinate ad attività di promozione dell’immagine del nostro Paese, al sostegno della penetrazione commerciale ed all’assistenza delle piccole e medie imprese. In verità si tratta di attività che già vengono svolte da Consolato attraverso la promozione culturale e commerciale, ma che necessiterebbero di risorse maggiori, per poter dare i frutti sperati. C’è, comunque, una rinnovata attenzione da parte del Ministero, riguardo a questi temi e tanto mi lascia pensare che il futuro cui Lei ha accennato non sia poi così lontano. RICORDI INDELEBILI PER UN EMIGRATO (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio 2000). __________________________________________________________________ (Foto di mio padre, trentenne, con dediche d'amore a mia madre.) (Cliccare sulle immagini per ingrandirle.) 
(mio padre "messicano", in ricognizione sulle terre d'Abruzzo per l'Ufficio del Catasto di Cheti) MIO PADRE. Egli brontolava sempre, rimproverandomi di non sapere fare questo o quello. Dovevo darmi da fare, mi esortava. Dovevo studiare, lasciando da parte il piacere delle corse in bicicletta (ogni giorno ne prendevo in affitto una, sempre di un altro colore e presso un negozietto sito nella discesa della SS. Trinità) e delle lunghe “sedute” nel Cinema Corso. Lì venivano proiettati quei bei film su Tarzan che io vedevo e rivedevo fino a tardi; molte volte fin sotto la mezzanotte. Coetanei ed io avevamo scoperto di poter accedere in quel Cinema senza pagare il biglietto: le finestre dei gabinetti erano (o le lasciavano) sempre socchiuse. Sicché, un piede sulle mani del compagno e già si era all’altezza per poter calarsi nell’ambiente delle illusioni della celluloide e dei sogni che ci perseguitavano, sentendoci anche noi un Tarzan…Ma poi dovevo tornare a casa e, già dall’alto della scalinata che dava sulla strada, cercavo di fiutare l’atmosfera. Molte volte mio padre mi lasciava entrare senza dire una sola parola. Ma poi, al mattino, trovandomi ancora nel calduccio del letto, dovevo purtroppo subire la “meritata” punizione. Mio padre aveva ricevuto un’educazione spartana. Egli raccontava spesso ch’era tanto il profondo rispetto e tanta la soggezione, che egli nutriva verso suo padre Luigi, che molto spesso, andando a passeggio con lui, non osava nemmeno pregarlo di fare sosta per un piccolo bisogno… (Foto di mio padre Francesco)
Il mio genitore era cresciuto responsabilizzandosi: aveva studiato disegno tecnico ed era disegnatore capo presso l’Ufficio del Catasto di Chieti. Naturalmente lo stipendio non gli bastava per tirare avanti una famiglia numerosa ed allora lavorava anche privatamente, fino alle ore “piccole”. Il suo lavoro catastale precedente era stato quello del rilievo topografico in quasi tutto l’Abruzzo e le sudate procurategli dal suo lavoro gli avevano rovinato i bronchi. Ma lo si notava solo quando aveva certe crisi, che lui cercava però di nascondere di fronte alla figliolanza. Mia madre era divenuta col tempo un’affidabile infermiera per il nostro patriarca, per l’imponente figura dal passo di un generale, per lui che da solo riusciva a finanziare cataste di libri per noi figli tutti dediti a studiare. Gli interessi di famiglia e nient’altro. E tutti eravamo tenuti a rispettare questa parola d’ordine. Mio padre aveva pochi amici e non conosceva divertimenti. Una volta s’era permesso di andare al cinema e poi aveva raccontato di essere stato preso, pensando a noi, da un grande rimorso…Perché il suo vero, unico divertimento, era il lavoro che gli permetteva di ritenersi a posto con la coscienza nei confronti della famiglia, alla quale si mostrava, secondo i suoi stati d’animo, le sue debolezze di salute, le sue soddisfazioni ed i suoi successi; coraggioso, volenteroso, brontolone, entusiasta, critico, sarcastico, fino a ridere lui stesso di se stesso e del prossimo e con le lacrime agli occhi. In fin dei conti si sentiva forte dell’esperienze acquisite da solo, dopo essersi distaccato da una famiglia della media borghesia. Per sua madre Annina forse un punto di più di amore filiale. Mi trovavo da 14 anni all’estero e rivedevo mio padre due volte l’anno. Egli venne ricoverato in ospedale, ma non me ne fece dare notizia. Era troppo orgoglioso per farsi vedere lì, paziente tra la vita e la morte, con un bottiglione di sangue di riserva sull’armadio d’una stanza in comune con altri pazienti, qualcuno dei quali si era manifestato già stanco di sopportare le grida di sofferenza di mio padre. E poi, mia madre: “Abbiamo perso una vita”, andava ripetendo. Lei non piangeva in pubblico, ma quand’era sola, in cucina. Lì, dove la famiglia sente tuttora l’ombelico della sua istituzione. Una montagna di granito era crollata. Una voce imperiosa, ma anche piena di calore s’era spenta. Una mano grande e calda, come quando si posava per conforto sulla nostra, era divenuta cèrea e gelida. Ma il ricordo del genitore, della sua voce e dei suoi insegnamenti doveva restare indelebile. Noi figli provavamo tutti uno strano desiderio di vivere, di cambiamento e forse di miglioramento della nostra esistenza. Distrutte le medicine che si trovavano in casa, donati gli indumenti paterni ad un ospizio, ritornavo in Germania. E durante il viaggio sentivo il bisogno di riandare nella mia vita. Studio, collaborazione con le pagine regionali di quotidiani capitolini, attività di geometra sui cantieri di Chieti e dintorni: prime attività, successi, sconfitte, volontà di evadere dalla provincia, pur non essendo costretto da bisogni finanziari. Dei miei colleghi di studio, chi emigrava verso il Brasile e chi nel Canada. Ero troppo orgoglioso per tenere dietro a raccomandazioni, magari per tutta la vita. Volevo fare da solo. MIA MADRE. Pur amando la mia famiglia, avvertivo nella fanciullezza un cocente bisogno di conoscere il mondo di fuori. I genitori si sacrificavano senza pace per noi sei figli. (Foto di mia madre, Ivonne Cornelia Guidone.)
Mia madre non possedeva né lavatrice né un ferro da stiro elettrico. Curva sulla vasca da bagno, strofinava e strofinava quei panni, che poi stirava con quel ferro a carbone. Ed io che talvolta le stavo vicino, a studiare sul tavolo accanto, avvertivo dolori strani alla testa…Mia madre lavorava senza sosta e non conosceva domeniche e festività. Aveva vissuto la gioventù in campagna, a Cerratina, dove le proprietà dei genitori non le avevano fatto sapere bisogni di sorta. Suo padre Antonio, emigrato in America più per un senso di avventura che per necessità, vi era deceduto, con le tasche vuote. (Foto:io con le mie sorelle Anna Maria,a sinistra, e Marilena, negli anni '60 a Chieti.)
Mia nonna Maddalena, beneficiava invece delle proprietà, tirando su cinque figlie ed un figlio. Mia madre aveva trascorso la sua gioventù dedicandosi all’arte del ricamo, fino al giorno della “scoperta” da parte di mio padre, il quale, stando al suo ripetuto narrare, andava a piedi dalla collina di Chieti a Cerratina, per conquistarsi il cuore della ricamatrice. Dopo ventitre anni di emigrazione la rivedevo distesa su una lastra di marmo in ospedale. La donna che s’era consumata nel suo impegno per noi figli, mostrava il suo dimagrito, stremato viso come nelle ore di certe giornatacce, nelle quali lei desiderava coricarsi “solo per cinque minuti”. La bocca rimasta semiaperta all’infarto cardiaco, veniva sostenuta per sotto il mento e tramite uno…stuzzicadenti! Pensate che fantasia e rispetto personale avevano voluto mostrare quelli dell’ospedale SS. Annunziata…Quella era dunque divenuta mia madre: una maschera della sofferenza, della fine ed anche della comicità. La donna piena di energia, che cantava e sorrideva: che sapeva anche adirarsi e lottare per la famiglia, appariva nelle sue spoglie misere che non valevano più di un centesimo al cospetto della storia di rinunce, sacrifici e pericoli sopportati. E in quel momento in cui osservavo quel corpo ormai senza più quell’anima che ci aveva assistiti, educati sia alla morale che alle cose belle, che mia madre priva di grande educazione scolastica sentiva e celebrava dentro di sé, contagiando noi figli, mi sovveniva un passato di cacciatore – assieme ai miei fratelli – di cicale e di uccelli; di meccanico dilettante che insudiciava tante camicie lasciando adirare quella santa donna, che era stata amante dei profumi, delle luci e dei colori. Come quando, già con un braccio paralizzato e senza potere più dire una sola parola, desiderava sedersi di fronte al mare, che indicava con l’altra mano ed io osservavo i colori dell’Adriatico nella luce gioiosa dei suoi occhi. Coraggiosa ed eroica, anche. A otto anni di età, col naso pressato contro i vetri delle finestre, osservavo insieme a fratelli e sorelle un bombardamento della vallata ai piedi della collina di Chieti. La madre era in cammino con la sorella Rosina e con una valigia sulla testa, per portare farina, olio d’oliva ed altro dal suo paese natio, ove le sorelle avevano buoni rapporti con i contadini. E quando tornava stanchissima a sera, eravamo grati a Dio. Al punto più cruciale della guerra, allorché le truppe tedesche si scontravano con quelle alleate sugli Appennini, venivamo costretti a lasciare Chieti. Un carro da buoi, carico di poche masserizie, veniva sostenuto dai genitori nella discesa verso Chieti Scalo. Era di ottobre e noi figli seguivamo quel carro nel freddo pungente. Volevamo raggiungere Cerratina, dove le zie Vincenzina e Italia poi ci ospitarono per mesi, in un paesaggio idilliaco che non era la cornice giusta per la guerra in corso. “PICENI, POPOLO D’EUROPA”. UNA MOSTRA DI ALTO VALORE SCIENTIFICO. A Francoforte sul meno, dal dicembre 1999 al febbraio 2000. CHIETI E L’ABRUZZO nello scambio culturale internazionale. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, gennaio 2000). ____________________________________________________________________ (Le figure: cliccare sopra di esse per ingrandirle. 1) Museo Archeologico Nazionale di Chieti, situato nel parco della Villa Comunale. 2 e 3) Due stele funerarie provenienti dalla necropoli picena di Novilara: raffigurano scene di combattimento. 4) Il “Guerriero di Capestrano” del Museo naz. delle Antichità di Chieti. 5) Uno degli anelloni di bronzo a sei nodi, di cui non sono chiari uso e funzione, che compaiono frequentemente nei corredi funerari delle tombe a inumazione del Piceno meridionale). Mentre viene allestita la mostra, mi sovviene un mio articolo pubblicato il 5 luglio 1986 dal “Corriere d’Italia” di Francoforte sul Meno: “Chieti e il suo Museo archeologico europeo – Tesori d’Arte in Abruzzo”. Ricordo che un editore conterraneo ironizzò allora: “La città, e non il Gran Sasso, è la “bella addormentata”, alludendo alla burocrazia locale…" Sono trascorsi 14 anni e la “bella donna dormiente del Gran Sasso” cui piaceva ammirare i suoi preziosi reperti, tenendoseli gelosamente e segretamente in uno scrigno, rende di pubblico dominio – e su scala transnazionale – un tesoro artistico d’inestimabile valore. Il significato. Il Museo Archeologico di Chieti “si apre” alla sensibilità non solo del mondo scientifico ma anche della gente della strada. Ed è bene che ciò avvenga proprio mentre si avvertono distorsioni e decadimento di valori etici e culturali, problemi esistenziali nella comunità globalizzata.
(Foto: Museo Archeologico Nazionale di Chieti, nel Parco della Villa Comunale) Ecco perché quando a Chieti le autorità competenti intrecciano rapporti di scambi culturali internazionali, ci si augura che la mostra possa divenire itinerante e possa fare il giro del mondo, come da anni si fa per i famosi “guerrieri” di terracotta cinesi, e d’epoca aurea, della dinastia Tang. I cinesi “muovono” 20-30 mila tonnellate di materiale archeologico, incentivando non solo l’interesse per la Cultura della loro numerosa popolazione, ma anche la voglia degli stranieri di andare a conoscere il loro Paese. Sarà altrettanto anche per la regione Abruzzo e per il suo Museo Archeologico Nazionale, “orgogliosi” non soltanto della “natura forte e gentile degli abruzzesi nel Mediterraneo” ma anche della loro ricchezza archeologica, comprendente anche quella su “I Piceni”? I Piceni. (Foto: due stele funerarie provenienti dalla necropoli di Novilara)
Circa 700 sono i reperti archeologici che, assieme ad altri prestati per l’occasione da Parigi e Londra, compongono l’esposizione francofortese. Sono testimonianze archeologiche precristiane, la cui unicità è indiscussa e quindi l’interesse dei visitatori della mostra in Germania potrà essere notevole. C’è di più, per il fatto che i tedeschi sono interessati, loro metodici ed analitici, alle antichità. Ogni volta infatti che un piccolo reperto viene reso pubblico, essi se ne entusiasmano enormemente. I Piceni furono antica popolazione preitalica, di probabile origine non indoeuropea, stanziata fin dal neolitico nel Piceno. Guerrieri aristocratici, già ampliamente sviluppati nel sec. IX a.C.; ebbero il periodo di massima fioritura nel VII –VI sec. a.C. Respinti nel IV sec. a.C. a sud dell’Esino dall’impetuosa avanzata dei Galli Senoni, quasi nello stesso tempo in cui gruppi di coloni greci provenienti da Siracusa fondavano Ancona attratti dall’unico approdo naturale favorevole su una costa piuttosto bassa e impetuosa, i Piceni dapprima combatterono contro i Galli insieme ai Romani, ma poi, nella prima metà del III sec. a.C. , si ribellarono agli antichi alleati e furono sconfitti e sottomessi da Publio Sempronio. La loro città principale era l’odierna Ascoli Piceno. La regione marchigiana dell’Italia centrale era delimitata dal fiume Esino a nord (Jesi-Ancona) e dal fiume Saline a sud (tra Silvi di Teramo e Pescara), e dalla catena appenninica e dal mare Adriatico. Nonostante la perdita di autonomia politica e la deduzione di colonie nel suo territorio – la prima fu Firmum (Fermo) nel 264 a.C. – la confederazione picena conservò un’identità culturale e civile confermata dalla compatta adesione, nel 90 a.C. alla rivolta antiromana degli Italici. Nel nuovo assetto dato all’Italia da Augusto, il Picenum costituì la V regione, unita a Roma dalla via Salaria. Alcuni studiosi intendono per Piceni i popoli originari della Balcania, stanziati nell’area meridionale delle Marche, mentre per Picentes le popolazioni di stirpe italica giunte dalla Sabina e stanziati a settentrione. Vi sono numerose testimonianze di civiltà risalenti alla preistoria nella regione delle Marche; queste terre rappresentano una delle aree archeologiche più ricche e interessanti d’Italia. Le più significative testimonianze della civiltà picena sono conservate presso il Museo Nazionale delle Marche ad Ancona e presso il Museo Oliveriano di Pesaro. Nella zona del Monte Cònero sono stati portati alla luce reperti del paleolitico inferiore e medio, e nelle vicinanze di Ripatransone (AP) pugnali attribuibili all’età del bronzo. Nel Museo Oliveriano di Pesaro sono raccolti interi corredi tombali provenienti dalla necropoli di Novilara (Pesaro Urbino) del VIII-VI sec. a.C.. Forti influenze greche ed etrusche si avvertono nella terza fase della cultura picena, quando appare maggiormente sviluppata la lavorazione del metallo, con la produzione di carri da combattimento e oggetti ornamentali (Fermo, Belmonte, Cupra Marittima e Numana). Il ritrovamento di ceramiche attiche, massime a Numana, testimonia poi l’arrivo dei Greci sul Monte Cònero e la loro permanenza. Oltre a quella di Novilara, altrettanto interessanti le necropoli di Fabriano e di Capestrano (AQ), da cui proviene la celebre statua del “Guerriero di Capestrano”, conservata al Museo Nazionale delle Antichità di Chieti, all’interno di una importantissima raccolta di opere greche, romane ed etrusche. Il Guerriero di Capestrano
La statua di pietra del “Guerriero di Capestrano” rappresenta il pezzo forte tra tutti i reperti che vengono esposti. La si rinvenne nel 1935 in una necropoli nei pressi di Capestrano (AQ), in terra d’Abruzzo. Risalente al VI sec. avanti Cristo, essa ci lascia pensare alla tipologia antropomorfa di colonne sepolcrali. Policroma, come la statua appare, rappresenta un guerriero le cui parti del corpo non risultano tanto rimarcate quanto l’armatura che ricopre il corpo, scolpita in tutti i dettagli. La tesa larga del copricapo conferisce al guerriero una gravità solenne, accentuata da maestosa figura. Quello che il guerriero porta in testa non è forse un cappello, ma potrebbe essere uno scudo che gli sarebbe stato imposto secondo un rituale dei defunti. A ciò si aggiunga l’imponenza squadrata delle spalle mascoline che contrasta con un giro di vita troppo ristretto ed il bacino ampio, accentuato e femmineo, fino alle cosce, e senza muscolatura, che riappare invece nei polpacci. Da notare anche l’angolatura dei profili delle gambe, verso lo spettatore, fino a formare delle perfette verticali, unica nel suo genere. La famosa statua è un punto di partenza per lo studio delle più antiche civiltà d’Italia. Per quanto siano ancora molti gli interrogativi che questa singolare opera di scultura pone, a cominciare dalla scritta incisa sul piastrino che la regge a sinistra, tuttora indecifrata, si può tuttavia riferirla con sicurezza alla cultura picena del VI sec. a.C. DIECI ANNI FA CADEVA IL MURO DI BERLINO. Una testimonianza. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, ottobre 1999). Tentavano di demolirlo con seghe elettriche, lo prendevano a colpi di piccone e di scalpello per portarsene a casa un pezzo – o anche per venderselo. Tedeschi e stranieri, accorsi a migliaia, in un tripudio o gridando con rabbia, si sfogavano con quel muro che per 28 anni aveva significato per tutti un pesante incubo. Il muro delle quotidiane angustie, della detenzione del sangue di centinaia di feriti e dell’assassinio di altrettante persone che avevano cercato, nei modi più impensabili e spericolati, di evadere dalla DDR, la Rep. Democratica Tedesca, sposata dal 1946 al comunismo di Mosca.
Quel muro che divideva Berlino nelle zone orientale e occidentale, mostruosa costruzione in cemento di 45,1 chilometri di lunghezza, era dotato di impianti di sicurezza e di posti di controllo: uno strazio non solo per il popolo tedesco. In circa 30mila erano riusciti a fuggire verso 2L’altra parte”. L’Europa ed il mondo erano stati in apprensione continua.
Ma ora, si avvertiva un profondo, generale respiro di sollievo, per quanto si pensasse alle incognite che il futuro riservava. - La svolta –
Il 7 ottobre 1989 la Rep. Democratica Tedesca aveva celebrato il 40° anniversario in presenza di Gorbaciov (il quale sarà poi, per influsso maggiore, l’artefice primo della riunificazione tedesca). Il 18 dello stesso mese, il capo del governo Honecker, si dimise,. Il muro cadeva il 9 novembre. Un popolo di 23 milioni di anime, castigate prima da Ulbricht e poi da Honecker, aveva gridato prima a Lipsia poi sulla Alexanderplatz berlinese: “Noi siamo il popolo!”. Una marcia pacifica di un milione di persone. Allo sventramento della fatale costruzione, a migliaia si precipitavano nella parte occidentale di Berlino, piangendo, abbracciandosi e riabbracciandosi. La grande libertà venuta all’improvviso la salutavano ballando 17 milioni di abitanti che si ricongiungevano ai ca. 60 altri milioni di Tedeschi. Un popolo tanto numeroso da impensierire gli altri popoli europei? - Tra sogno e realtà – Per chi come noi nel 1961 si trovava a Francoforte sul Meno ed apprendeva la notizia dell’erezione del muro e poi, nel corso di circa 3 decenni, ne seguiva le tristi vicende, anche avendo contatti diretti con la repubblica di Honecker, con i militi della VOPO (Polizia popolare) dai secchi comandi e col mitra minaccioso sul petto; attendendo per ore alla frontiera, al cospetto di lunghissimi ed alti reticolati e di torrette di controllo: pagando infine pesanti tasse di transito e di soggiorno, con la condizione di recarsi poi subito al comune della località da raggiungere, per lasciarsi dovutamente registrare, per noi si diceva, ora la notizia della caduta del muro della vergogna. Sogno o realtà? Ma era vero, perché il 3 ottobre 1990 Tedeschi e stranieri potevano oltrepassare il Brandeburger Tor (la Porta di Brandeburgo), la famosa, sovrastata da un’imponente quadriga. La Porta era stata murata nel 1961: doveva simboleggiare la divisione della Germania. Ma ora era stata riaperta per testimoniare la riconquistata unità. E più tardi sparivano i cosiddetti “Checkpoint”, i punti di controllo tenuti dagl’Inglesi, dagli Americani, dai Francesi e dai Russi. Francia ed Inghilterra cominciavano a denunciare i primi timori: un popolo tedesco di 80 milioni di anime poteva avere una sfera d’influenza troppo grande in Europa…Ma infine fu la Russia, con la precedenza storica che le spettava, a dare l’assenso per la riunificazione. - Unità e identità – Quanti demolirono il muro non ne riservarono nemmeno un frammento a direttori di musei. Doveva venire dimenticato per sempre quel mostro di cemento? Per sempre?!? Questo sarebbe fatale, filosofeggia qualcuno, poiché il muro ha causato troppe ferite. Esso divise generazioni che crebbero in condizioni di vita socio-politico-economiche tanto diverse. E allora, può la riunificazione significare in breve tempo anche un raggiungimento d’identità nazionale? I Tedeschi dei vecchi e dei nuovi Länder si definiscono ancora, vicendevolmente. “Ossis” (Orientali) e “Wessis” (Occidentali). Eliminato dunque quel mostro di cemento della costernazione e del lutto, pare sia rimasto un altro muro a frenare la venuta d’una identità nazionale . Infrastrutture anacronistiche e di poco rendimento sono state demolite per far posto all’high tech, e la ex DDR, che prima esportava fortemente verso la Russia ed altri Paesi ideologicamente vicini, si vede ora anche costretta ad accettare l’introduzione immediata del marco occidentale, come la ristrutturazione dell’intero suo mondo. Spazzate via le vecchie fabbriche, per le nuove infrastrutture, venivano scelte giovani forze di lavoro pe runa dovuta specializzazione. Ferme le produzioni, quindi, in attesa degli specializzati. La riunificazione cambiava in bene ma anche drammaticamente l’esistenza dell’ex DDr. Circa 2,5 milioni di disoccupati testimoniano tanto. (I vecchi Länder contano lo stesso numero d’inoccupati). I Tedeschi occidentali (ma anche gli stranieri) versano da dieci anni un “Soli-Zuschlag” (“Una soprattassa per la solidarietà”): annualmente, 150 milioni di marchi. Nonostante ciò, molti abitanti dell’ex DDr lamentano spesso: “Si stava meglio quando si stava peggio…”. Palesemente insoddisfatti e, nel contempo, timorosi di vedersi decurtati i finanziamenti: i Tedeschi dell’ex DDR. Dall’altra parte, i Tedeschi occidentali, visibilmente scocciati e indebitati, già sotto il precedente cancelliere Kohl, per 1500 miliardi di marchi, tra le ganasce della tenaglia d’una politica del risparmio in ogni senso. E per quanto possa riguardare il muro caduto dieci anni fa, un bilancio fresco, fornito da Forsa, un istituto di sondaggi: “…un tedesco occidentale su cinque vuole riavere il muro; mentre nell’ex DDR è il 14 % della popolazione a desiderare la stessa cosa…”. L’evidente benessere socio-economico-finanziario, che i vecchi Länder hanno introdotto nell’ex DDR (nuove strade, nuove case, nuove scuole, nuove banche, nuovi negozi, nuove aziende, nuovi impianti industriali – ed il tutto secondo le regole di un liberismo di mercato e del massimo profitto), sembra non bastare ai nuovi Länder. Problemi di natura spirituale, di comunicazione. E’ forse questa la ragione del mancato raggiungimento d’una identità nazionale? E’ vero quanto lo storico e giornalista Indro Montanelli ha scritto recentemente : “…La nostra cultura “istruisce” nel campo scientifico e tecnico, ma non “forma” nel campo morale e del costume perché non comunica…”. - Neonazismo all’assalto – La libertà ed il benessere raggiunti dall’ex DDR hanno lasciato crescere una pianta abbastanza velenosa: quella del neonazismo che, con le sue apparizioni ed “istruzioni” continue di lotta, via Internet, preoccupa da qualche tempo, e non poco, quanti preposti alla salvaguardia della costituzione. Un bilancio: 40 anni di regime coercitivo? 28 anni di divisione tramite il muro…I neonazisti, proprio mentre viene ricordato che 60 anni fa Hitler assaltò la Polonia, innescando una guerra che causò circa 55 milioni di vittime e centinaia di migliaia d’invalidi nel mondo, non pensano che i 40 anni della DDR ed i 28 anni della durata del muro furono conseguenze delle “grandiose idee” del dittatore? Speriamo che il governo che alcune settimane fa lasciò Bonn per insediarsi nell’ammodernato palazzo berlinese del Reichstag (da dove 105 anni addietro venne governata per la prima volta la Germania), tenga meglio le briglie. DISCRIMINAZIONE ANCHE DOPO MAASTRICHT? Una consulta in difesa degli italiani. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, settembre 1999). _____________ Fatta l’Unione Europea, fatti gli europei? Dopo il Contratto di Maastricht, stipulato il 7 febbraio 1992, gli abitanti dei 15 Paesi appartenenti all’UE si sono considerati giustamente europei e quindi cittadini dei rispettivi Stati. (
Maastricht) Ma da allora ad oggi sembra non essere la medesima cosa per una cerchia sparuta di burocrati e politicanti che continuano a fare degl’immigrati oggetto di speculazioni politiche ed anche di discriminazione. Chiusa la parentesi della recente discussione sulla “doppia cittadinanza” (che soprattutto gli italiani non si sono mai sognati di chiedere, sapendo ormai di essere europei), quella cerchia sparuta di “eterni di ieri”, d’incorreggibili, continua a ritenere gli appartenenti all’EU prima quali Italiani, Francesi, Spagnoli, ecc. e quindi come europei. Ma allora a che cosa è servito e serve il suddetto Contratto? Già per mettersi d’accordo sul giusto colore della copertina del passaporto (poi scelsero quello melanzana) della Comunità Europea si ebbe un vespaio di tecnocrati che, assieme a burocrati e politicanti, decisero di scrivere “Comunità Europea”, a lettere auree, in alto, sulla copertina del passaporto. Tutto lì il loro compito?
- Discriminazione? –
Sette anni dopo il difficoltoso “parto” di Maastricht, abbiamo notizie attendibili sull’attività in Germania d’una consulta in difesa degli interessi italiani.
(Maastricht)Si tratta della CGIE, Consulta generale italiani espulsi, formata da INAS, CISL, INCA, CGIL, ACLI e CARITAS-Verband. E’ un gruppo di lavoro in materia di espulsioni, che il 29 aprile di quest’anno tenne una riunione presso l’Ambasciata Italiana a Bonn. Tema: discriminazione d’italiani, di cui solo nel passato anno sarebbero stati rimpatriati circa 400. 320 di essi sarebbero stati espulsi dal solo land bavarese. Proteste e ricorsi, quindi, tramite i dovuti “canali”, senza dimenticare la Corte Europea di Giustizia. Che cosa manca nell’UE se, da europei, si viene maltrattati tuttora, ritenuti e chiamati “stranieri”?
E’ soltanto un’Unione creata per fini economico-finanziari? E dove sta la politica nell’Unione e dell’Unione? Una Politica sociale e della solidarietà? Sorgono spontanee domande simili, anche nell’ascoltare la nuova incaricata governativa per gli stranieri, Marielusie Beck, la quale si è fatta recentemente forte per opporre efficace resistenza alla discriminazione. Il proponimento dell’Incaricata – preceduta da altre due colleghe che terminarono il loro incarico esternando sdegno per non essere state mai ricevute ed ascoltate dal cancellierato – rincuora, anche se nel contempo ci convince del fatto che, pur essendo divenuti europei, la nostra situazione non è migliorata. Speriamo che la nuova Incaricata sia più fortunata delle colleghe precedenti. Speriamo anche che il neoeletto Presidente della Rep. Fed. Tedesca, Johannes Rau, possa realizzare anche lui l’intenzione resa pubblica: “…Voglio parlare con tutti, soprattutto con quanti (non tedeschi o appartenenti a minoranze emarginate) non hanno avuto sinora la possibilità di farsi ascoltare”… Ci piace il voler parlare “con” e non “verso” non tedeschi ed esclusi, che il Presidente ha voluto raccomandare ai non tolleranti e non solidali. - Dal contratto di Maastricht – Ma che cosa ci ha portato il famoso Contratto di Maastricht, ratificato solennemente l’11 novembre 1993?

(Maastricht) “Una comune identità dell’Europa e degli europei” era ed è il suo perseguimento. Rinveniamo che la Rep. Fed. Tedesca, dopo la ratifica del Contratto, apportò modifiche alla propria Costituzione, stilando l’”Articolo 23”: “La Rep. Fed. Tedesca mira ad un’Europa dalla struttura democratica, un’Europa del Diritto, sociale e federativa”. Nel Contratto dell’UE, poi, possiamo leggere ancora: “Coerenti ed improntati a solidarietà”, A-B, tit. 1 Art. A, “devono venire sviluppati i rapporti tra gli Stati dell’Unione ed i loro Popoli”. Infine, l’art. 6 del Trattato in questione, sotto il punto 46-7, sancisce addirittura una “Proibizione di qualsiasi discriminazione per ragioni di nazionalità”. - L’”Ausländergesetz” (“Legge per gli stranieri”), ancora attuale? – Abbiamo voluto citare dal Contratto dell’UE, poiché – come testimonia l’impegno della Consulta succitata – si ripetono casi di applicazione del vecchio “Ausländergesetz” (“Legge per gli stranieri”), che molti ritengono non rispondente allo stato attuale giuridico e sociale degli europei italiani in Germania. I quali, dopo il Contratto di Maastricht, ad onor di logica, sono da considerare europei e non solo Italiani. La legge per gli stranieri, quindi, significa per gli Italiani un anacronismo. La parità di diritti tra cittadini europei è indiscutibile. La ratifica del Contratto in questione dovrebbe rappresentare una direttiva inequivocabile – in ogni rapporto sociale quotidiano. Soprattutto in casi di sentenze emesse a carico di chi si è reso reo di un delitto, pronunciata una condanna, scontata una pena, non si può passare semplicemente al rimpatrio del carcerato o del rimesso in libertà, se non dietro sua esplicita richiesta. Esistono naturalmente casi-limite, nei quali uno viene ritenuto un pericolo per la comunità e quindi viene espulso. Ma quante volte viene presa una decisione con calma ed assennatezza? Ora che è al lavoro una Consulta, viene ascoltato di volta in volta anche il suo parere? Quante volte cittadini europei, divenuti disoccupati ed inoccupati, bisognosi dell’assegno sociale, vengono messi alla porta con indifferenza e persino minacciati di rimpatrio? Rileggiamo volentieri il Contratto di Maastricht: “Identità europea, rispetto della dignità del prossimo, coerenza di rapporti, solidarietà e bando alla discriminazione”. L’attività della Consulta Generale Italiani espulsi è senza dubbio rassicurante per i 600mila Italiani qui residenti.
L’ANNO DI JOHANN WOLFGANG VON GOETHE. Un amore così grande per Roma e l’Italia ereditato dal padre. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, luglio 1999). _____________ Il suo 250° compleanno viene festeggiato in tutto il mondo con volontà, fervore di riscoperta e con un profondo ripensamento alla sua varia, immensa opera di poeta e pensatore.
Non solo sociologi, ma anche psicanalisti, sono attivi per tracciare uno psicodramma storico di Johann Wolfgang von Goethe, il quale fu per di più politico, studioso di scienze naturali, disegnatore, uomo di vedute internazionali (tanto da essere ritenuto un intelletto non tipicamente tedesco), amante della vita, buongustaio e glorificatore della civiltà arcaica, della cultura e del paesaggio italiani. Nato il 28 agosto 1749 a Francoforte sul Meno, a 37 anni intraprendeva – in incognito (si faceva chiamare Philipp Möllier) – un agognato viaggio verso Roma. Perché Roma? L’amore verso la Città eterna e l’Italia l’aveva ereditato dal genitore. Molti tedeschi non conoscono questo particolare. Johann Caspar Goethe, infatti, 29enne giurista, partito da Vienna nel 1739, visitava Venezia, Roma e Napoli. Nel 1742 faceva ritorno a Francoforte sul Meno abbastanza carico di ricordi italiani, tra i quali incisioni su rame e riproduzioni in gesso. Un vero museo di cose italiane in casa Goethe! E poi il genitore voleva dimostrare il suo amore per la cultura e la civiltà nostre con un resoconto di viaggio stilato in lingua italiana. L’essere vissuto anche se solo per tre anni in Italia significava per lui avere assaporato una vita degna di venire chiamata umana. (Museo Goethe di Düsseldorf)
Egli lo ripeteva spesso al figlio, a cui brillavano gli occhi d’una crescente febbre di evasione e di scoperta per sentirsi finalmente un uomo; per poter affermare entusiasticamente (si consideri “Italienische Reise”, “Viaggio in Italia”), notizia del 3 dicembre 1787: “Sono nato un’altra volta”… Un anno prima, il 1° novembre 1786, aveva confessato in una lettera alla madre: “…Tutti i sogni della mia gioventù sono divenuti realtà…E’ palpabile quanto ammiravo nelle incisioni mostratemi da papà…”. Agli scienziati della letteratura il compito di rinvenire e discutere tutte le opere di Johann Wolfgang von Goethe. Noi ci occupiamo della sua Roma e della sua Italia che indubbiamente influenzarono il suo carattere e la sua forza di creazione. E lo vediamo in un ritratto eseguito da J.H. Tischlein nel 1787, affacciato alla finestra della sua abitazione in Via del Corso, ad inebriarsi infinitamente del fascino della Città eterna che allora – secondo le cronache – contava solo circa 150mila abitanti ed aveva la maggior parte delle antichità ancora seminterrata. Il poeta e pensatore Goethe avvertiva nonostante tutto che la storia del mondo fa capo a Roma. Egli maturava per essa una passione incatenante. Lasciava la Città nel 1787 per andare a “scoprire” anche Napoli e la Sicilia, ma tornava nello stesso anno a Roma per ammirarvi i famosi affreschi raffaelliani e per restarvi “fino al prossimo anno”… Roma, l’Italia e Johann Wolfgang Goethe: una storia passionale, fatta proprio per le masse di popolo, per le quali il Poeta dichiarava di non scrivere e quindi non attendeva un successo ed una notorietà che solo dall’attenzione di pochi, magari suoi “gemelli” d’idee e d’interessi. Il 24 aprile 1788 è data definitiva della partenza da Roma? La città di Weimar quale ultimo approdo? Johann Wolfgang Goethe aveva in realtà nuovi progetti di viaggi in Italia, dove voleva vivere fino alla fine dei suoi giorni. Poi, l’incontro a Weimar con Cristiane Vulpius e la nascita del figlio August (subito dopo deceduto) relegavano il Poeta in quella città. Solo nel 1790 egli si recava a Venezia per incontrarsi con la suocera che vi era in vacanza da due anni per accompagnarla nel viaggio di ritorno in Germania.
(Tomba di Goethe a Weimar) Addio bella ed amata Italia! Il Poeta decedeva il 22 marzo 1832 a Weimar. Sembra di ascoltarlo: “…La mia vita, una pura avventura…”. E sembra di sentirlo anche declamare: “…Conosci la terra dove fioriscono i limoni…”. La città natale di Francoforte sul Meno ed anche quella di Weimar (che proprio in questo anno ha in Europa l’onore di rappresentare la “Città della Cultura 1999” si vantano del celebre nome di Goethe e della sua complessa fatica creatrice, augurandosi che la cultura classica – soprattutto in questi giorni di evidenti sbandamenti – venga riconsiderata. Già solo in Francoforte sono in programma ben 300 manifestazioni per rendere onore al Poeta; ma anche Weimar ed altre città festeggiano “l’Anno di Goethe” con un nutrito complesso di spettacoli. L’”ALTRA ITALIA” – LA SUA STORIA NEI 50 ANNI DELLA REP. FED. TEDESCA. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, maggio 1999). ___________ La Rep. Fed. Tedesca ed il suo 50° anniversario: un’occasione buona per ricordare una storia dell’”Altra Italia”. Le prime immagini che sovvengono sono note a tutto il mondo; stazioni ferroviarie affollatissime di centinaia di migliaia di operai stracarichi di valige e pacchi incordati e pesanti. Sorrisi, pianti, saluti ed abbracci in un grande chiasso di voci. Anni 50-60. La Rep. Fed. Tedesca, una terra promessa? Moltissimi degli immigrati erano privi non solo di una qualifica, ma anche di contratti di lavoro con le dovute chiare clausole. Com’erano venuti fin qui, in una regione grigia e fredda? Gli uffici di collocamento italiani s’erano evidentemente scrollati di dosso il grave fardello di masse di lavoratori, che la sbagliata, vigliacca politica del Mezzogiorno non aveva saputo occupare. Ed ora erano qui, al “fronte”, “carne per i cannoni”. Erano sicuri di sopravvivere e di avere qualche successo? Chi poteva garantire? Coloro i quali in stazione si abbracciavano accomiatandosi da quanti dovevano proseguire in altra direzione, avevano un tono di voce incerto, strozzato. Presagio di sofferenza maggiore che in Italia e di lotta maggiormente dura in terra tedesca? Poi le stazioni che avevano registrato l’eco del clamore delle grandi masse giunte nella prima ora d’immigrazione, divenivano i ritrovi domenicali dei connazionali. E c’era la rimpatriata di turno, con sfoghi e scambi di opinioni. - Ricostruzione. Miracolo economico – La rep. Fed. Tedesca, col progetto della ricostruzione ed il miraggio di un miracolo economico, andava popolandosi pian piano di circa 2 milioni d’italiani (naturalmente c’erano qui anche spagnoli, jugoslavi, turchi, ecc., ma in numero esiguo). Anima e corpo, i connazionali cominciavano a sentirsi, dopo qualche anno di resistenza, un po’ al di qua, un po’ al di là delle frontiere; sospesi a mezzo cielo, come vedette ansiose di registrare eventi da una parte e dall’altra. E le loro menti si aprivano così a nuovi orizzonti di prospettiva e di critica. Fino a quando potevano rimanere in Germania gli sprovvisti di qualifica? C’era la possibilità di partecipare a corsi di specializzazione e quanti l’hanno fatto, saranno certamente restati, richiamando anche familiari. Bisogna rinvenire che assieme alle masse di lavoratori, immigrarono anche sparuti “cervelli” (che più tardi l’Italia esporterà in serie). Se essi non possedevano una conoscenza della lingua tedesca, andavano a lavorare come gli altri, facendo anche da assistenti sociali. Già allora c’era un periodico a Francoforte che molti italiani leggevano con interesse e c’era, un po’ più tardi, anche una Radio Colonia che dalla sede dell’emittente tedesca WDR trasmetteva e trasmette ancora, ogni sera, un notiziario italiano. Parlare allora di cultura significava però rinvenire quella delle tradizioni, delle canzonette o della gastronomia di casa. La cultura italiana andava invece prendendo piede quando gl’immigrati abbandonavano i primi dormitori ch’erano fetenti baracche site nella periferia di grandi centri industriali e, col primo gruzzolo, si rendevano indipendenti; andavano a dormire nelle pensioni, accorciando le distanze tra loro ed i tedeschi. L’approccio, una grande possibilità di parlarsi (anche se con un tedesco arrangiato); una possibilità di “scaldarsi” ed interessarsi l’uno dell’altro. - Spaghetti, gelato e moda fanno anche cultura – Degli italiani che si rendevano pian piano finanziariamente indipendenti bisogna rinvenire un grande spirito d’intraprendenza che li spronava ad importare dalla Patria tutto quanto l’Italia con la sua ricchezza agricola di allora, con la sua stragrande enoteca, con la sua sviluppatissima industria del gelato e, non dimentichiamo, con la sua incipiente industria della moda poteva offrire. Il mercato tedesco veniva dunque invaso. Il tricolore lo si osservava non solo in ogni vetrina di gelateria o di ristorante o di negozi di generi alimentari di proprietari italiani, ma anche nei grandi magazzini o supermercati “self-service” tedeschi. Gl’immigrati cantavano o suonavano ancora il mandolino per combattere solitudine e nostalgia? Certo, ma non tutti. Perché i più si trovavano ormai nel grande giro del guadagno e pareva che i soldi avessero loro rubato l’anima, tanto da renderli seri, riservati, anche scettici e invidiosi nei confronti degli stessi compatrioti. Verso i tedeschi, poi “Li rispettiamo, ma non li amiamo”, dicevano dietro il palmo della mano. Ed i tedeschi, a loro volta, dimostravano simpatia, ma non dimostravano rispetto verso gli italiani, da loro ritenuti superficiali , inattendibili. Ma ormai gli operai immigrati s’erano almeno già guadagnato il titolo di “Gastarbeiter” (“Lavoratori ospiti”). E, più in là, da “ospiti” divenivano “Ausländische Mitbürger” (concittadini “stranieri”). A parte le velleità umane, la vita scriveva poi un libro tutto proprio sull’”altra Italia”, allorché moltissimi italiani contraevano matrimonio con belle tedesche e potevano dimostrare di essere anche volenterosi, capaci di pensare e di agire e pieni d’idee; di saper lavorare per “vivere” e di essere quei compagnoni come tutti sanno nel mondo. Certo, moltissimi immigrati si comportavano male o andavano in giro come conigli paurosi; non si accostavano ai tedeschi, praticando – volens nolens- un razzismo “Passivo”…Forse sarebbero andati più dritti e con un pizzico di orgoglio in più, se avessero saputo che altri italiani, secoli prima, sfoggiarono idee grandiose e realizzarono grandi progetti di arte e cultura in tutta la Germania. Ma essere orgogliosi avrebbe potuto anche nuocere ai nostri lavoratori, dal momento che il datore di lavoro non possedeva né sentimento né tempo per riflessioni su certe cose di “altri tempi”, tutto preso com’era dalla voglia di raggiungere il traguardo della ricostruzione e del “miracolo” economico…Allora gli si poteva anche perdonare di avere chiamato “Itaker” (“Italianozzi”) i connazionali o anche “Spaghetti-fresser” (“Divoratori di spaghetti”). Più in là i tedeschi incominciavano essi stessi a perdere la testa per una spaghettata alla bolognese… I connazionali, dunque, quali co-artefici dell’ardua impresa della ricostruzione e del “miracolo” economico tedeschi. Formiche inesauste sui cantieri edili, nelle fabbriche e dovunque la manodopera (qualificata e non) poteva venire immessa nell’immenso mercato del lavoro, gl’italiani eccellevano fra tutti gli stranieri. Ma bisogna anche chiedersi: quante vittime fece tra i connazionali quel “miracolo2 tedesco e quante unità familiari andarono in frantumi durante la lunga, estenuante corsa contro il tempo richiesta dalla realizzazione del grande progetto? L’Italia ha indubbiamente un grande “debito storico” nei confronti degli emigrati dopo la seconda guerra mondiale. - “Cervelli” italiani – Il “miracolo” culturale – Sia quelli venuti alla chetichella assieme alle masse di operai sia gli altri aggiuntisi nelle decine di anni seguenti, i “cervelli” italiani facevano un altro “miracolo”, quello culturale. Un “miracolo” non dovuto a suggerimenti o azioni da parte di organi governativi italiani, ma unicamente allo spirito europeo ed alla iniziativa di quei “cervelli”. I quali, in molti anni di lavoro hanno compreso che anche la cultura è soggetta ad un’interdipendenza europea e mondiale; e che non si può fare cultura soltanto tenendo “alto il vessillo delle tradizioni e della lingua madre”. Il fatto che oggi in Germania si parli di “necessità di bilinguismo” necessario per le seconde e terze generazioni qui nate e dell’inytenzione di “aumentare l’offerta linguistica nelle scuole e, in particolare dell’italiano e dello spagnolo” è un buon segno. Il fatto che anche il console generale uscente di Colonia, Paolo Ducci, annunci una “trasformazione delle funzioni degli uffici consolari, i cui compiti precipui consisteranno nel rinnovare tra i nostri connazionali l’interesse per la cultura e la lingua italiana, mantenendo vivo il legame col nostro Paese”, tanto è consolante. Mentre moltissimi tedeschi imparano la lingua italiana e da decenni, la cultura italiana, ritenuta cosa a sé e non in simbiosi con la cultura tedesca – i vari istituti culturali hanno perso tempo -, è stata mantenuta viva ed incrementata dai “cervelli” succitati. Essi, tra ca. 480mila italiani qui rimasti, hanno “registrato” eventi italiani e tedeschi di mezzo secolo; hanno “fuso” le culture italiana e tedesca. N’è venuta fuori una nuova, interessante cultura, di sangue “doppio”. La Rep. Fed. Tedesca al suo 50° anno di esistenza è sempre stata tenuta d’occhio dai “cervelli”, che hanno vissuto assieme ad essa la storia di una nazione che riallacciava rapporti diplomatici col mondo; che viveva un turismo di massa che permetteva ai tedeschi di conoscere cose, persone ed eventi oltre lo steccato della frontiera della propria casa; che veniva sopraffatta da una grande ondata di liberalizzazione del sesso; che subiva mille traversie causate dal muro berlinese; che teneva fronte ad un nefasto terrorismo; che viveva sul chi va là ai moti del ’68; che faceva e fa fatica nella ricerca d’una identità nazionale dopo la riunificazione; che elaborava ed elabora in maniera indigesta un passato truce e fatale per il mondo intero; che era ed è afflitta da emarginazioni e persecuzioni di non tedeschi a causa di rigurgiti di radicalismo e di neonazismo; che, per finire, (lo spazio è tiranno e dobbiamo fermarci a questi fatti), è segnata da difficoltà socio-economico-finanziarie, alla pari di altri Paesi dell’UE. Ecco il mondo in cui sono vissuti i “cervelli” della nuova cultura, Linguisti, giornalisti, scrittori, poeti, pittori, scultori, registi, traduttori, docenti, medici, gente della Chiesa, direttori di grandi aziende, politici, sindacalisti ed altri sono tutti attivi nei circoli e negli istituti culturali, nelle redazioni di giornali ed emittenti qui creati, nelle università e nelle scuole. Italiani di sentimenti e d’intenzioni transnazionali sono dappertutto in Germania. Ed anche aperta all’Europa è la nuova Radio Europa che nella prima decade di maggio trasmetterà dalla città di Colonia in italiano ed in altre lingue, ogni giorno e per 24 ore cons3ecutive. La realizzazione dell’emittente è dovuta al dott. Gualtiero Zambonini, già direttore di Radio Colonia (rinvenuta in apertura), anch’egli immigrato giovanissimo. DISOCCUPAZIONE ITALIANA IN GERMANIA. Controluce. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, aprile 1999). ____________ “Cari connazionali, i profondi cambiamenti in corso nel mondo del lavoro – evidenzia Enzo Merlot, ambasciatore d’Italia – stanno inducendo le ditte ad assumere e mantenere personale sempre più qualificato. Le persone prive di formazione scolastica e professionale – avverte lui – rischiano perciò in misura maggiore che in passato di non trovare o di perdere un posto di lavoro…”. Nel prendere nota dell’”avvertimento” riportato dalla rivista italiana “Un Futuro” (Suggerimenti per le scelte professionali dei figli degli italiani), edita dalle autorità federali del collocamento, balzano agli occhi di ognuno l’importanza di un titolo di studio e le opportunità per il futuro dei giovanissimi connazionali che, come fa risaltare la succitata rivista, hanno anche bisogno di un aiuto spirituale e materiale da parte dei genitori. Essi sono tenuti a collaborare, anche e soprattutto in considerazione delle statistiche dell’inoccupazione degl’immigrati, tra i quali gli italiani - a tutto il 1998 – dimostrano di occupare il primo posto. Essi infatti detengono un primato del 31,8% della disoccupazione. Quattrocentomila italiani circa risiedono nella Repubblica Federale Tedesca: una cifra che, al cospetto dei settemilionitrecentomila immigrati appare non cospicua. Eppure, autorità sia tedesche che italiane s’interessano alla problematica italiana, confrontando per esempio l’alta percentuale della disoccupazione dei connazionali con quella degli immigrati turche: duemilionicinquecentomila con un solo 5% di occupazione! A che cosa è dovuta questa preoccupante differenza? Un esame particolare richiederebbe qui la stesura d’una enciclopedia. Certo è che non tutti i genitori italiani si preoccupano d’una zelante frequenza almeno delle scuole obbligatorie e le autorità tedesche ed italiane – è risaputo – non fanno altro che esortarli a condurre i figli a scuola. Molti connazionali della prima e seconda generazione d’immigrazione risultano poi loro stessi provvisti solo di una erudizione di due o tre classi elementari; così che essi non riescono a comprendere l’importanza della posizione critica dei loro figli nell’attuale, variabile ed esigente mondo del lavoro. Forse è anche questa molte volte la ragione per cui giovanissimi connazionali non rispondono agli inviti delle sedi consolari italiane che – assieme agli uffici ci collocamento – desiderano organizzare corsi di apprendistato e di specializzazione. Che i giovani connazionali vogliano lasciare salire l’attuale, vergognoso indice di disoccupazione? Questa nazione concede possibilità di progredire e di salvarsi; ma i genitori italiani non possono non sentire il campanello d’allarme, non possono restare ulteriormente a guardare. Sono finiti i tempi in cui si occupava la figliolanza nelle feste e nei ritrovi parrocchiali o anche sui campi di calcio, sognando magari degli allori di nuovi Maratona.
CONTROLUCE. LA DOPPIA CITTADINANZA. Gli stranieri fanno le spese d’una lotta tra partiti. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per “La Voce dell’emigrante”, febbraio ’99).
_________ Pian piano, tra politici che s’azzannano – gli uni contro gli altri sulla concessione di una doppia cittadinanza ai non tedeschi che da almeno otto anni risiedono qui – gli immigrati hanno l’impressione di venire contesi in una psicosi generale dell’’inforestieramento’ totale e di fine della pace nazionale. Brandelli di carne che mastini si litigano? Bisogna dire chiaramente che gli stranieri non hanno mai rivendicato coram populo una doppia cittadinanza e che chi di loro l’ha voluta, l’ha ottenuta nella sua privacy. Secondo informazioni attendibili, 196.000 turchi e 2.000.000 di immigrati di altre nazionalità sarebbero in possesso di un passaporto tedesco. Fin qui, nessuno dei tedeschi ha mai fatto osservazioni o protestato. Allora, perché tutto questo chiasso attorno agli stranieri? Perché si cerca di muovere acque torbide, di ripresentare la problematica di un “peso e pericolo” da parte degli stranieri? Perché viene indirettamente versato olio su un fuoco che si riteneva – almeno tra persone civili benpensanti – orami spento? Ricordiamo che tempo fa l’illustrato Stern si preoccupava anch’esso di ghetti di stranieri alla periferia, ma senza offrire alternative, soluzioni. Se i non tedeschi vengono ulteriormente chiamati “stranieri” e non turchi, italiani, spagnoli, ecc., si può comprendere bene come gli estremisti di destra – ed anche di sinistra – vengano indirettamente invogliati a dare addosso a quanti sono contribuenti alla pari di tedeschi e quindi hanno diritto di venire considerati concittadini. L’aggettivo “straniero” accanto al “concittadino” dovrebbe quindi essere roba di ieri per una società che si ritiene evoluta in ogni senso. Ma non è così. E questo spiega come proprio i partiti che si pregiano nelle loro sigle dell’aggettivo “cristiano” si servano degli immigrati, strumentalizzandoli per i propri fini politici. “Schnapsidee”?!? (Idea balorda, assurda?!?), si chiede un caricaturista tedesco. Per noi che abbiamo speso una vita di lavoro in Germania, allorché accade un fatto come il presente, andiamo alle radici di certi mali, constatando che, se esistono ancora oggi estremisti e razzisti, ciò è anche dovuto al fatto che molti politici hanno mancato di educare certe masse di popolo verso una convivenza civile. Se tanto fosse avvenuto, non esisterebbe anche ipocrisia tra certi banchi del Parlamento.
LA TRAGEDIA DEL KOSOVO.IL GENOCIDIO CONTINUA. (Attualità - Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, anno 48 n° 34, 5 settembre 1998).
________ Come nella guerra bosniaca, ci stiamo ormai abituando ad un crescendo di scene atroci e ripugnanti che si susseguono da mesi nel Kosovo. Ed è anche come nel caso della Bosnia che notiamo malcelate indifferenze e indecisione sia da parte della NATO che dell’ONU. E’ vero che di tanto in tanto i mass media registrano apparizioni di persone altolocate di mediatori. Vengono fatte promesse fasulle di aggiustamenti e di ripristino di pace (quale pace? Quella che le vittime dei serbi avevano prima delle purghe etniche?). Di pace parlarono i russi, allorché essi scesero sull’allora campo bosniaco, per poi restare dalla parte serba. E’ logico, come può la Russia mettersi contro i serbi che hanno dato loro un santo patrono? Sui Balcani la tragedia si protrasse per 4 anni e mezzo. Molto sangue, molti stupri anche di bimbi, moltissime gravidanze “di guerra”, profughi in massa. Se si considerano i dati del Commissariato dei Profughi sottoposto all’ONU, ai sopra 30 milioni di esseri in fuga per guerre, persecuzioni politiche, miseria, fame o rovine ambientali, dal 3 luglio 1991 al 12.10.1995 si aggiunsero 4,5 milioni di croati, serbi e bosniaci. Quasi una nazione di media intensità demografica. Ed ora vanno ad aggiungersi già più di 200 mila kosovari alla grande popolazione fuggente. La NATO vorrebbe dare una punizione severa alla Serbia, anche senza il consenso americano. Gli USA, da parte loro, rivolgono intimidazioni di un embargo che potrebbe significare una sofferenza maggiore per il popolo già sferzato. Ma gli americani non hanno recentemente affermato che gli embarghi hanno un fine controproducente?!? Si voleva e doveva passare ad un’arte diplomatica nuova, sanatrice. Invece, l’ultima notizia americana sull’”ibernazione” di quel mandato internazionale di arresto del 1996 per i “criminali di guerra” Radovan Karadzic e Radtko Mladic, che il Tribunale Penale Int. di Den Haag così definì, ci ha fatto pensare ancora una volta che qualcosa non funziona nel vecchio ingranaggio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Come viene ordinato di lasciare perdere i suddetti mandati di arresto, con la motivazione di non volere provocare possibili, ulteriori disordini militari? A noi sembra che l’ONU si stia arrendendo di fronte alle tracotanze ed ai genocidi serbi. Noi riteniamo che l’attuale duce serbo, Slobodan Milosevic, appunto perché i suoi predecessori possono rimanere impuniti, approfitta, con la tragedia kosovare, per realizzare il sogno d’una grande Serbia. E non è escluso ch’egli si senta forte anche dell’appoggio di molti fabbricanti di armi, in Europa e fuori del nostro continente. Unità militari di varie nazioni, preposte alla “salvaguardia della pace”, sapranno in breve assicurarci un futuro piùtranquillo? Autonomia ma niente indipendenza per il Kosovo? E’ l’ultima decisione da parte della NATO?
LO STRANIERO NELLA CAMPAGNA ELETTORALE TEDESCA. L’opinione. Attualità. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corrire d’Italia”, 25 luglio 1998). ____________ Benché la congiuntura si sia messa in moto, la tendenza della bancarotta, nella prima metà di questo anno, è ancora salita. Nei primi 4 mesi del 1998, infatti, si sono avute 11.607 insolvenze, pari al 9,4 % di più che nello stesso spazio di tempo dello scorso anno. Soprattutto piccole imprese, commercianti al minuto e piccoli esercenti – informa lo “Statistisches Bundesamt” – sono stati costretti a dichiarare fallimento.
In questo quadro poco confortante, anche il numero degli inoccupati sembra oscillare senza notevoli, rassicuranti cambiamenti. Da una parte 4 milioni e più di disoccupati, ufficialmente; dall’altra, 7 milioni e più di stranieri: una spina negli occhi di estremisti di destra in crescita soprattutto nei nuovi Länder, ma con tentacoli molto lunghi, tanto da toccare il Freistaast bavarese. Che questi estremisti riescano ad insediarsi nel prossimo settembre in Parlamento? Pare di sì, stando alle osservazioni fatte da parte di strateghi della politica. Svenimento, impotenza di tanti mandatari politici; poi, grida di scongiuro di alcuni, come ai tempi in cui si paventava il “pericolo comunista sovietico”…Un “deus ex machina” spunta fuori poi nella figura dell’ex presidente della Repubblica, Richard v.Weizsäcker, il quale, coraggioso, esorta: “Lasciamo che vengano, parliamo con loro e lasciamoli responsabilizzare” (gli estremisti di destra e di sinistra). “Fuori gli stranieri”: in questa arroventata atmosfera si riode l’imperativo: “Ausländer raus”. Molti politici cercano di minimizzare la cosa ma è evidente che il corso della politica per gli stranieri sta diventando aspro. DVU, NPD e Reps, estremisti di questa o quella tendenza che essi vogliano essere, non hanno nessun interesse né per il cittadino (che si straniero o no) né per il rispetto della sua dignità e dei suoi elementari diritti. Questo è noto a tutti. D’altro canto, quei partiti che si dichiarano democratici, quelli che sembrano cadere dalle nuvole ad ogni improvvisa (?) apparizione del mostro estremista, paiono di non sapere che esso sia nato nella zona grigia di ogni singolo partito. Comunque sia, lo straniero si ritrova al centro d’una campagna elettorale di cui potrebbe fare le spese. Attore già provato da tanti mali psicosomatici, lo straniero si accorge ancora una volta dell’inumana realtà: che molti parlano di lui e che quasi nessuno colloquia con lui. I “ROMPITUTTO”. L’opinione. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il Corriere d’Italia, 31 maggio 1997). _________________ Non li conoscete di nome? E’ comprensibile: la parola non appare in alcun dizionario. Eppure essi esistono assieme ai rompiscatole. Sono il prodotto della società post-industriale, proliferano e sono attivi in modo sbalorditivo. Si fanno noater poiché non producono utili ma danni, imbrattando pareti di edifici, tram e treni (fuori e all’interno), senza fermarsi nemmeno davanti ai cimiteri, dove essi sporcano e rovesciano lapidi. E poi mandano in frantumi vetrate di stazioncine di fermata, graffiano vetrine, insozzano segnali stradali, rivoltano panchine, lanciano sassi (e massi) dall’alto di cavalcavia… Potremmo continuare con l’elencazione di atti di delinquenza, dato che i “rompitutto” sembrano scoprire ogni giorno un nuovo bersaglio per placare la loro rabbia distruttiva all’esterno. Interiormente, poi, essi si devastano anche con droghe ed alcool. Perché questa paurosa voglia di calpestare norme di vita civica e civile, e di autodistruzione? Per il gusto di vedere andare in rovina qualcosa; di dimostrare a se stessi che ci si sa affermare; che si gode adirando e lasciando soffrire il prossimo, o che ci si ribella principalmente contro un mondo che con la disoccupazione ha tradito molte attese o perché mancano anche buoni esempi e grandi ideali? Comunque sia, di fronte alla libertà garantita da un sistema democratico ed al cospetto di tanta attività libertaria, ci sovvengono i doveri di guida da parte della famiglia, della scuola ed anche della politica. Eppoi, la prevenzione d’una manomissione di regole della società civile non è affidata anche agli uomini della legge? Non ci sembra che il marasma venga impedito. La libertà personale di cui si arrogano il diritto questi “rompitutto” non ha nulla a che fare con la libertà democratica. A noi pare che certe briglie debbano venire tirate, che molti debbano venire costretti a ridimensionarsi, affinché essi possano vivere assieme a quanti conoscono i loro doveri di civismo. E se i politici non hanno saputo motivare i “rompitutto”, a noi pare che debbano darsi da fare per porre riparo ai danni, evitando che la brava gente che paga le tasse sia costretta a vivere spaventata, assistendo tra l’altro ad uno scempio del demanio che lo Stato finanzia col denaro dei contribuenti. Ma non esistono soltanto “rompitutto”, che molti vorrebbero in parte scusare, attribuendo la causa delle loro prodezze anche ad un influsso malefico dei mass media…Ci accorgiamo infatti della presenza nella nostra società d’una massa di “storcilegge” che ogni giorno – nel nome della libertà democratica – si occupa di legalizzare crimini. E’ il caso di “avvocati del diavolo” che preparano documenti per la costituzione d’una associazione internazionale di gruppi di pedofili che desiderano difendere interessi commerciali con la diffusione di cassette porno via internet. Dopo i recenti, clamorosi scandali registrati in Belgio, con “scosse d’influenza telluriche” anche in altri paesi limitrofi, quei pedofili, che evidentemente ritengono sfruttamento e stupro di minorenni come una cosa legale, non sono altro che “rompitutto” per depravazione e amoralità, inciviltà e barbarie. E non ci meraviglieremmo se nell’andazzo, che si va gonfiando di giorno in giorno, anche la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta si facessero avanti per richiedere – sempre in nome della libertà democratica – di potere “operare” in regolari uffici e con tanto di targhe dorate all’ingresso. TRE “TIRA E MOLLA” (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 24 maggio 1997). _______________________ Uno. La recente notizia di un rientro dall’esilio di Vittorio Emanuele di Savoia e del figlio Emanuele Filiberto, dopo lunghi “tira e molla” tra commissioni della Camera, di Palazzo Madama e del Governo, sembra muovere un vero vespaio sulla penisola. Un problema politico questo ritorno in patria? Una nuova monarchia? “Piuttosto una rivisitazione storica, con questo rientro dei Savoia”, ribattono alcuni. E poi ci si mette anche lo storico Mack Smith a calmare ed esortare: “Fatelo rientrare (Vittorio). Non vale un granché”. Due. “Non solo un re, ma anche uno “zar” può divenire protagonista di un “tira e molla”. E’ il caso del convalescente Eltsin. “No, no e no!”, reitera lui, fissando gli occhi in un mondo che gli sembra sparire, allorché gli viene rinnovata la proposta d’una espansione della Nato. Militari e deterrente atomico davanti alla porta di casa?!. “Niet!”. Poi, quando apprendiamo che un’espansione della Nato costa miliardi di dollari, non ci sorprende più la irremovibilità di Eltsin, ma piuttosto il facile concedersi il lusso della grande spesa da parte delle Nazioni appartenenti alla Nato…Ci minaccia forse qualche pericolo di guerra? Vengono investiti tanti soldi per difenderci eventualmente dalla CSI (Comunità stati indipendenti ex URSS) che, come tutti sanno, sta smilitarizzando? Ma poi, russi & Co. non hanno mai condotto guerre contro nessuno. Allora, perché postazioni militari ed arsenali atomici fuori delle loro porte?! Non sarebbe meglio investire i miliardi di dollari per risolvere scottanti problemi che assillano le nazioni appartenenti alla Nato? Tre. La festa del primo maggio ci ha fatto pensare ad un altro “tira e molla” che milioni di lavoratori conducono tra politici e sindacati, da cent’anni. Oggi le cifre della disoccupazione documentano che politici e sindacalisti hanno perso da lungo tempo il dono d’individuare prospettive di lungo respiro. E siamo ai comizi della fest6a del primo maggio, che meglio sarebbe chiamare una celebrazione di cordoglio. Sparuto, il pubblico presente alle cascate di aprole. “Lavoro e uguali diritti per tutti…”Un atto di scherno? Nel “tira e molla” tra politici, sindacalisti e lavoratori, questi ultimi non hanno nemmeno più voglia di riempire di contributi le casse dei sindacati. Persa la fiducia in se stessi e verso il prossimo, il “tura e molla” a tre mani si dimostra un gioco abbastanza pericoloso. QUANDO LA MORALE VA IN VACANZA. DIRITTI UMANI E CLONAZIONI. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 6/13 aprile 1996). _______________________ Una sensazione di seconda classe quella della presenza alla recente Fiera di Hannover di uno stand per più di dieci nazioni, richiedenti il riconoscimento di diritti umani per l’orango, lo scimpanzè, il gorilla e il gibbone. Benché non abbiamo nulla contro queste scimmie antropomorfe, siamo afflitti dal fatto che l’uomo si occupa degli interessi degli animali, pur non essendo riuscito sinora a fare rispettare quelli propri. Ed è come dire: siamo umani con gli animali, anche se non lo siamo con noi stessi. Qui ci sovviene una società che sta andando a marcia indietro, che non insegna una qualità di vita, ma equivoca, tira dal cassetto una doppia morale, fa il gioco napoletano delle “tavolette”, reclamizza “il valore della massiccia cornice dorata”, nella quale una gigantesca iridescente bolla fa da paradiso per un ceto “modesto” (non possiamo chiamarlo più “medio”, poiché lo vediamo scivolare sempre più a valle, in direzione della povertà assoluta). La cornice, la cornice, la cornice; il contenuto, evidentemente, può essere uno qualsiasi: le tornate di calcio o i festival della musica. Dicevamo di equivocare su cose, fatti e significati, sicché soprattutto la gioventù sta vivendo un dramma. L’aumento della delinquenza giovanile è la testimonianza più sconsolante del disorientamento, alla cui origine sta una morale che non è solo doppia, ma triplice e quadrupla. E non si va avanti, benché la nostra libertà di pensiero e di azione ci sembri illimitata, nella sua amoralità, percepibile anche in un altro fenomeno, quello della clonazione. Benché ci vengano presentati, per il momento, solo campioni di animali geneticamente uguali e perfetti, siamo scossi da un brivido al pensiero che anche l’uomo – pur nella sua attuale faticosa crescita morale ed etica – possa un giorno divenire la copia d’una cellula capostipite; sano o malato, intelligente o ebete, buono o cattivo e sempre somigliante a migliaia e milioni della sua specie. L’uomo, il popolo, molti popoli, tutti stampati da “clonatori”, desiderosi di mostrare la potenza e la perfezione dell’essere umano. Tutti geni, dunque, tutti forti e sani, tutti comunque contrassegnati da un numero. Come potremmo altrimenti venire identificati se gli Antonio, i Luigi e le Marie fossero tutti simili gli uni agli altri, come venuti da uno stampo? Non potremmo venire chiamati, elogiati e rimproverati o puniti che solo tramite un numero, in una società costituita da numeri, validi anche per quelli della giustizia, della politica, della medicina, degli organi statali, ecc. Solo così, riconoscibili e impiegabili nella nuova società, nella quale però potremmo possedere una massificata intelligenza o stupidità, secondo il volere dei “creatori”. Oppure, un popolo o molti popoli potrebbero essere privi di energia, sfiancati, depressi, apatici, tanto da sottomettersi (ancora più di oggi) alle volontà colonialistiche dei più forti ed astuti. Qui la scienza sta scherzando con la morale e con l’etica, diciamo pure col fuoco. Essa sta costruendo una cornice attorno all’uomo in cui regna il vuoto. Per i problemi d’una convivenza planetaria spirituale, chiara, pacifica, produttiva e veramente morale ed etica viene fatto ben poco. L’impossibile, l’impellente ed il problematico, vengono accantonati sulla faccia della Terra, mentre si cerca di scoprire nell’alto, come se vi risiedesse la soluzione dei nostri problemi. Sotto il vessillo libertario della politica e dell’alta tecnologia, morale ed etica vengono relegate in un angolo solitudinale, dove masse popolari languono in assai lunga attesa. E se la società ed i suoi “tribuni” creassero presupposti necessari per una vera qualità di vita? Dunque, in nome di quale morale e di quale etica ci prendiamo tanta libertà? Il metro della libertà è cambiato sotto l’influsso di un’elite internazionale che, ingoiando il ceto medio, diventerà padrone, detterà leggi, strumentalizzerà ancora di più le masse impoverite? Ci tornano in mente le sequenze di un film su certi regnanti medievali che, dall’alto dei loro castelli, volendo calmare le folle protestanti contro il giro di vite per le tasse, incaricavano il giullare di annunciare ad alta voce tre giorni festivi. Allora la protesta si spegneva di colpo. E tutto andava a finire a tarallucci e vino. Oggi, festival e pallone, per le grandi masse popolari. BOIA DI IERI, BOIA DI OGGI. L’opinione. (Luigi Mosciàno, da Dormund, per il “Corriere d’Italia”, 4 marzo 1995). _________________ Un pensiero: “Non ci stancheremo mai di ripetere che un futuro felice della collettività mondiale dipende unicamente dal nostro guardare vedendo nell’interno delle cose, delle persone e dei fatti”. Leggendo l’opuscolo “Dei delitti e delle pene”, scritto nel 1762 dall’economista e letterato milanese Cesare Beccaria (Cesare Bonesana, marchese di Beccaria), ritenuto un assoluto precursore della lotta contro la pena di morte, quel pensiero rimasto sinora sulla nostra scrivania ci martella il cervello, più di sempre, soprattutto allorché il succitato autore afferma: “…La miseria e l’ignoranza devono essere considerate le uniche cause di delitti…”. Nella metà del XVIII secolo, l’Europa – come viene riferito – era afflitta da quote elevatissime di criminalità e le carceri erano affollatissime e i delinquenti – sempre secondo cronache del tempo – subivano innumerevoli, spietate condanne a morte, anche per leggere trasgressioni. In una “società” di potenti regnanti che tramite norme giuridiche vedevano stabiliti fini e principii di lotta contro il crimine in genere, dichiarando, senza esitare, pericolose azioni umane quali delitti efferati e regolando svere pene e misure di provvedimento, un libro come quello di Cesare Beccarla, il quale chiedeva l’abolizione della pena capitale ed una reintegrazione sociale dei condannati, non poteva che generare risentimenti, bollori e caos. Una scossa tellurica, quindi, quel libro che finiva all”index, come per garantire il buon sonno dei regnanti… Nonostante la “congiura” nei confronti dell’autore, il suo messaggio raggiungeva lo spirito di alcuni “illuminati” tra i quali figurava il duca della Toscana. Egli finiva infatti per proibire le esecuzioni. Peccato che i fautori della Rivoluzione Francese, divampata sanguinariamente, non tenevano evidentemente conto del libro del Beccarla. Il boia della ghigliottina, della mannaia, della forca, della corda d’impiccagione, del rogo, delle camere a gas e dei megaforni crematori, del colpo alla nuca e della siringa di “grazia”, come pure della sedia elettrica, si susseguivano tristi, alteri e coscienti del proprio impareggiabile mestiere, sempre nel nome della “difesa” degli interessi del singolo cittadino e della società – proprio per una trasformazione della vita sociale e per assicurare la pace ? Sia nella lotta per la salvaguardia dei diritti umani, quelli ancorati dal 1948 nella “Charta” dell’ONU – ma tuttora risultanti inesistenti in molti Paesi della terra o calpestati in altri, per quanto vi appaiano bagliori di democrazia – sia nella guerra avverso la criminalità spicciola e crescente della giornata, l’uomo non sa che pesci prendere. Il politico che dovrebbe avere il compito di condurre si rimette spesse volte nelle mani dei giudici. E si dice che andare avanti ai giudici significa molte volte come implorare grazie in alto mare… Allora, proprio per il fine di volere essere o apparire equanime ed umano, ma non riuscendo a frenare la marea della criminalità in aumento sulla terra, l’uomo va perfezionando sempre più i suoi fini e sistemi di contrattacco e di applicazione di pena. Sicché, nonostante il predicato rispetto per l’uomo e e per la sua vita, il prossimo che siede ai pulsanti del comando, ordina torture e condanne a maorte, anche oggi, in ben 110 Stati del globo. Le statistiche di “Amnesty International” non mentono. Gente dell’opposizione o appartenenti a minoranze etniche - che siano curde, indiane, negre, rom e sinte – sono vittime di esecuzione che avvengono senza una sentenza di tribunale. In 106 stati, la pena di morte risulta ancorata nelle rispettive costituzioni. Nel 1992, apprendiamo, ebbero luogo 1.708 esecuzioni, di cui l’82% nella Cina Popolare e nell’Iran. Negli USA, poi, furono giustiziate 31 persone. E’, questa, una cifra assai elevata di giustiziati, a partire dall’anno 1977, anno della “ripresa” delle esecuzioni… Ciò che però più preoccupa è la notizia recente di un’esecuzione prossima nello Stato dell’Ohio. Essa verrà teletrasmessa in diretta. Un giudice: “Facciamo così, affinché il pubblico si renda conto che delinquenti vengono puniti e giustiziati in ogni caso e subito”. Anche dallo Stato di New York, in cui la pena capitale era stata cancellata nel 1963, ci giunge notizia di una “ripresa” di esecuzioni per mezzo di iniezioni di veleno… L’unica nuova che apparentemente contiene una speranza di atti umani più ripensati e ridimensionati, pur toccando la vetusta discussione su un argomento controverso: scienziati americani sarebbero convinti del fatto che un comportamento umano aggressivo deriverebbe da un gene presente nelle disposizioni ereditarie. Un tale gene – secondo il prof. Greg Carey – potrebbe essere individuato già nella fase iniziale di un feto…Dunque, potrebbe e dovrebbe, uno scienziato intervenire al fine di evitare la nascita di altri possibili esseri del delitto? L’OLOCAUSTO NON SI PUO’ CANCELLARE. Ricorre lo spettro dell’antisemitismo in Europa. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 23 aprile 1994). ____________________ Il film “L’Olocausto” scosse anni fa i nostri animi, con autentiche immagini di torture, eliminazioni di massa di vite umane, rapine di organi ed oggetti appartenenti a milioni di morti e scempio di cadaveri. Pietà nostra, ieri e oggi, per le vittime; pietà per quanti non conobbero pietà, come pure per tutti coloro che hanno fatto finta di ignorare. Abbiamo un compito: dobbiamo risvegliare la memoria nei giovani, ai quali, in seno alle famiglie, alle scuole ed alle università, è stato riferito ben poco o niente della pesante tragedia causata dalla seconda guerra mondiale. E se oggi moltissimi giovani giungono anche a negare l’esistenza di quei campi di concentramento e sterminio, fatali non solo per il popolo ebreo ma anche per molti italiani ed altri europei, ben vengano altri film per documentarci, quali “Triumph des Geistes” e “Schindler’s List”, in questi giorni di nuove manifestazioni neonaziste e neofasciste, conflitti etnici e discordie sociali. “Jeder fünfte Deutsche gegen Juden” è la notizia che riempie i giornali in questi giorni. I tedeschi (il 20% di essi) sarebbero dell’opinione che gli ebrei avrebbero troppo peso in seno alla società tedesca e che essi non sarebbero desiderabili come vicini di casa. Lo spettro dell’antisemitismo ghigna nuovamente, attesta uno studio dell’America Jewish Committee (AJC), mentre in una trasmissione televisiva, in diretta da Mosca, ascoltiamo gruppi di nazionalisti, alleati di Zhirinovskij inveire in direzione degli ebrei: “VALIGIE, STAZIONE, VIA!”. In questo atmosfera diventa appropriata ed attuale l’intervista fatta ad Armando Delli Paoli, nato il 21 ottobre 1920 a Sessa Cilento (Salerno), ex reduce di Dachau, numero di matricola 54601. “Come andò a finire?” “Ero di sinistra…Mi ritrovai, come in un incubo, su un treno affollatissimo in partenza per Innsbruck. Partito da Verona, il treno raggiunse l’Austria e di lì venni trasportato a Dachau. In un mattino pieno di nevischio, mi misi in fila sullo spiazzale del campo di concentramento, dove si trovavano migliaia di persone, in attesa dell’appello. Poiché mi avevano tolto di dosso la divisa ed il cappotto, indossavo ciò che mi avevano consegnato: un paltò a strisce e, con gli zoccoli ai piedi, morivo di freddo. Il mio nome venne chiamato dopo molte ore di attesa. Quindi, assieme al altri venivo indirizzato verso il blocco numero 25. Prima di fare ingresso nella baracca riservataci, dovemmo toglierci gli zoccoli e deporli su un mucchio vicino alla porta, già sotterrati dalla neve. Nella baracca si trovavano circa 400 persone e non tardai a riconoscere le fisionomie di molti italiani che, come gli altri, erano distesi su panche consumate o stavano in piedi, pigiati tra gli altri. Non posso dimenticare che in quella baracca notai esseri umani che mi sembrarono quasi prossimi a spirare…”. “Come si sviluppò la situazione?”. “Il mattino dopo ci fecero uscire sullo spiazzale. Di nuovo l’appello e poi ci diedero da bere del tè nella baracca. Questa abitudine si ripeteva ogni giorno per me che potevo rimanere sul campo, mentre quasi tutti, esclusi gli infermi, erano costretti a salire quotidianamente su camion, con gli strumenti di lavoro sulle spalle magre e ricurve”. “E lei riceveva un trattamento speciale?” “Mi avevano assegnato il compito delle pulizie sia in cucina sia nell’ambulatorio”. “E di quegli italiani cui Lei ha accennato, ha potuto conoscerne qualcuno?”. “Si. Strinsi amicizia con don Giovanni Fortin ch’era di Padova. E con don Carlo Marziano che avevo notato al mio arrivo: era disteso su una panca col viso sanguinante. Ricordo che nessuno lo aiutava e che io, d’istinto, volevo farlo e che lui mi pregava “Lasciami, lasciami, puoi rischiare…”. Col tempo feci amicizia anche con altri italiani, tra i quali – come venni a sapere – si trovavano anche ufficiali di alto grado”. “Poteva conversare liberamente?”. “Approfittava di momenti di assenza delle guardie; poi, facendo la spola tra cucina ed ambulatorio, avevo più di ogni altro la possibilità di scambiare una parola”. “Ha subito torti, sevizie?”. No. Però, siccome “mettevo da parte” ogni settimana un filone di pane, per spartirlo con i “compagni di sofferenza”, i miei “furti” vennero scoperti e fui perciò frustato a sangue. Ma poi, grazie a Dio, venni riammesso al mio solito lavoro”. “Vi furono esecuzioni?”. “A me, addetto alle pulizie, era possibile girare tra il personale della cucina e quello dell’ambulatorio; e qualcuno mi faceva capire, con gesti, che aveva avuto luogo 2un’altra esecuzione” di persone che avevano tentato di fuggire…”. “Come si sentiva Lei?”. “Mi ritenevo un privilegiato per il lavoro assegnatomi. Ciò attenuava il mio stress. Al momento dell’internamento ero in buone condizioni fisiche; ma, dopo un anno e mezzo, da uomo basso di statura e tarchiato, ero divenuto debole e pesavo solo 38 chili! Gli altri italiani che non potevano approfittare come me di qualche resto in cucina, erano divenuti solo “pelle e ossa”. “Come riuscì a salvarsi?”. “Ero stato condannato anch’io. Il mio nome si trovava su una lista di migliaia di persone che dovevano venire deportate verso destinazione ignota. Eravamo adunati sullo spiazzale del campo e ricordo che uno dei tanti, tirandomi indietro per il camice, prese fulmineo il mio posto, chissà, pensando forse che gli adunati dovessero venire posti in libertà…Alla partenza di tutti, mi resi conto di essere incorso nel pericolo di venire fucilato per sostituzione di persona!”. “Rimase a Dachau e si salvò?” “Si, proprio così, perché già si avvicinavano le truppe di liberazione e io e tanti altri sopravvissuti venivamo “disinfestati” nel lazzaretto americano, dove rimasi circa un mese. Poi mi misi in viaggio per tornare in Italia, approfittando di un posticino tra il bestiame che si trovava in un vagone merci”. “C’erano altri italiani sopravvissuti?”. “Si, alcuni. Uno di essi era Luigi Bruno, nativo di Ischia. Lo vado a trovare molto spesso”. “Tornato in Italia, fu indennizzato per la prigionia a Dachau?”. “No”. “Perché è ritornato in Germania nel 1969? I tedeschi non rappresentavano per Lei un brutto ricordo?”. “In Italia non guadagnavo abbastanza. La mia famiglia numerosa: sei figli…Poi era morta mia moglie e pensai di venire a lavorare in Germania. Oggi i miei figli sono tutti ben sistemati”. “Si è recato qualche volta a visitare Dachau?”. “No, non ancora. Lo farò non appena riceverò la pensione tedesca. So già che proverò una grande emozione. Tuttavia vorrò portare fiori ai compagni rimasti vittime delle atrocità dei nazisti”. “La tormentano i ricordi?”. “Solo la fede mi aiutò a sopportare tutte le privazioni e le sofferenze, e solo Dio m’infonde forza e coraggio per ricordare gli anni di Dachau. Perché Dachau non si può cancellare del tutto dalla memoria, nemmeno dopo decine di anni”. L’ANOMALIA SVIZZERA – L’opinione – (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 16 aprile 1994). ______________________ 371 milioni di abitanti, un prodotto sociale lordo di 6,8 bilioni di dollari: l’Unione Europea, una superpotenza economica. L’uno gennaio 1995, allorché Austria, Svezia, Finlandia e Norvegia renderanno più grande la corona di stelle sul fondo blu della bandiera “unitaria”, potranno gli uniti mostrare i loro muscoli alla “zona di libero scambio” rappresentata dagli USA, dal Canada e dal Messico? Possiamo riposare sugli allori o i dati statistici vogliono avere solo la proprietà di solleticarci in queste giornate di incertezze, discordie civili, rivendicazioni d’identità, aggressivi nazionalismi, purghe etniche e disoccupazione di masse di popoli in continente? L’UE sta diventando idrocefala o piuttosto una benefica “mamma dalle mille mani”?. Ricordiamo brevemente: Italia, Germania, Francia ed i Paesi del Benelux sottoscrissero a Roma, nel 1957, per l’EWG e l’EURATOM i trattati che entrarono in vigore l’1 gennaio dell’anno dopo. Le trattative intraprese nel 1961 con Inghilterra ed i primi approcci avuti, nello stesso anno, con Norvegia, Danimarca, Irlanda e Portogallo produssero le prime scosse e finirono in acqua nel 1963…Lotta di pretese e condizioni: ognuno nel suo egoistico tentativo di puntare la forchetta, già allora, sull’unico salsicciotto che si trovava nel piatto …Soprattutto gli inglesi torcevano di continuo il naso, pretendendo un trattamento speciale, forse dato i guanti (gialli) coi quali essi si sono sempre ritenuti educati – anche nell’indisponente gesto di volere sputare, molto spesso, sul piatto rinvenuto… Così, dopo lunghe estenuanti trattative, avendo presentato nel 1972 una seconda richiesta di adesione, Inghilterra, Irlanda e Danimarca divenivano paesi “comunitari”. La Norvegia, nello stesso anno, non voleva pronunciarsi. La Grecia diveniva la decima “stella” della corona comunitaria, nel 1981; mentre Spagna e Portogallo si “univano” nel 1986. Dodici le stelle auree della corona europea, allorché, sempre nel 1986, la Comunità Europea definiva il programma di uno “sconfinato” mercato interno e quindi veniva sottoscritto l’Atto unitario europeo. Nel 1989, poi, Austria e Svezia richiedevano di accedere alla Comunità. La stesa cosa facevano la Svezia nel 1991 e la Finlandia e la Norvegia nel 1992. Facevano seguito Turchia, Cipro e Malta. E la Svizzera? chiederà qualcuno. Nell’estate del 1992 richiedeva anch’essa di venire accolta nella Comunità. Poi i confederati si distanziavano dall’”Atto unitario europeo” e dallo “Spazio economico europeo”. Una Svizzera che vive ed opera nell’Europa, traendone anche altissimi profitti; una Svizzera partecipante all’esistenza d’una potenza economica mondiale, desidera troneggiare come un pavone sulla groppa di un mastodontico mammifero? Mentre nel febbraio dell’anno scorso venivano ripresi colloqui con l’Austria, Svezia e Finlandia (e nel mese di aprile con la Norvegia), molti si ponevano ancora una volta la domanda sulla posizione anacronistica degli svizzeri. Sintomatico il comportamento, nel marzo scorso, d’un Austria che vuole accedere ma che guarda ai propri interessi ambientali (è poi recentissima la notizia d’una agitazione dell’élite culturale austriaca, preoccupata di poter perdere – con l’entrata nell’UE, “austracismen”, cioè antichissime singolarità del linguaggio d’uso): come pure d’una Norvegia, gelosa delle sue ricche risorse di pesca… L’Europa unita, una “mamma dalle mille mani”…Investire poco o niente e trarre profitti è il sogno di molti Paesi “uniti” e di altri in attesa. Verrà un’Unione Europea di alcune decine di Stati? Avremo alcune corone di stelle auree su fondo blu? E resta sempre l’interrogativo sui “neutrali” confederati svizzeri. Ci rendiamo conto del fatto che un’appartenenza all’UE significa non solo un duro impegno finanziario, ma soprattutto un condizionamento verso una politica aperta, democratica, fatta di solidarietà, rinunce e compromessi. Ed a questo punto ci sovvengono grandi capitalisti che vogliono che la Svizzera mantenga loro – intatto e intangibile – quell’ormai leggendario altare del dio degli utili. Ma fino a quando? E se un giorno il Lussemburgo si rivelasse finanziariamente più allettante della Terra di Wilhelm Tell? L’EPOCA AUREA DELLA CINA. A Dortmund esposizione di opere d’arte della dinastia Tang. Ideata e realizzata dall’”Initiativkreis Ruhrgerbiet” assieme alla “Kultur und Projekte Dortmund”, questa esposizione merita molte lodi, di cui una va alla direzione del “Museum am Ostwall” per la raffinatezza della disposizione degli oggetti. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 4 settembre 1993). __________ Eclatante il successo riscosso tre anni fa da una mostra di “guerrieri di terracotta” nel Museum am Ostwall”. I reperti provenivano dall’antichissima capitale cinese, Chang’an, oggi chiamata Xi’an. Con essa, Dortmund – dopo molti ripensamenti a causa della precaria situazione d’internati politici di cui s’interessa Amnesty International – strinse nel 1991 un gemellaggio e conseguentemente venne messa in pratica l’idea d’una nuova esposizione di preziosità archeologiche, sempre reperite nela città di Xi’an. E’ recente la notizia che anche centinaia di figure muliebri in terracotta sono state portate alla luce sempre nell’antichissima capitale; ed anche di recente la stampa internazionale ha riferito che i cinesi hanno intenzione di avviare un “turismo del sesso”, sul modello tailandese. Esportazione di cultura, apertura verso il mondo occidentale, ad ogni costo? - La dinastia Tang – 26 tonnellate di materiale archeologico, assicurato per un valore di 32 milioni di dollari, si trovano a Dortmund. I reperti, di cui alcuni hanno lasciato per la prima volta il territorio cinese, sono esposti in tre sale di nuova costruzione, nel “Museum für Kunst und Kulturgeschichte”. Incomparabili per valore e bellezza d’arte, essi sono veri e propri “monumenti del potere e dell’immortalità” di quella “dinastia Tang” che, 618-907 d.C., impresse la propria impronta ad un’”epoca aurea della Cina”.
Un granitico sarcofago – pesa 18 tonnellate – quello di Li Shou, un nipote dell’imperatore capostipite, è in verità un monumento impressionante, dalla forma di uno dei palazzi aristocratici “Tang”, ricco di bassorilievi, in cui appaiono profusi coscienza artistica, sentimento religioso e senso politico del potere. Glorioso, di fascino perenne può venire definito quel mito aleggiante tra gli oggetti esposti, appartenenti a quella dinastia, definita della “pace interiore”, dinastia dotata di “un sistema amministrativo ben ordinato” e soprattutto “ricca di rapporti commerciali abbastanza solidi ed estesi”. Di fronte a questa esposizione sovviene quella fioritura culturale che, appunto animata dalla dinastia in questione, si protrasse per tre secoli, fissando una sorta di pietra miliare nell’ordine sociale, politico e artistico-culturale della Cina. Si dice che essa non ebbe mai più nella sua storia uno sviluppo tanto variegato e profondo. Magnificenza, eleganza di stile, sentimento di vita e religione: tutto questo è percepibile nell’osservare la cassapanca del tesoro imperiale, le figurine di barbuti capi, di carovane, reliquiari, i vasi di ceramica, il vasellame d’oro, i piatti di porcellana, i vasi9 d’argento con fine ornamento ed eccellente cesellatura, le sete ed i broccati, come anche torsi muliebri in marmo o semplici figure di buddisti “guardiani”. Da non dimenticare certi aristocratici ma anche mostruosi bronzei battenti di porte, scelti quale simbolo della mostra e decorati – su fondo blu reale – prospetti e cartelloni pubblicitari. Il misticismo della sublime cultura buddistica pervade anche espressioni di scultura e pittura, nelle quali spicca un “chiaro e perfetto tratto di linee”, assieme ad una volontà di un racconto minuzioso e strabiliante, da tramandare ai posteri. I rapporti col mondo occidentale erano vari ed intensi. Sulla strada “della seta” allora percorsa da carovanieri provvisti di merci di lusso, da monaci, artigiani, artisti e scienziati, avveniva un grande scambio d’idee tra gente di ogni colore di pelle, razza e religione. E la Cina era un crogiolo: aperta al mondo, produttiva, spinta verso la costruzione di un qualcosa di duraturo per se stessa e per il prossimo; ad una coscienza filosofica pratica: l’uomo che non solo consuma ma anche idee, assiomi e cose concrete. Quella via, nel secolo 19.mo chiamata della “seta”, sarà simbolicamente anche la “via dell’apertura” odierna da parte della Cina verso il mondo occidentale. Il battente della porta preso come simbolo dell’esposizione indica che uno deve bussare. Sarà prima la Cina a farlo o noi occidentali? La Cina si apre agli influssi del nostro mondo povero di mitologia e religione? Allora, le querele del Dalai Lama che dal 1959 lotta per l’indipendenza del Tibet avranno una fine? E gl’internati politici saranno messi in libertà? Filosofia pratica e ragionevole modo di vivere acquistano terreno tra i cinesi che, all’inizio del 21.mo secolo, saranno un miliardo virgola cinque? L’esposizione insegna che il prossimo secolo pone sia ai cinesi che a noi una sfida: quella di “crescere” insieme, spiritualmente ed economicamente. (Dal 22 agosto al 21 novembre 1993, la mostra “Chinas Goldenes Zeitalter” presso il Museum für Kunst und Kulturgeschichte, Königswall 14, Dormund). L'UMANIZZAZIONE DELLA TECNOLOGIA. A DORTMUND UN SINGOLARE ESPERIMENTO D’ARTE (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 25 dicembre 1993) ___________________ Un luogo insolito: la vecchia miniera “Minister Stein”, esistente dal 1872 in Dortmund-Eving. Un podio per la discussione era allestito alle ore 15 del 5 dicembre e le numerose personalità convenute facevano capannello in attesa di poter salutare due artisti di fama internazionale: Magdalena Jetelová e Fabrizio Plessi, designati, già nel settembre di quest’anno, professori ospiti, col compito della realizzazione di un singolare progetto modello, un’”Accademia temporanea”. Magdalena Jetelová è di origine ceca ed insegna tra l’altro alla “Staatliche Kunstakademie” di Düsseldorf, mentre Fabrizio Plessi, noto per la sua “Umanizzazione della tecnologia”, ha una cattedra presso la “Kunsthochschule für Medien” a Colonia. Le esposizioni internazionali dei due artisti vengono riportate dai più importanti cataloghi di arte contemporanea. Dunque si voleva discutere sui risultati del progetto, allorché si spandeva la notizia di un’improvvisa partenza del Plessi “andato” urgentemente in Italia, a votare contro i fascisti… Non rimaneva altro che ascoltare, anche in assenza dell’artista reggio-emiliano, di un esperimento condotto da lui e dalla Jetelová, dal 15 settembre al 15 ottobre, assieme a 30 studenti di 7 diversi istituti superiori del Nordreno-Westfalia, sia nella diroccata miniera sia in un carbonile sito in Dortmund-Deusen. Già appena dopo la chiusura dell’esperimento, venivano esposti i lavori dei trenta “allievi”, come anche nel “Museum am Ostwall”, fino al 5 dicembre scorso. Ma in che cosa consisteva l’esperimento: negli spazi della miniera e del carbonile, con le loro storie, le loro funzioni di una volta, con il loro significato sociale ed il loro futuro incerto, i due professori ospiti trovavano, assieme ai 30 studenti, ideali condizioni per la realizzazione dell’”Accademia temporanea”. Per spiegare tutto ciò, dobbiamo premettere che la Jetelová, volendo espandere il campo della scultura classica, impiega la tecnica del laser e dei sensori; mentre il Plessi crea sculture – definite monumentali – facendo uso delle videografie di materiali allo stato naturale. I due artisti, quindi, si servono di cosiddetti “nuovi media”. Questi venivano trasferiti in una miniera ed in un carbonile, ritenuti luoghi residui di una cultura industriale. Ed il fine di tutto ciò? Luoghi “relitto”, quali sono in questo caso la miniera di Dortmund-Eving ed il carbonile di Dortmund-Deusen (in prossimità di esso sono impressionanti le abitazioni inclinate, contratte e piene di crepe, per l’abbassamento della miniera) possono venire riutilizzati sotto un altro aspetto, evitando così quella che le autorità definiscono una minacciosa perdita dell’identità della Regione. La quale attraversa visibilmente un interessante processo di passaggio da Regione notoriamente tipica dell’industria pesante ad una delle “prestazioni” caratterizzate dalla High-tech. Sfruttare tutte le possibilità di cambiamento delle date condizioni storiche, funzionali e di spazio: era questo il tema dell’”Accademia temporanea”. Le sue concezioni e realizzazioni volevano essere del tutto nuove: essa voleva raggiungere – e ci è riuscita, secondo il giudizio di esperti della cultura e dell’arte – una “visualizzazione”, secondo vari strati di significato, dei luoghi prescelti.
All’inizio dell’ esperimento, qualcuno riferiva di un “incremento dell’arte in una miniera”. Il team dell’”Accademia” dimostrava concretamente che l’arte, in entusiasmante simbiosi con i “nuovi media”, poteva raggiungere nuove mete di9 creazione e d’innovazione per l’imprenditoria del Ruhrgebiet . Il cui cambiamento di faccia, economicamente come anche socio-culturalmente, sottintende una reintegrazione di costruzioni “residuo” in quartieri “viventi”. Rinnovamento e fusione quindi. Un esperimento singolare e produttivo, quello compiuto – nel breve tempo di 4 settimane – dall’”Accademia temporanea”. DA NORDICO TRA GLI SPAGNOLI “GENUINI”. (Luigi Mosciàno, dalla Spagna, per il “Corriere d’Italia”, ottobre 1992). __________ Turbolenze durante il volo ed in vista della regione di Almeria – che è parte dell’Andalusia – pianure e colline mi appaiono riarse ed i letti dei fiumi sono asciutti. Andalusia di fine estate – almeno secondo il calendario - ed offerta per “Last Minute”. Penso alle tradizioni di una terra di balli e canti originali; penso ad un vino sapiente, a frutta esotica, ad una pesca gustosa e mi sovvengono le spiagge e la neve, le montagne e le pianure, l’arte e la cultura d’una regione, che già conosco: piena di calore ed anche di freddo, grande generosa ed ospitale. Atterraggio non “soffice” nei pressi di Almeria e quindi direzione “Roquetas de Mar”. Tra una lunga estate di caldo afoso ed il repentino passaggio alle nebbie ed al fresco settembrino in Germania, questo volo verso un altro mondo significa rigenerarsi per le stagioni prossime. Il bagnino Antonio mi dice che gli italiani, nell’ultima settimana, occuparono tutta una fila di ombrelloni. “Crisi in profondità”, confessa poi lui, “la situazione sociale, politica ed economica è entrata in una fase tanto critica da richiedere una consulta dell’elettorato per possibili ed alternative soluzioni”. Sapore di sale, come anche di fronte al mare che qui è senza scogli, infinito, scosso da forti correnti, impetuoso, aggressivo e ruggente. Ma questo mare sa essere anche ammaliante, sussurrante di buone notizie, col suo spettacolo sempre nuovo: un mare che si lascia amare solo da chi lo conosce e lo sente interiormente. “La libertà, che noi riconquistammo dopo lunghi anni di guerra civile”, afferma un tassista, “la dobbiamo difendere a denti stretti”. E poi, spontaneamente, sul problema dei profughi jugoslavi: “Noi spagnoli sembriamo avere dimenticato che noi stessi – sotto la guerra di Franco venimmo, quali sfollati politici, accolti dalla ex Unione Sovietica e dai paesi del Sud America”. “La nostra solidarietà - prosegue – è praticamente nulla nei confronti dei profughi jugoslavi!”. Oltre agli italiani, spagnoli e francesi che visitano la Costa di Almeria e l’Andalusia, sono i tedeschi a primeggiare tra turisti olandesi, belgi ed inglesi. Sempre i tedeschi risultano i migliori investitori di capitali nel settore della gastronomia, come pure i migliori esportatori di “oben ohne” in tutte le forme e dimensioni. E proprio donne di una certa bellezza sfiorita sembrano volere mostrare i personali “attributi” abbastanza “afflosciati”…Gli abbronzanti vengono usati “a chili”. Vecchie e laide, giovani e leggiadre: è una corsa sulla passerella della celebrità fugace d’una estate; è un andirivieni sulla battigia di ghiaia fine, e non di soffice chiara sabbia come lungo il mare Adriatico. Dunque a Roquetas del Mar che si estende tra la zona occidentale della fine del Golfo di Almeria ed il Sud della Sierra di Grador, a 19 chilometri da Almeria che dà il nome a questa costa dell’Andalusia, il turismo di massa non ha ancora distrutto la sostanza delle tradizioni e delle bellezze naturali. A parte alcuni complessi hotelieri di rango, pare che tutto sia rimasto casalingo, invitante, spontaneo, gentile e sincero come il parlare “cantilenando” di questo popolo, erede di molte culture; le cui orme, soprattutto quelle arabe, possono venire riscontrate sia nelle costruzioni vecchie sia nelle recenti; sulle loro facciate si avvertono movimento, inventiva di composizione ed ingegno nell’associare figure geometriche e nella sovrapposizione di blocchi che finiscono in terrazze, su molte delle quali troneggiano cupole.
E dovunque riflette la luminosità solare tagliente , quel bianco della calce che riveste i muri e ricorda il paesaggio arabo. Clima subtropicale, caldo ed asciutto anche a metà settembre. High-tech, cemento e vetro, società frettolosa e scadenze non sembrano di questo mondo; e sotto le palme del lungomare o sotto gli ombrelloni di fibra naturale, col ciuffetto sulla punta e di color verde smeraldo, si parla senza agitazione e si vive tra il celeste del mare e del cielo, ma anche tra i rosa e il verde pallido di ville con torrette e cupolette, simili a moschee; paesaggio fiabesco, esotico per il turista nordico. Non c’è bisogno di recarsi al Centro Astronomico ispano-tedesco per osservare, col più grande telescopio esistente in Europa, quanto sia bella questa costa che è una porta della Spagna e del nostro continente verso quello africano. Estroverso e gioviale, aperto a spazi senza frontiere, chiacchierino ed allegro, il popolo Andaluso cerca l’incontro casuale. Spirito aperto e cosmopolita quello che aleggia sulla Costa di Almeria, vecchia di 10 mila anni. I romani la denominarono “Portus magnus” del Mediterraneo. E gli arabi del secolo X resero l’Almeria capitale della costa e centro più importante della Spagna musulmana. Dovunque reminiscenze arabe, quale la “Alcazaba”, fortezza imponente costruita appunto dai mori nella città di Almeria; ma sono tanti i monumenti che testimoniano la grandezza della storia della “Costa” dell’Andalusia, nella quale ci si vanta di parlare la lingua spagnola “pura”, quella che non viene parlata né a Barcellona né a Madrid…ma nell’Andalusia si è fieri soprattutto di essere spagnoli “genuini”, poiché fu qui che nacque la storia della Spagna, e si pensi a Granata e Cordoba… L’Andalusia che offre un turismo marino e montano, vanta un artigianato della ceramica, del vimine, del tessile, del marmo e della pesca. Golf, windsurf, tennis, caccia e pesca rappresentano le maggiori attivitàrichieste dai turisti. Ma gli andalusi sono più interessati a far conoscere per esempio la “Alpujarra”che è il balcone dell’Andalusia e che i mori detennero come regno definitivo sula penisola iberica. Aranceti, ceramica e produzioni di vasi di terracotta. Coste e spiagge, “Cowboy-Ronte” verso la zona della “Tabernas”, dove Sergio Leone ed altri famosi lasciarono “nascere” i più noti film western del mondo. Ma l’Andalusia non sembra poter vivere solo di turismo che ha luogo nei grandi centri balneari. Nell’hinterland Andaluso è già in atto un “turismo rurale”, praticato sul dorso dei cavalli… Il 20 % del territorio Andaluso – come apprendo dalla stampa locale – è stato dichiarato parco naturale. Gli andalusi, comunità autonoma, vogliono far conoscere un ambiente sano e tradizioni centenarie che vanno oltre il conosciuto “flamenco”. Il turismo, sulla Costa di Almeria e nell’Andalusia, porterà uno sviluppo con un inquinamento dell’ambiente, con un depauperamento dei valori tradizionali? Sempre dalla stampa locale apprendo che più del 36 % della popolazione Andalusa vive in povertà e che 14 mila famiglie dell’Andalusia soffrono la fame secondo un rapporto stilato da esperti dell’Università di Granata e Malaga. A questo punto, gli stessi spagnoli si chiedono: porterà il trattato di Maastricht una soluzione anche per i problemi della Spagna? Se quel trattato richiede – e lo sanno tutti – necessarie correzioni e urgenti adattamenti, perché non bloccarlo? Vogliamo servircene senza sentire il parere di tutti gli europei? (1 continua). BUENOS DIAS, ANDALUSIA. La bellezza del paese è pari alla volontà della sua gente a non deturparla. L’Alcazaba, monumento alle varie epoche. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, ottobre 1992). _____________ Per la Costa di Almeria e Andalusia l’acqua è un elemento prezioso. Piove pochissimo e pertanto essa viene arricchita con acqua marina depurata. Nel lavarmi i denti, mi sovviene tutto ciò…Nelle zone urbane e rurali, l’intenzione di incrementare il turismo – anche per ammortizzare certe infrastrutture, costose e forse create troppo in fretta, prevedendo una richiesta superiore all’attuale – sta naturalmente in primo piano; ma inequivocabile è la volontà Andalusa di non volersi “prostituire” di fronte ai desideri del turista. Il quale può vedere e toccare tutto, ma non deturpare. Gli aranceti ed i vigneti andalusi sono conosciuti in tutto il mondo e chi viene qui, grazie alla svalutazione della peseta, sembra poter godere a poco prezzo non solo frutta (e pesce) abbondante, ma anche e soprattutto le bellezze naturali, con escursioni verso i monumenti, tra i quali quelli dell’Alcazaba e dell’Alhambra. Con 35° di calura mi avventuro anch’io a visitare il monumento dell’Alcazaba, proprio mentre vengono celebrate le “Giornate europee del patrimonio storico” patrocinate dal Consiglio europeo, con l’allestimento d’una imponente esposizione: “L’Andalusia e il Mediterraneo”.
Dico mi “avventuro”, poiché il suddetto monumento si staglia contro il cielo, sopra una collina di 120 metri di altezza. Ciò significa che dal porto di Almeria, attraversando il suo centro trafficatissimo, mi ritrovo in anguste, stravecchie stradine, spalleggiate da case e negozi in degrado. Molti i negozi “da affittare” o “da vendere”, come ho notate anche in altri punti della regione Andalusa… Dunque da queste stradine “in ascesa” mi dirigo verso il monumento che risale all’anno 955 e che è un complesso di difesa: torri, tre a zig-zag, che si congiungono in questa fortezza, che governatori e re musulmani vollero come baluardo contro il pericolo “cristiano”. La fortezza dell’Alcazaba si estende su 43.000mq ed appare oggi, nelle sue tre sezioni principali, dopo molti saccheggi e rovine, un giardino pacifico, fiorito. Nel quale, nel 1489, all’assalto delle truppe della cattolica Isabella che conquistava anche la città di Almeria, dovette certamente scorrere molto sangue. Oggi il monumento di cui l’Andalusia si vanta, appare qui e là cosmeticamente “curato” nelle varie epoche. Dall’entrata fino all’estrema punta del blocco è una salita che fa sudare molto. Immagino che nessuno dei califfi che abitarono nella fortezza vi si recò “per pedes”, venendo da Almeria…Dunque l’esposizione suaccennata, motivo della mia visita. L’Andalusia ha una sua personalità tutta derivante dalla sua appartenenza al Mediterraneo che è un mare di qualità interiori e di rispettabili proporzioni. Il Mediterraneo, poi, accomuna una miriade di popoli che hanno problemi in comune: il turismo invadente e depredante, il degrado ambientale, il sovrappopolamento ed una certa perdita d’identità, che si vorrebbe recuperare, appunto in considerazione di un passato millenario di alte civiltà. Tali civiltà vengono sensazionalizzate ed evocate appunto nella mostra dell’Alcazaba: le reminiscenze epopoiche delle Eneidi; il mondo orientalizzante dell’Andalusia (VIII e VI secolo prima di Cristo) ed il contatto suo, con Fenici e Greci; i temi della notte, della morte, del mare, del vento e dell’amore ricorrenti in poemi di diversi autori mediterranei; tra le costanti più significative del Mediterraneo, quella della religiosità – (giudaismo, cristianesimo e islamismo); il mondo romano e le sue premesse per un ordine politico superiore; il potere e l’imperatore Traiano, protagonista di dominio e ambizione, di grandezza del potere e del suo carattere effimero; la leggenda, quale tradizione orale per i popoli; l’Andalusia ed il mondo musulmano, nella sintesi dell’orientale e dell’occidentale; ed infine gli eroi, passando da Carlo Magno ad Ercole, Enea, Alessandro, Traiano, Giustiniano, Solimano, ecc. Reperti e riproduzioni interessanti. (2. fine). ARTE GRECA AL MUSEO DI DORTMUND. Esposizione permanente di ceramiche. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 1 marzo 1991. Terza pagina). ____________________ Una sezione nuova e tutta dedicata ad oggetti appartenenti alle culture classiche mediterranee della Grecia, dell’Italia e dell’Asia Minore, nonché alle province nordiche dell’Impero romano, arricchisce da pochi giorni il “Museum für Kunst und Kulturgeschichte” di Dortmund. Ingresso: martedì – domenica ore 10 – 18. Visita con guida: domenica dalle ore 11.
L’arco di tempo di circa 1600 anni, intercorrenti fra il sorgere della cultura greca, nel dodicesimo secolo prima di Cristo e la fine dell’Impero romano, nel quinto secolo dopo Cristo, viene documentato in questa esposizione permanente da numerose ceramiche. Pochi, in proporzione, gli oggetti in metallo, pietra e vetro. Statuette e vasi di terracotta, con decorazioni di figure muliebri o motivi fauneschi, teste di dee e corpi di atleti, ricordano le colonie greche site nel Sud d’Italia, come anche le due correnti etrusche, quella derivante dalla cultura “Villanova” e l’altra da quella greca. L’Ellenismo che segnò l’inizio d’una produzione di massa della ceramica, formata dai romani con l’aiuto di modelli e matrici, merita un’attenzione particolare per l’alto valore ed il numero dei reperti esposti. Molteplici i bronzetti e le lampade ad olio, le cui ricercate forme testimoniano come i romani vollero dare un’impronta decorativa anche a semplici oggetti di uso giornaliero. Oggetti di ornamento in oro, argento e pietra; vasi di ceramica per conservare o trasportare commestibili; ceramica fine – quella chiamata “terra sigillata” – usata a mansa dal ceto medio romano (quello ricco si serviva di boccali di bronzo o di argento) ed infine statue in pietra provenienti da piccoli santuari e da cimiteri siti nella città di guarnigione Carnuntum (nella bassa Austria) concedono di farci pensare ad altro in questi giorni di bufera nel mondo. Che cosa tramanderemo noi ai nostri prossimi? Computer – war games? RICORDANDO “UN VIAGGIO NELL’ALTRA GERMANIA” (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 20 luglio 1990). ______________________ Un amico e lettore del Corriere d’Italia ci ha mandato un articolo apparso su “L’Alternativa” il 9 maggio 1977, che volentieri pubblichiamo come significativa rimembranza. Da allora sono passati più di tredici anni: e pare si tratti di un passato remoto se si pensa a tutto ciò che è avvenuto sulle frontiere geografiche, politiche ed anche della vita di fede dei luoghi di cui qui si parla. Quel “brutto sogno” sta finendo: incredibile. Lipsia, aprile 1977. Il termometro spirituale di un popolo scende se questo non possiede la gioia della vita ed una fiducia nel futuro. Oltrepassata la frontiera, pensavo ai diritti dell’uomo discussi nella conferenza di Helsinki, alla mobilitazione delle masse occidentali che dovranno interessarsi delle discriminazioni, delle vessazioni e degli atti di ogni genere di violenza che vengono perpetrati in Europa e nel mondo. Pensavo alla prossima elezione del “consiglio europeo” che non potrà non occuparsi del problema delle due Germanie, essendo tale problema d’importanza europea e non solo tedesca. Sulle colline fiancheggianti la frontiera non sembrava aleggiare l’atmosfera pasquale ed in un attesa di ben quattro ore, colonne di automobili avanzavano con lentezza verso l’edificio dei “vopos”. Il controllo, effettuato da questi, con viso gelido e con militarismo di gesti; l’angustia di molti visi di persone fuggite una volta dall’altra Germania ed ora venute a rivedere i parenti; l’ansia di molti di avere dietro di sé un atto di terrore psicologico; l’ira di tanti costretti a pagare un “transit” ed una tassa di soggiorno: tutto ciò era reperibile in quell’ora del Venerdì Santo ed ognuno mi sembrava un Cristo che si sacrificava per i peccati dell’assenteismo, dell’egoismo e della doppia morale della società decadente e borghese del mondo occidentale. E poi Lipsia, spaziosa e monumentale, i Lenin numerosi, posti in ogni crocevia, le scritte esaltanti di progresso socialista all’entrata di tutte le fabbriche nei dintorni di Lipsia; la gente che ti porge una mano ed ha fretta di salutarti come se abbia timore di venire spiata; le vecchie automobili “Trabant” e “Wartburg” che sembrano saltellare sull’asfalto consumato; i negozi dalle vetrine povere; i giornali dalla cronaca spicciola e provinciale che inneggia alla libertà: tutto sembra appartenere all’immediato dopoguerra, in cui solo tramite raccomandazioni e relazioni era ed è possibile ottenere generi alimentari, altrove accessibili ad ognuno ed in ogni ora del giorno. Ma qui si parla d’una libertà che impedisce all’individuo di essere tale e di pensare quel che gli aggrada e di recarsi dove vuole e di trovarsi il lavoro che faccia per lui e di servirsi dei mezzi d’informazione che l’uomo ha creato per il prossimo suo in nome della civiltà. Questo individuo, costretto a non potersi alimentare ed a ristagnare con il suo pensiero, sotto il lavaggio di cervello che viene attuato tramite discorsi di teorie ideologiche e non di idee pratiche e fruttuose e palpabili, s’immola ogni giorno su una croce che pesa sulla coscienza d’un’altra società che è rimasta a guardare. Un giorno di Pasqua, la santa messa alla quale assisto in una chiesa non lontana da Lipsia, il sacerdote che durante la sua predica nota la presenza di alcuni fedeli, turisti occidentali, e pone il dito sul tema della libertà ed io ho paura per lui: un viaggio nell’altra Germania che esiste e che osservo e che vorrei appartenesse ad un brutto sogno. TESORI D’ARTE IN ABRUZZO. CHIETI E IL SUO “MUSEO ARCHEOLOGICO EUROPEO”. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 5 luglio 1986). ___________________________________________________________________
Il “Museo nazionale archeologico degli Abruzzi” di Chieti venne dichiarato, nel settembre del 1984, “Museo europeo”. A quanti visiteranno l’Italia, nella prossima vacanza, consigliamo di visitarlo. Il Museo è situato nel parco della Villa Comunale, nella casa già dei baroni Frigeri e contiene importanti reperti risalenti all’età preitalica, italica, greca e romana: monete, armi, utensili e statue di pietra, tra le quali quella del “Guerriero di Capestrano”. Per comprendere bene Chieti, ne tracciamo un identikit con quanto segue: città degli uffici, delle scuole, delle chiese, dell’università, delle pinacoteche e dei monumenti nazionali, svettante su di una collina a 330 metri sul livello del mare e capoluogo di una provincia di ben 112 comuni, 60mila abitanti, a 20 chilometri dal mare ed altrettanti di distanza dal complesso montagnoso della Maiella. Chieti è un terrazzo naturale da cui è possibile godere un panorama di fertili distese di verde, punteggiate da paesi che si estendono fino ai piedi del Gran Sasso d’Italia. Una città silenziosa, provinciale? (Nelle foto: la Villa Comunale di Chieti e il portale della Cattedrale di S. Giustino)
Una città calma, di vecchie origini aristocratiche, una città di nobili tradizioni culturali che, nella vallata sottostante del fiume Pescara, osserva il progredire di un complesso industriale a carattere internazionale. Conservatrice, campanilistica? No. Chieti si va espandendo in pianura in direzione della città di Pescara e non è escluso che le due città diano vita, un giorno, alla “Teaterno” che sarà una città di cultura, di commercio e d’industria. Fondata dagli ateniesi che vi importarono il culto della dea Minerva ed osannata dai Pelasgi che denominarono la città Teate, in onore della madre di Achille, Teti .
Chieti, come vuole la leggenda, venne costruita da Achille, 18 anni dopo la distruzione di Troia. Achille, infatti, è scolpito nello stemma gentilizio chietino. Abitata dagli Osci e quindi dai Marrucini, verso il 1000 a.C., la città di Teate fu scossa da lotte e da guerre, condotte anche contro Roma, dai Marrucini e dai Sanniti. Fu municipio romano dal I sec. a. C. Conserva avanzi dei templi di Ercole, di Vesta, di Diana, del teatro romano e delle antiche terme. Distrutta sette volte da invasioni barbariche, fu presa dai Goti, saccheggiata da Alarico, devastata da Teodorico; divenuta parte del Ducato di Benevento sotto i Longobardi, fu poi aggregata a quella di Spoleto e venne retta a contea dall’843 al 1085. Dopo le invasioni barbariche venne successivamente dominata da Normanni, Svevi, Angioini ed Aragonesi. Nelle guerre combattute dai Durazzeschi alla fine del sec. 14° si mantenne con Carlo di Durazzo, poi con Ladislao e con la regina Giovanna II. Si risollevò con l’aiuto di Carlo I d’Angiò e di Alfonso V d’Aragona, allorché venne dichiarata metropoli degli Abruzzi. Nella divisione del regno fatta da Alfonso I d’Aragona fu scelta a residenza di un Vicerè, passò poi sotto Ferdinando Caracciolo di Castel di Sangro e sotto Carlo VI arciduca D’Austria; quindi sotto i Borboni di Napoli, di cui seguì le sorti fino al 1860. Subito dopo il Concilio di Trento, Chieti istituì il Seminario diocesano che nell’800 ospitò uomini illustri, tra i quali Don Gasetano Bernardi che fondò l’Istituto di S. Anselmo a Roma. Un collegio dei padri Gesuiti s’insediò quindi nella città collinare, seguito dalle Scuole monastiche, alle quali appartennero il convento di S. Francesco e quello dei Domenicani, conventi nei quali fra’ Pietro dell’Aquila, S. Antonino di Firenze e padre Paolino da Lucca eccelsero nelle loro missioni. Da ricordare la colonia arcadica del ‘700, alla quale appartennero soci-pastori non solo abruzzesi, ma anche romani e bolognesi. Chieti, già nell’800 istitutrice di una scuola universitaria derivante dalla scuola dei padri Scolopii, fondata da S. Giuseppe Colasanzio, fu la “patria” scolastica, prima e dopo il 1860, di uomini insigni, quali Giovanni Chiarini, Edoardo Scarfoglio, Gabriele D’Annunzio, Ettore Ianni, Francesco Vizioli, Raffaele Lanciani, Leone De Sanctis, Filippo Masci e Giulio De Petra. Chieti, oggi apparentemente silenziosa, fa cultura in sordina come complesso archeologico monumentale: resti romani ed addirittura italici s’intrecciano ovunque. Il sottosuolo chetino è ricco di gallerie e di concamerazioni costruite in calcestruzzo romano. I tempietti e le terme romane, come pure i resti di templi cristiani edificati su fondamenta pagane ed il teatro romano del diametro di 80 metri (poteva contenere 5000 spettatori), sito sul colle della Civitella e dominante tutta la pianura del fiume Pescara, sono da raccomandare al turista che al piacere del viaggio desideri accoppiare quello della informazione e della cultura. CARO DIRETTORE. HANNO DECAPITATO D’ANNUNZIO. (Luigi Mosciàno, per “Il Giornale d’Abruzzo” di Teramo, dicembre 1985). _____________ Chieti, dicembre 1985. Caro Direttore, alla villa comunale di Chieti incontrai, giorni addietro, il pensionato G. D’Annunzio. Si, il Poeta nazionale che solcò mari e cieli in un’aureola eroica, fiero, forte e vitale. Proprio Lui che fece tribolare le donne con erotiche passioni, si trovava raffigurato in un monumentino sito di fronte alla “casina dei tigli” e mi appariva un pensionato, triste, depresso e dalla costituzione in declino. Il cranio calvo, smisurato proporzionalmente al corpo rinsecchito e riposante su uno sgabello di stile rococò. Le gambe incrociate, come se quel D’Annunzio dell’epopea gloriosa avesse appena terminato il Suo racconto sul giuoco sociale, sulla vita e sulla morte, sembrava il Poeta nazionale volesse sfogarsi: questo è il ringraziamento del mondo, così mi hanno conciato!
E guardandolo da vicino, quel cranio pelato in cui le forze della immaginazione catturarono uomini e cose dell’universo, evincendone una sostanza universale di poesia e verità, mi meravigliavo del fatto che Chieti, città di baroni e di conti, feconda di studio, di scuole e di università, si fosse ricordata solo ora di D’Annunzio, relegandoLo lì, all’ombra dei tigli, tramite un monumento di proporzioni meschine, nemmeno se D’Annunzio avesse da vivo ripudiato le cose grandiose, conducendo peraltro soliloqui su un povero podio. Povero Lui, il pensionato in attesa di una gratifica! Qualcuno avrà avuto pietà di Lui, più che me. In fatti, ieri, il busto del D’Annunzio appariva decapitato! Porca miseria, si sarà detto qualcuno, mi lascio incolpare di vandalismo, ma è meglio un monumento decapitato che un D’Annunzio rachitico, depresso ed in agonia! L’AFRICA SI SALVA CON L’AFRICA. Intervista a Don Francesco Andreis, missionario-medico nel Burundi. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia”, 26 ottobre 1985). ____________ Don Francesco Andreis, della diocesi di Brescia, è un missionario che, oltre alla pastorale, si dedicò per quattro anni allo studio della medicina, presso l’università di Milano, al fine di poter dirigere l’ospedale cattolico, donato nel 1980 dalla suddetta diocesi agli africani di Kiremba, nel Burundi. Il missionario visse per sei anni tra la guerra e la fame del continente nero. Presente solo per alcuni giorni presso la Missione cattolica italiana di Dortmund, egli ha voluto rispondere alle seguenti domande:
D: Don Francesco, quando nacque e come nacque la sua idea della dedizione al Terzo mondo? R: Effettivamente, non è mai nata in me l’idea della dedizione al Terzo mondo. Il Vescovo di Brescia ed il Vescovo di Kiremba mi pregarono di “dare una mano”, poiché l’ospedale in Kiremba faceva acqua e mancava completamente di dottori. D: Che cosa significa fare il missionario in mezzo al popolo di Kiremba? R: Fare il missionario è una cosa semplice ed anche difficile, nello stesso tempo. Io andai come sacerdote e come medico, esprimendo il sacerdote con la professione medica, curando i malati ed operando in sala operatoria, donando medicine, facendo terapie in diverse forme, utilizzando i mezzi che si avevano a disposizione, tante volte insufficienti e limitati. Così, guarendo il corpo, penso di avere fatto del bene anche allo spirito. E’ escluso però che per fare il medico in Africa uno possa fermarsi solo al bisturi e al ricettario. Per fare il medico-missionario, cioè per esprimere anche l’attività del prete, bisogna passare dal bisturi al martello, dal ricettario alla riparazione del filo della luce, al lavoro completo e non soltanto limitato all’arte medica. D: Qual è l’episodio, che lei ritiene più memorabile durante i suoi anni di missione? R: Esistono vari episodi che mi sono capitati. Potrebbero essere quasi delle barzellette. L’episodio che mi ha colpito maggiormente e che ricordo, come se fosse avvenuto ieri, è stato quello della mia caduta dall’alto di un tetto, che volevo riparare. La scala non ha retto al mio “dolce” peso…E’ stata una caduta violenta e, ritrovatomi a terra, ho cominciato a farmi la diagnosi: una grossa contusione, con ematoma sulla testa. Infatti cadendo ho rotto due mattoni…Poi, mi sono trovato la spalla fuori posto. Una diagnosi successiva accertava una lussazione posteriore ed una ferita lacero-contusa al gomito del braccio destro. Recatomi in sala operatoria, ho diretto tutte le operazioni, eseguite dai miei infermieri, se così possono chiamarsi, senza diploma, ma molto bravi nel seguire le mie direttive di sutura. Quindi, radiografia eseguita dai medesimi infermieri, mia anestesia completa, per le manovre atte a rimettere in sesto la mia spalla…E quindi mi sono svegliato tutto rinnovato. D: Guerre e fame in Africa, dove coloro che perdono sono sempre i più poveri e dove molte nazioni, europee e non, esportano continui, enormi quantitativi di armi…Dall’altro canto, vengono stanziati poi miliardi contro la fame…Non è una situazione paradossale? R: E’ una situazione paradossale e comunque vera. Continuamente arrivano dai paesi progrediti aiuti in valuta ed in materiali. Purtroppo, se questi aiuti non sono bene orientati, in una forma ben precisa e ad una persona di coscienza, essi vanno persi per strada, o all’inizio o alla fine, e non arriva alcunché. Chi ha fame resta ancora con la sua fame e chi è ricco cresce di più, utilizzando la miseria dei poveri. Questa è la fine degli aiuti in valuta ed anche in viveri. I finanziamenti si perdono negli uffici burocratici, mentre i viveri vengono tante volte svenduti a commercianti che capitalizzano. I poveri non compreranno quei viveri. I soldi ricavati dai commercianti vengono investiti nell’acquisto di armi. Quindi, se non siamo più che prudenti, oculati nel nostro aiuto, invece di fare del bene, facciamo del male. E’ una realtà, questa, non limitata ad un paese o all’altro, ma è la realtà dei paesi della miseria. D: Ritiene lei che lo spirito della cultura africana e la nascita di una teologia nero-africana possano rappresentare una speranza di salvezza per la giustizia e la pace? R: Premesso che la filosofia non risolve i problemi dell’economia (i problemi di miseria non possono essere risolti dalle idee più o meno astratte), è scontato che l’Africa e l’America Latina non si possono salvare con l’Europa e nemmeno con l’America ricca. L’Africa si salva con l’Africa e l’America Latina si salva con l’America Latina. Quindi, è molto probabile che se noi togliamo le catene ideologiche, che abbiamo incise nella mente degli africani , prima schiavizzate con la colonizzazione, poi con la miseria vincolante, ecco, se lasciamo a loro la cultura e la tecnologia legata alla loro mentalità, esse daranno senz’altro qualcosa di buono a noi, anche perché dobbiamo divenire allievi alla loro ricchezza ideologica. Se tanto accadrà, da questa ideologia si potrà giungere alla libertà, alla pace ed anche al benessere. COMUNITÀ ITALIANA IN WESTFALIA. Sono 170.000 gli italiani in Westfalia. L’immigrazione italiana è giunta lla terza generazione. (Luigi Mosciàno, da Dortmund, per il “Corriere d’Italia, 8 dicembre 1984). _____________ La Westfalia, patria degli immigrati da più di cento anni, rappresenta una platea immensa sulla quale si sono avvicendate anche tre generazioni di connazionali, producendo una letteratura del lavoro, molte volte intrisa di tragedie e drammi familiari. Nel fondo delle miniere del carbone, nei complessi dell’industria del ferro e dell’acciaio, come anche sui cantieri stradali o nelle imprese proprie, le trame di esistenze di sacrificio, di rinuncia e dolore, si sono moltiplicate e complicate attorno alla figura dell’immigrato. Ma chi è questi in verità; qual è la sua sostanza psicologica, umana, maturatasi nel giro di circa quarant’anni di vita di emigrazione nella regione westfalica che è la forza motrice di produzione per l’intera nazione tedesca? Centosettantamila italiani, quasi un terzo di tutti i connazionali nella Repubblica federale tedesca, operano nella Westfalia, tormentata dalla disoccupazione. E proprio oggi viene “riscoperto” l’immigrato italiano della terza generazione. In patria ed all’estero lo si vuole esaltare; gli si vuole costruire un monumento. Che tanto voglia contare di gratitudine per le rimesse di milioni di marchi alla patria di origine o per le prestazioni di lavoro all’estero tedesco? Meglio tardi che mai, dirà qualcuno. Meglio che venga un monumento che serva a ricordare alla patria d’origine quella storia grama di disinteressi e di interventi, talora volutamente ritardati da certi politicanti di fronte alla grande disoccupazione allora esistente, soprattutto nel Mezzogiorno italiano. Meglio che venga costruito un monumento, quale testimonianza dei contributi di lavoro e di “ambasciate” internazionali, prestati dall’immigrato italiano. Mas non si voglia renderlo oggetto di speculazioni politiche; non si voglia dirgli che è bello soffrire e morire all’estero. Morire, secondo una letteratura farisaica fabbricata a tavolino e non rispondente alla realtà palpabile delle cose, sarebbe eroico. Ma non è così: morire è piuttosto un fatto nauseante e bestiale. E l’immigrato connazionale rileva maggiormente nausea e bestialità di un morire spirituale, psichico, allorché, dopo decenni di esistenza in solitudine, cioè senza avere potuto contare su assistenze concrete dal parte del governo della patria d’origine; dopo essersi fatto strada da solo, integrandosi nella società tedesca e beneficiando delle istituzioni sociali presenti in loco, si vede attorniato da sindacalisti e politicanti che di lui vogliono fare un tema socio-politico, alla base di una retorica dubbiosa e sentimentale. Questo è il pericolo che corre il connazionale immigrato, questo “ambasciatore” fattivo e concreto che ha venduto sinora le proprie forze e idee ai tedeschi; che ha realizzato, da solo, molto a favore di una “Völkerverständigung”, scrivendo nella Westfalia ed in tutta la Germania una storia che tocca l’uomo, l’individuo ed il lavoro. Solo che ha vissuto quotidianamente tale storia, può comprenderla. Come italiano sono grato al “Corriere d’Italia” che in questa edizione dedica una intera pagina alla Westfalia ed ai problemi dei connazionali in essa residenti, provocando così il pensiero degli italiani e del prossimo.
ATTIVITA’ ARTISTICA 1953-57: Pubblicazione dei primi disegni nelle pagine regionali dei quotidiani “Giornale d’Italia”, “Paese, ecc. (vedi mappa). 1956-60: Partecipazione al “Premio Francesco Paolo Michetti” di Francavilla a Mare, Chieti. Premiazione. 1965-78: Partecipazione, con premio, a collettive di Arte nel marzo 1977 a Dorsten e nell’aprile 1978 a Recklinghausen/Ruhrfestspiele, sul tema: “Prendere partito per i diritti umani”. Partecipazione al primo “Mercato dell’Arte di Dortmund (Malermarkt)”, con opere sui diritti umani. 1981-82: Partecipazione alla collettiva “La settimana italiana in Germania” nei locali del Torhaus-Roberg di Dortmund. Nel novembre 1982 registrazione nello schedario degli Artisti del Norreno-Westfalia tramite l’ufficio Culturale (Kulturamt) di Dortmund. 1981-86: Inizio di una mostra personale, rinnovantesi settimanalmente, nel locale “Stade Treff” di Dortmund. 1984: Esposizione nella Missione Cattolica Italiana di Dortmund. Temi: “La settimana della pace” e “Diritti umani”. Nel mese di dicembre 1984 partecipazione ad una collettiva di Arte a Sundern. 1985: Partecipazione alla mostra “Giorni di festa per i concittadini stranieri”, a Hamm. 1986: Partecipazione all’esposizine collettiva “L’Arte non conosce frontiere” nella sala parrocchiale della Chiesa della Croce (Kreuzkirche) di Dortmund e mostra nel ristorante Wiewaldi a Dortmund Barop. 1988: Mostra personale con il titolo “90 dipinti a favore dei bambini bisognosi”, nella sala parrocchiale della Chiesa S. Suitbertus di Dortmund. 1989: Partecipazione al concorso di pittura, a Düsseldorf, sul tema “Stranieri e razzismo”. 1989-97: Proseguimento dell’attività artistica senza partecipazione ed esposizioni. 1998-99: Esposizione nelle sale delle conferenze del locale “Antica Roma”, a Dortmund. 2000: Mostra nel Forum del “Westfalen Center” di Dortmund. Da questa data ad oggi attività in privato. Molti quadri si trovano presso privati ed Istituzioni in Germania, Austria, Italia, Grecia, Spagna ed Iran.
(Di seguito: cliccare sulle immagini per ingrandirle)
Esposizione sul tema "La pace e i diritti dell'uomo" (15 quadri): nei locali della Missione Cattolica Italiana - Grisar Strasse,14 Dormund (10.02.1984)
Austellung über “Der Friede” u. “Die Menswchenrechte” (15 bilder) bei der Missione Cattolica Italiana, Grisar-Str. 14 in 4600 Dortmund 1

La foto: da sinistra, Don Renato Fappani, il console Dott. Luigi Conte, Luigi Mosciàno, la Prof.ssa Lieberger e l'assistente sociale Berretta.
NOTIZEN AUS DER KULTUR (dal quotidiano “Ruhr Nachrichten”, 4 settembre 1998)
"Impressioni italiane di Luigi Mosciàno possono essere ammirate nelle sale delle conferenze del locale "Antica Roma" nella Lindermannstr. 77, a Dortmund. Il 62enne italiano, che vive dal 1960 a Dortmund, ha già esposto molte volte. Egli ha fra l'altro messo molti dei suoi quadri a disposizione di organizzazioni caritative. Non solo nature morte e paesaggi sono i suoi motivi preferiti, ma anche ritratti e caricature. (Foto: Menne) "Italienische Impressionen von Luigi Mosciàno sind zur Zeit in den Konferenzräumen des “Antica Roma”, LINdemannstasse 77, zu sehen. Der 62jährige Italiener, der seit 1960 in Dortmnd lebt, hat in Dortmund schon häufig ausgestellt. Viele seiner Arbeiten hat er wohltätigen Organisationen überlassen. Bevorzugte Motive sind Stilleben und Landschaften. Aber auch Portraits und Karikaturen gehören zu seinen Arbeiten. Die Ausstellung ist montags bis freitags von 8-18 Uhr geöffnet". (Foto: Menne)
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Le pitture di Luigi Mosciàno Ettore Mosciano
Daniela Silla

"Bambina con bambola" ("Kind mit Puppe")

Brigitte Irrek Mosciano


L' ex-sindaco di Dortmund Herr Samtlebe Günter.

"Giovane africana" (Mädchen aus Afrika")
"Nudo sul balcone" ("Akt auf dem Balkon")
"



Roberta Mosciano
Bagnino (Bademeister)

"Schiavi d'una potenza anonima..." ("Einer anonymen Macht ausgeliefert..."
"Ritratto del nipote del sig. Alvandi, iraniano" ("Porträt der Enkel Herr Alvandi, aus Iran")
"Il vecchio signore Alvandi dell'Iran, assieme a suo figlio ed al suo nipote" ("Der alte Herr Alvandi aus Iran, zusammen mit seinem Sohn und seinem Enkel")
(part. del quadro sopra: "Il signor Alvandi") "

"L'attore di prosa Günter Cordes del Teatro di Dortmund" ("Der Schauspieler Günter Cordes Theater Dortmund")
"Il soprano Gudrun Schäfer del Teatro di Dortmund" ("Der sopran Gudrun Shäfer - Theater Dortmund")
"Ragazza" (dalla serie p. il locale "La Botte") ("Mädchen" aus der serie f. das Lokal "La Botte")
"Ritratto di una dortmundese delle Filippine" ("Porträt einer Dortmunderin aus Philippinen")
"Ritratto del signor Hans Baumbach di Moers" ("Porträt des Herrn Hans Baumbach aus Moers")
"Ritratto della signora Helga Baumbach di Moers" ("Porträt der Frau Helga Baumbach aus Moers")
"Villa comunale di Chieti sotto la neve - Abruzzo, Italia" ("Stadtpark unter Schnee in Chieti, Abruzzo-Italia")
"Mallorca"
"Mallorca. Le grandi bagnanti"
"Mallorca"
"Mallorca"
"Andalusien - Almeria"
"Andalusien"
"Andalusien - Castello dell'Alkazar - Burg der Alkazar, 1489 "
"Andalusien"
"
"Mallorca"
"Mallorca"
"Mallorca"
"Paesaggio autunnale" ("Herbstliche Landschaft")
"Andalusien"
"Paesaggio montano" ("Bergige Landschaft")
"Fiori" ("Blumen")
(cliccare sulle immagini per ingrandirle)



"Bimba"

"Padre e figlia" - "Vater und Tochter" - 70x50 cm 1987

Mia figlia, Roberta Mosciàno
CINA
30x45 cm - 1990
Quadro esposto e venduto nel concorso "Un quadro per la Cina".

Simboli: (da destra, in basso e verso l'alto) il popolo che tende le mani verso un palazzo luminoso. Testa di giovane eccitato. L'accenno alla muraglia. Viso di donna del progresso. Il palazzo delle promesse. La testa di Mao sottosopra, accanto al "libro rosso". Testa di giovane donna sofferente. I guerrieri di terracotta. Il drago,. la geisha, il filosofo in meditazione, ecc.

Paesaggio dell'Andalusia

******************* Luigi Mosciàno tra gli attori nello spettacolo teatrale "Un nemico del popolo" di Henrik Ibsen, ("Ein Volksfeind"), al "Teatro am Ostwall" di Dortmund, il 4.10.1985.
Theater Dortmund __Theater am Ostwall __ "Ein Volksfeind" - "Un nemico del popolo" di Henrik Ibsen (in der neue Übersetzung von Heiner Gimmler) Premiere: 4 Oktober 1985 Dauer: ca. 3 Stunden Pause nach dem 3. Akt Aufführungsrechte: Verlag der Autoren, Frankfurt am Mein. weitere Mitwirkende: August Schwätzler als Kommerzienrat Vik sowie Frauen und Männer der Volksversammlung: Annaliese Könitz - Andreas König Gerog Stannossek - Uwe Jeske Peter Zühlke - Erwin Scheuman Hans Boucsein - Luigi Mosciàno * Heinz Buschmann - Hans J. Tokarski Friederich Jastrow - Klaus Wolter Edgar Höpker - Willi Patzer Johanes Klüsener - Paul Breuer Thomas Weisantel - M. Hosseini Alois Kloppenburg - Gerhard Schönlau Museo "Am Ostwall" in Dortmund. "L'avanguardia in Europa, 1910-1939" 
*Notare gli strani disegni fantasiosi sui panciotti coloratissimi dei futuristi, in contrasto con l'abito scuro da sera. Come ebbe inizio la mia attività giornalistica a Chieti (Abruzzo- Italia),dal 1954 al 1960. _____________ Gli articoli sugli accadimenti e sui problemi sociali: - A Rapino, piccolo paese d’Abruzzo messe in luce le vestigia di un’antica civiltà (“Il Giornale d’Italia”, marzo 1954). - Le belle donne di Scanno siedono alla turca in Chiesa (“Il Giornale d’Italia”). - A Cerratina, dalle case vecchie e rosse ( “Il Giornale d’Italia”, 25 aprile 1954). - Sensazionale scoperta di un fisico a Chieti (“Il Giornale d’Abruzzo”, maggio 1954). - Sciolto il voto del Salvatore di Chieti con la nuova pavimentazione della Cattedrale (“Il Giornale d’Italia, 29 maggio 1954). - La marcia delle “ciammaichelle”nella festa dei “Banderesi” (“Il Giornale d’Italia”, 29 maggio 1954). - Uomini, porci e vitelli al mercato della Pietragrossa (“Paese sera”, 1 agosto 1954). - La grotta della “Figlia di Jorio” (“Paese sera”, 25 settembre 1954). - Carovane di zingari (“Paese sera”, 5 novembre 1954). - Venerdì processione a Chieti (“Il Giornale d’Abruzzo”, marzo 1955). - Trionfa incontrastato il “Bidone” di Fellini (“Il Giornale d’Abruzzo”, 10 dicembre 1955). - Lo “Stabat” di Boccherini al Teatro Marrucino di Chieti (“Roma”, 20 dicembre 1955). - Tre volte “Tribuna aperta” (“Il Giornale d’Abruzzo”, gennaio, marzo e aprile 1956). -Tiepido per la musica il pubblico teatino (“Il Giornale d’Italia”, 26 marzo 1956). - Molte ricchezze archeologiche ma scarse risorse alberghiere (“Roma”, 25 aprile 1956). - Una città che si rinnova dopo il fulmine della guerra (“Roma”, 3 maggio 1956). - Ansioso lavoro per disseppellire le vittime della tragica galleria (“Corriere d’Informazione”- Servizio particolare, prima pagina -, 14-15 maggio 1956). - Il poeta Giovanni Cerritelli (“Roma”, 18 giugno 1958). - Vitali per Chieti le zone di verde (“Il Giornale d’Italia”, 5 luglio 1956). - La nonnina d’Italia, 109 anni, vive a Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 6 luglio 1956). - La Villa comunale a Chieti (“Roma”, 24 luglio 1956). - Spettacoli a Chieti del “Centro Popolare” (“Momento sera”, 22 settembre 1956). - Carattere d’Abruzzo attraverso la parlata. (?). - Interesse a Chieti per il Teatro di prosa (“Il Giornale d’Italia”, 25 settembre 1956). - Continuano gli spettacoli del “Carro di Tespi” (“Il Giornale d’Italia”, 28 settembre 1956). - Successo a Chieti di “Rinascere”, commedia di Bruno de Cecco (25 ottobre 1956). - Ingrate rughe sul volto d’Abruzzo (10 dicembre 1956). - La magia vive ancora in Abruzzo (“Il Giornale d’Italia”, 21 dicembre 1956). - La XXII “Maggiolata” di Ortona a mare (“Il Mattino”, data ?). - La metropoli d’Abruzzo (“Il Giornale d’Abruzzo”, 31 gennaio 1957). - Silvia Sanvitale, una poetessa di nove anni a Chieti (“Il Resto del Carlino”, 9 aprile 1957). - “Tribuna aperta” e due lettere al direttore Gino Falzon (“Il Giornale d’Abruzzo”, aprile e maggio 1957). - La Canzone abruzzese sotto inchiesta (“Il Giornale d’Italia”, 30 novembre 1957). - Gli ultimi zampognari d’Abruzzo (“Il Giornale d’Italia”, 10 dicembre 1957). - 9° congresso provinciale del P.S.D.I. a Chieti (“Il Giornale d’Abruzzo”, data ?). - Sulla Maiella madre, nella purezza delle altitudini. - Successo a Chieti dell’Arena Teatro (“Il Giornale d’Abruzzo”, 29 settembre 1957). - Inesistenti nelle scuole le attrezzature sportive a Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 21 aprile 1957). - L’afflusso di pubblico nei cinema diminuisce ogni giorno (“Il Giornale d’Italia”, 24 febbraio 1957). - Incontro con il poeta Amedeo Finamore (“Il Tempo”, 8 febbraio 1958). - Il fatto del giorno – l’assistenza ai giovani – (“Il Giornale d’Italia, 22 marzo 1958). - Il drammaturgo Giovacchino Forzano ospite a Chieti (“Il Giornale d’Abruzzo”, 3 aprile 1958). - Mortificata Chieti da un immobilismo ingiustificato (“Il Messaggero”, 1 ottobre 1958). - L’Abruzzo è quel che è (Il Giornale d’Abruzzo”, 1958). - Lusinghiere prospettive per lo sviluppo dell’industria turistica sulla Maiella (“Il Giornale d’Italia, 4 settembre 1958). - I chietini avvertono l’assenza di adeguate manifestazioni popolari (“Il Messaggero”, 30 settembre 1958). - Chieti è la provincia più arretrata in fatto di attrezzature sportive (“Il Giornale d’Italia”, 1958). - La funzione a Chieti dell’Azienda di Soggiorno (“Il Messaggero”, 2 ottobre 1958). - A Chieti gli istituti scolastici sprovvisti di palestre sportive (“Il Giornale d’Italia”, 9 ottobre 1958). - Gli scavi di Alba Fucens in uno scritto del prof. Cianfarani (“Il Messaggero”, data ?). Nell’Abruzzo depresso ma incantevole mancano gli uomini di buona volontà (“Il Giornale d’Italia della domenica”, 1958). - Il Preventorio della Madonna della Mazza a Pretoro (“Il Giornale d’Italia”, 16 novembre 1958). - L’Università in Abruzzo. Chieti deve ospitarla (“Il Tempo”, 1958). - La raccolta di poesia in vernacolo “Li tradizione” di Antonio D’Ercole . - Incontro con lo scrittore Giuseppe Lalli. - A Pretoro si aspetta la luce del giorno (“Il Giornale d’Abruzzo”, 9 febbraio 1959). - L’edilizia nella zona montana (“Il Messaggero”, 12 febbraio 1959). - Lettera aperta al ministro Spataro sul “Premio F.P.Michetti” (“Il Tempo”, 6 giugno 1959). - Lo sviluppo edilizio nella zona di Sant’Andrea senza alcuna disciplina (“Il Messaggero”, novembre 1959). - La gioventù abruzzese desidera vivere in pace (“Il Messaggero”, 14 novembre 1959). - Mancata valorizzazione della Piana delle Mele e della Grotta del Cavallone (“ Il Messaggero”, 18 novembre 1959). - E’ tempo di eliminare lo scempio del rudere accanto all’ex G.I.L. (“Il Messaggero”, 20 novembre 1959). - Hanno l’aspetto di uno “Spielberg” le carceri giudiziarie chietine (“Il Messaggero”, 3 dicembre 1959). - I costruttori s’infischiano del “vincolo panoramico” (“Il Messaggero”, 5 gennaio 1960). - Polemica sullo spinoso argomento del vincolo panoramico della città (“Il Messaggero”, 13 gennaio 1960). - Continua la polemica sul “vincolo panoramico” (“Il Messaggero”, 17 gennaio 1960). - La pressione fiscale prima causa del crescente flusso migratorio (“Il Messaggero”, 29 gennaio 1960). - L’opera di ricostruzione del dopoguerra e le esigenze attuali nel settore dell’edilizia (“Il Messaggero”, 31 gennaio 1960). - Il Dispensario d’igiene sociale dotato di impianti troppo vecchi a Chieti (“Il Messaggero”, 6 febbraio 1960). - L’intenso traffico a Francavilla a Mare è la causa di numerose sciagure (“Il Messaggero”, 12 febbraio 1960). - Le attrezzature scolastiche di Bucchianico sono allo stato primitivo (dal nostro inviato) (“Il Messaggero”, 18 febbraio 1960). - Dall’area collina di Chieti parla l’Abruzzo forte e gentile (“Mercoledì Sport”, 1960). - Ora deve nascere la collaborazione tra i costruttori e commissione edilizia (“Il Messaggero”, 2 aprile 1960). - Il Venerdì Santo e lo spirito della tradizione a Chieti. - Tre sorelle di Chieti hanno cambiato sesso (“Corriere della Sera” – dal nostro corrispondente – 15 aprile 1960). - Carlo Travaglini, un abruzzese di razza (“Il Tempo”, 21 gennaio 1960). Gli articoli sull’ARTE: - Il plasticolore di Torella alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Mercoledì Sport”, 13 ottobre 1954). - Avigdor alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Paese Sera”, 10 novembre 1954). - I ceramisti di Rapino e la Scuola Cappelletti (“Paese Sera”, 7 dicembre 1954). - La pittura di Gaetano Memmo (“Paese Sera”, 2 dicembre 1954). - Carlo Marcantonio alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“L’Amico del popolo”, 12 dicembre 1954). - Mostra interna alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Mercoledì Sport, ? gennaio 1955). - La rassegna teatina interna d’Arte (“Paese Sera”, 8 gennaio 1955). - Luigi Santarelli, un artigiano artista (“Mercoledì Sport”, 19 gennaio 1955). - Il secondo ciclo della mostra interna d’Arte (“Il Messaggero”, 25 gennaio 1955). - Mostra sacra alla “Bottega d’Arte” di Chieti. (?) - Pasquale Di Renzo, scultore teatino (“Paese Sera”, 9 marzo 1955). - Il pittore Astoria alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 16 marzo 1955). - La pittura del teatino Luigi Pera (“Momento Sera”, 31 marzo 1955). - Remo Fabretti espone (“Il Messaggero”, 15 aprile 1955). - Pasquale Di Renzo, scultore teatino (“Momento Sera”, 20 aprile 1955). - Personale del pittore Cilia alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Momento Sera”, 7 maggio 1955). - Una mostra di studenti artisti (“Momento Sera”, 14 maggio 1955). - Felice Giuliante, un artigiano artista (“Roma”, 24 ottobre 1955). - La pittrice Ines Falluto alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero” 12 novembre 1955). - Una rassegna della pittura italiana alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 4 gennaio 1956). - Omiccioli e Monachesi alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 13 gennaio 1956). - Note d’Arte (“Il Mattino” , 28 gennaio 1956). - Mostra collettiva alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Roma”, 12 aprile 1956). - La testa di Golia ai piedi di Davide, bronzo di Pasquale Di Renzo (“Roma”, 12 aprile 1956). - Incontro col pittore Giuseppe De Cesare (“Roma”, 21 aprile 1956). - Mostra popolaresca del pittore Tato alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Momento Sera”, 11 maggio 1956). - Mostra del pittore Lagalla alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Momento Sera”, 15 giugno 1956). - Il X “Premio Michetti” (“Il Giornale d’Italia”, 28 luglio 1956). - “Mostra del dilettante” alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 19 febbraio 1957). - Mostra dei pittori pescaresi alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 7 marzo 1957). - La pittrice Elena Casali alla “Mostra Michetti” (“Il Messaggero”, 13 agosto 1957). - Il “Premio Michetti” (“Il Giornale d’Abruzzo”, 26 agosto 1957). - Decadenza apparente dell’Arte (“Il Giornale d’Abruzzo”, 26 agosto 1957). - Personale di Cannata alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 30 ottobre 1957). - Lettera aperta agli artisti del Sud (“Il Paese Sera” 17 dicembre 1957). - Guido Giuliante, il poeta vernacolare (“Il Giornale d’Abruzzo”, dicembre 1957). - Una scuola dal vero unica in tutta la regione: l’Istituto d’Arte di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 17 gennaio 1958). - Rinnovata la “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Popolo”, 17 gennaio 1958). - Mostra del pittore Giuseppe Toto alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 13 febbraio 1958). - “Cenacolo” (Il Tempo”, 11 marzo 1958). - Collettiva alla “Bottega d’Arte” di Chieti(“Il Giornale d’Italia”, 13 marzo 1958). - Collettiva d’arte alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Giornale d’Italia”, 25 marzo 1958). - Il pittore Gaetano Memmo (“Il Tempo” 3 aprile 1958). - “Bottega d’Arte” (“Il Giornale d’Italia”, 25 aprile 1958). - Giorgio Perilli alla “Bottega d’Arte” di Chieti(“Il Giornale d’Italia”, 8 giugno 1958). - Incontro col pittore Gennaro Cuocolo (“Il Giornale d’Italia”, 24 giugno 1958). - “Cenacolo”. Incontro con lo scultore Francesco Buonapace (“Il Giornale d’Italia”, 25 giugno 1958). - Il pittore Giuseppe Carrino. Incontro a Chieti. (“Il Tempo”, 25 luglio 1958). - L’Astrattismo non si addice al “Premio F. P. Michetti” (“Roma”, 1 agosto 1958). - Uno sguardo alle opere della “Mostra Michetti” (“Il Giornale d’Italia”, 6 agosto 1958). - La personale di Oscar Di Fonzo (“Il Tempo” 25 agosto 1958). - Nicola Cardona dipinge a Chieti (“Il Popolo” , 16 dicembre 1958). - La Mostra alla “Bottega d’Arte”di Chieti , una delle maggiori rassegne nazionali (De Chirico, Rossi, Tosi ed altri) (“Il Tempo”, 20 gennaio 1959). - L’affermazione del “Premio F.P. Michetti” a Francavilla a Mare (“ Il Messaggero”, 1 febbraio 1959). - Personale di Franco Amidi alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 15 febbraio 1959). - Confusione sul “Premio F.P. Michetti” a Francavilla a Mare(“Il Messaggero”, 18 febbraio 1959). - La pittura dell’Ottocento alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“ Il Tempo”, 7 marzo 1959. - Il “Premio F.P. Michetti” a Francavilla a Mare (“Il Messaggero”, 14 marzo 1959). - Personale di E. Vanni alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Roma”, 25 aprile 1959). - Mostra del pittore Giustino Caporali a L’Aquila (“Il Secolo d’Italia”, 7 maggio 1959). -I chietini al “Premio MIchetti” di Francavilla a Mare (“Il Tempo”, 9 maggio 1959). - Sconosciuta un’opera del pittore F.P. Michetti, conservata nella Pinacoteca di Chieti (“Il Messaggero”, 31 maggio 1959). - Lettera aperta al ministro Spataro sul “Premio F.P.Michetti” (“Il Tempo”, 6 giugno 1959). - “Premio F.P. Michetti” a Francavilla a Mare (“Il Tempo”, 28 luglio 1959). - I pittori chietini al “Premio Michetti” (“Il Tempo”, 18 agosto 1959). - Alla “Bottega d’Arte” di Chieti le scenografie di Angelo Di Fonzo (“Il Popolo”, 9 settembre 1959). - Mostra del pittore V. Canci alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 22 settembre 1959). - Sante Monachesi espone alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 6 ottobre 1959). - Mostra della pittrice Mary Chappè-Whittle alla “Bottega d’Arte”di Chieti (“Il Messaggero”, 24 ottobre 1959). - Mostra del pittore Fausto Maria Casotti alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 27 ottobre 1959). - Mostra del pittore Cauri alla”Bottega d’Arte”di Chieti (“Il Messaggero”, 6 novembre 1959). - La personale di Ausonio Tanda “Il Messaggero”, 13 novembre 1959). - Mostra alla galleria “Verrocchio” di Pescara del pittore Amedeo Lazzaroni (“Il Messaggero”, 25 novembre 1959). - Mostra del pittore Kurt Polter alla “Bottega d’Arte”di Chieti (“Il Messaggero”, 27 novembre 1959). - Mostra del pittore Enrico Caiati alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 18 dicembre 1959). - Le migliori firme della pittura contemporanea nella collettiva alla “Galleria Verrocchio” di Pescara (“Il Messaggero”, 20 dicembre 1959). - Rassegna di pittori alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 24 dicembre 1959). - Alla galleria “Verrocchio” di Pescara mostra dei fratelli Michele e Tommaso Cascella (“Il Messaggero”, 31 dicembre 1959). - La pittura di Aldo Borgonzoni esposta nelal 2Galleria Verrocchio” di Pescara (“Il Messaggero”, 29 gennaio 1960). - Mostra della pittrice Pina Martellini alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 2 febbraio 1960). - Aldo Capacci alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Messaggero”, 5 febbraio 1960). - La pittura di Aldo Borgonzoni alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Paese Sera”, 17 febbraio 1960). - Alla “Bottega d’Arte” di Chieti espone il pittore Cesco Dessanti (“Il Popolo”, 22 marzo 1960). - Mostra di Gianni Nevischi alla “Bottega d’Arte” di Chieti (“Il Tempo”, 12 aprile 1960).
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